Speculazione finanziaria e spese fantasma, come quella per un costoso software mai arrivato a Termini Imerese. Così, secondo gli inquirenti, i vertici di Blutec, l’azienda scelta dal governo Renzi per salvare lo stabilimento, hanno invece fatto sparire 16,5 milioni di euro. Soldi pubblici che sarebbero dovuti servire appunto al rilancio del polo ex Fiat e che però Roberto Ginatta, il presidente del Cda finito agli arresti domiciliari insieme all’amministratore delegato Cosimo Di Cursi, “non si sognava di investire” in Sicilia, come racconta agli investigatori delle Fiamme gialle uno dei testimoni dell’inchiesta. Per questo il gip di Termini Imerese definisce “indubbia” la volontà di Ginatta e Di Cursi di usare i 21 milioni di euro versati all’azienda per “una destinazione diversa“. “Una volta arrivato questo finanziamento, ho avuto serie difficoltà con il dottor Ginatta in quanto non mi autorizzava a saldare i fornitori”, racconta infatti alla Guardia di finanza di Palermo il responsabile degli acquisti del gruppo.
Ginatta, buon amico e socio in affari di Andrea Agnelli, è l’uomo scelto dal governo Renzi nel dicembre 2014 per salvare lo stabilimento siciliano fermato da Fiat nel 2011. “Dopo Terni, Piombino, Gela, Trieste, Reggio Calabria, Electrolux, Alitalia, oggi accordo su Termini Imerese. Domani Taranto. Anche questo è Jobs act“, esultava proprio il premier Matteo Renzi, in un tweet del 23 dicembre di quell’anno. Quattro anni più tardi il giudice Stefania Gallì mette in fila nella sua ordinanza i “gravi indizi di colpevolezza” a carico di Ginatta e Di Cursi che devono rispondere di malversazione ai danni dello Stato.
Il gip scrive che i vertici Blutec “hanno gestito il finanziamento del tutto a prescindere dalla destinazione prevista e per la quale era stato erogato e alla data in cui la somma ottenuto in conto anticipo avrebbe dovuto risultare debitamente impiegata si era dispersa in diversi e ulteriori canali”. Il finanziamento di cui parla il gip si riferisce all’accordo di programma che la Blutec spa aveva sottoscritto nel 2015 con i dicasteri dello Sviluppo economico, del Lavoro e delle Politiche sociali, con la Regione siciliana e il Comune di Termini Imerese, per un importo complessivo di circa 95 milioni di euro, chiedendo agevolazioni pubbliche per oltre 71 milioni. A partire dal dicembre 2016, sono stati erogati alla società circa 21 milioni euro a titolo di anticipazione, ma come ilfattoquotidiano.it aveva raccontato già a gennaio 2018, gli investimenti industriali a cui i fondi erano vincolati non sono mai stati realizzati.
Di questi soldi, secondo l’indagine aperta a ottobre scorso dalla procura di Termini Imerese, almeno 16 milioni di euro sono stati impiegati in altri impianti per l’acquisto di beni, come ad esempio il ‘software fantasma’, oppure sono stati oggetto di speculazione finanziaria, invece che essere usati per gestire la riconversione dello stabilimento ex Fiat. “Gli esiti degli accertamenti bancari effettuati – si legge ancora nell’ordinanza – testimoniano un complesso giro di operazione finanziaria, volte da un lato a speculare sulle somme ottenute a titolo di finanziamento e dall’altro a far confluire le somme ottenute a titolo di finanziamento sui conti di altre società facenti capo al gruppo Metec“. Secondo l’accusa, Ginatta e Di Cursi hanno quindi “preordinato la distrazione” dei fondi.
Per dimostrarlo gli investigatori seguono il flusso dei 21 milioni di euro che nel dicembre 2016 Invitalia trasferisce a Blutec, totalmente partecipata da Metec, a sua volta di proprietà al 100% di Roberto Ginatta. Fondi appunto necessari ad avviare il rilancio della fabbrica abbandonata dall’ex Fiat. Entro giugno 2017, però, l’azienda avrebbe dovuto presentare il primo stato di avanzamento dei lavori per un importo di quasi 19 milioni. Il 6 luglio di quell’anno, dopo un sollecito da parte di Invitalia e comunque oltre il termine inizialmente previsto, Blutec presenta un riepilogo delle spese per poco più di tre milioni di euro e un altro, a marzo 2018 e dopo l’annuncio da parte di Invitalia della revoca delle agevolazioni, di 14,5 milioni. Di queste somme, però, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, giudicava “ammissibili” solo quasi 2 milioni di euro, pari al 2,10% dell’investimento ammesso. Gli stessi funzionari di Invitalia, ascoltati dagli investigatori, hanno spiegato come per numerose voci di spesa dichiarate da Blutec non esistessero le relative fatture fiscali e gli ordini di spesa.
Il software fantasma da un milione – Così ad esempio l’ispezione disposta dai pm lo scorso settembre nello stabilimento di Termini Imerese ha permesso di scoprire il ‘software fantasma‘, regolarmente indicato tra le spese rendicontate per un importo di circa un milione di euro, escluse le spese di manutenzione. Un programma che non era presente in nessuna delle 41 postazioni e che non era mai stato utilizzato dai dipendenti che, scrive il gip, “non erano neppure formati al loro utilizzo”. “Quando ero a Torino – ha raccontato agli investigatori delle Fiamme gialle un ingegnere meccanico in servizio a Blutec dal marzo 2017 – ho sentito parlare di questa versione (del software, ndr) ma non l’ho mai vista installata presso Blutec Spa”.
“Ginatta? Non si sognava di investire quei soldi” – È invece il legale rappresentante di una società che forniva consulenza tecnica alla Blutec a raccontare agli investigatori del suo incontro con il presidente del Cda, Ginatta, nei primi mesi del 2015 negli uffici della sede di Rivoli (Torino). Il legale chiede “delucidazioni” a Ginatta sui mancati pagamenti relativi ai propri compensi. “Ho prospettato a quest’ultimo la circostanza per la quale nel giro di poco tempo – spiega l’uomo – sarebbero stati erogati alla Blutec i primi parziali importi dell’intero finanziamento. Alla mia considerazione rivolta al dottor Ginatta circa il corretto utilizzo dei finanziamenti da destinare al progetto di riqualificazione, lo stesso mi diceva che non si sognava di investire tutti quei soldi nello stabilimento di Termini Imerese”.
“Non mi autorizzò a pagare i fornitori per il rilancio” – Anzi, secondo un’altra testimonianza, quella del responsabile degli acquisti del gruppo, Ginatta consapelvomente “non autorizzava a saldare i fornitori, comportamento che già in passato aveva avuto seppur con risorse non pubbliche”. È lui a essersi dedicato “allo sviluppo di Termini Imerese e delle relative necessità in base al piano industriale consegnatomi dall’azienda e presentato al Mise“. E in particolare degli acquisti delle licenze software ‘Catia V6‘, “necessario per garantire l’appeal commerciale necessario a consentire il rilancio del polo industriale di Termini Imerese”. Ascoltato a sommarie informazioni, il responsabile degli acquisti spiega però che “il cash flow era gestito in maniera diretta da Ginatta e la sua segretaria storica…” e “avuti i soldi, a fronte della mia volontà di procedere immediatamente a pagare i fornitori oggetto di rendicontazione nell’ambito del finanziamento per adempiere a quanto richiesto da Invitalia, sono stato messo immediatamente da parte…”. “Ripeto che – aggiunge – avendo organizzato tutte le gare, avevo tutte le carte in mano per poter spendere subito almeno circa 14 milioni di euro per lo scopo, ma sono stato bloccato dagli amministratori”.
Il gip: “Fatti che hanno gravissime ricadute sul territorio” – Il gip ha disposto gli arresti domiciliari in virtù del fatto che il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie è “concreto e attuale”. Cosimo Di Cursi e Roberto Ginatta, si legge ancora nell’ordinanza, “hanno dimostrato di saper agire con lucidità e pervicacia“. Ma il giudice Stefania Gallì sottolinea anche “la gravità della condotta posta in essere e delle allarmanti conseguenze anche sociali che ne sono derivate”, solo considerando che tra gli obiettivi del finanziamento concesso a Blutec c’era “la salvaguardia del sito produttivo sia sotto il profilo occupazionale, prevedendo 400 addetti rientranti dalla cassa integrazione straordinaria (Cigs), sia sotto l’aspetto industriale”. Insomma, secondo il giudice i fatti contestati a Di Cursi e Ginatta hanno avuto “devastanti ricadute” sul territorio interessato “caratterizzato da un tessuto sociale particolarmente povero”.