Allora, popolo dei No al Tunnel in Valsusa e Sì a un sacco di cose utili: che fare adesso?
Per noi che rifiutiamo di credere che tutti i problemi di Torino e del Piemonte passino per un tunnel che sarà pronto se va bene nel 2035, per il quale esistono adesso alternative più veloci e meno dispendiose. Per noi che ce ne infischiamo di sapere chi vince tra Matteo Salvini e Luigi Di Maio dato che cerchiamo di costruire un’alternativa ai due: quali sono le prossime tappe dopo la disputa su cavilli e bandi e l’apertura di una possibilità complicata, ma reale di ridiscutere questo progetto nei prossimi sei mesi?
È chiaro che la lettera di Giuseppe Conte, al di là del cavillo sugli avis de marché – sono lanciati ma possono essere revocati – rappresenti un messaggio politico esplicito alla Francia e all’Ue. Non è escluso che magari alla fine decideremo di fare ‘sto tunnel. Ma per la prima volta a livello ufficiale non è più escluso neanche il contrario. E ci sono sei mesi per decidere davvero.
E allora usiamoli, questi sei mesi, per aprire un dibattito di merito, non soltanto in Italia ma anche in Francia e a Bruxelles, sulle alternative che esistono e in particolare sul fatto che migliorando il tunnel del Frejus e la linea attuale si possono creare le condizioni per ottenere gli stessi risultati. Il M5S ha buttato via un sacco di tempo dietro a un’analisi costi benefici che ha portato a risultati questionabili, che non ha fatto alcuna comparazione fra le diverse alternative in campo e ha lavorato a partire da una sostanziale neutralità fra autostrada e treno. Sbagliato.
Noi dobbiamo invece insistere sul fatto che è falso pensare che l’infrastruttura porti necessariamente nuovo allegro traffico, in assenza di politiche sulle tariffe dell’autotrasporto, sul miglioramento del nodo di Torino e sul chiarimento del ruolo di Orbassano. Va fatta una riflessione seria sul rapporto di questo valico rispetto al Brennero, al Terzo Valico e al tunnel del Gottardo, fatto dagli svizzeri ma che non ha nessuna particolare via di accesso in Italia; e naturalmente sul fatto che non si può parlare oggi di trasporto merci nello stesso modo in cui lo si faceva 30 anni fa. Questa discussione deve essere portata anche a livello Ue e in Francia. E lo sarà, almeno dai Verdi europei.
Ieri la Presidente della commissione Trasporti del Parlamento europeo, la Verde francese Karima Delli, ha annunciato che proporrà di fare un’audizione pubblica chiamando tutte le parti in causa nella sua commissione. Aveva già in passato sostenuto che non è vero che ci saranno sanzioni miliardarie da pagare se si decide di non fare il tunnel, anche perché nessuna decisione finale è stata presa in sede europea sul suo finanziamento finale, dato che questa decisione dipende dalla decisione sul bilancio 2020/2027, ancora in altro mare. Poiché sono in ballo anche i finanziamenti Ue per Brennero e (purtroppo) Terzo Valico, nonostante la Commissione Juncker abbia scelto di accompagnare la narrativa del tunnel come panacea di tutti i mali, non sarebbe impossibile mettersi intorno a un tavolo e ridiscutere in ambito europeo una ripartizione diversa che includa il contributo per il miglioramento della linea di valico.
D’altra parte, sappiamo che la dichiarazione della ministra francese secondo la quale in Francia i soldi ci sono non risponde al vero. E non è una questione tecnica, come si dice in Italia, secondo la quale loro non hanno una pianificazione multi-annuale e decidono anno per anno che fare. Non è proprio così. Semplicemente, il tunnel transfrontaliero non fa parte dei progetti di finanziamento selezionati dal Consiglio di orientamento delle infrastrutture (Coi) e nessuna disposizione della legge stabilisce il finanziamento della sezione transfrontaliera del progetto Torino-Lione, come si può leggere documenti alla mano in una nota sul sito del movimento noTav.
Ma dietro la disputa specifica sul tunnel, il nostro obiettivo deve essere quello di ribaltare la logica dominante – ahinoi pienamente sposata dal Pd – secondo la quale il progetto di tunnel sotto le montagne su una linea usata a un sesto del suo attuale potenziale – e che sarà pronto se va bene nel 2035 – viene eletto a simbolo di operosa attività e dinamismo, al punto che chi è contrario passa per un fannullone che ci vuole riportare a caverne e candeline.
La nostra ambizione deve essere quella di sottolineare che non si può essere a favore del tunnel e sostenere Greta Thunberg e i ragazzi che si battono per un’azione urgente e dirompente per fermare i cambiamenti climatici. E che ricorda che se vogliamo salvarci tutte le scelte su sviluppo economico, formazione, istruzione, nuovi lavori e infrastrutture deve essere fatta alla luce della priorità di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Cosa che significa cambiare radicalmente le priorità di investimento – per andare verso un modello energetico 100% rinnovabili ed efficienza -, scegliere pratiche di economia circolare che riducano spreco di risorse (e traffico inutile), puntare su un sistema di trasporti che privilegi treni pendolari, trasporti pubblici, mobilità dolce, digitalizzazione e green jobs, per uscire dal modello ancora dominante fossile e antiquato di cui il tunnel della Valsusa fa pienamente parte.