Non solo in Giappone, ma in tutto il mondo il calcestruzzo è sinonimo di sviluppo. La Cina utilizza la metà del calcestruzzo impiegato ogni anno sulla Terra e un terzo della sua espansione economica del 2017 è stata prodotta dal settore delle costruzioni. In teoria, il progresso dell’umanità si misura con una serie di indicatori economici e sociali diversi dal valore del costruito, quali mortalità infantile, aspettativa di vita e livelli d’istruzione. In pratica, la metrica di gran lunga più importante per ogni leader politico è il prodotto interno lordo: il Pil continua a essere l’ago della bilancia con cui si pesa chi governa. E nulla come il cemento pompa il Pil, come dimostrò a suo tempo il New Deal rooseveltiano, che nella sola la diga Hoover gettò quasi tre milioni e mezzo di metri cubi di calcestruzzo. Per certo, le strade e i ponti sono scelte facili e attraenti per creare lavoro, ma soltanto durante la loro costruzione creano posti di lavoro che, subito dopo, svaniscono rapidamente. Per realizzare solide politiche di sviluppo c’è invece bisogno di progetti capaci di creare posti di lavoro in grado di superare i cicli economici negativi.
Non è probabile che, a breve termine, le materie di base del calcestruzzo possano scarseggiare, poiché sono risorse apparentemente illimitate e, in termini energetici, questa tecnologia non è più famelica di altre. Per evitare la saturazione e il degrado dell’ambiente, però, bisogna innanzi tutto manutenere e conservare le strutture esistenti. E, quando non si può, migliorarne il riciclo, perché oggi il calcestruzzo di risulta è soprattutto un rifiuto che colma le discariche o un materiale riusato al più come aggregato. Si possono anche sperimentare miscele alternative al cemento Portland, capaci di ridurre fino a due terzi l’impronta del carbonio, come quelle usate per ricostruire in meno di un anno il ponte dell’autostrada I-35W di Saint Anthony Falls a Minneapolis dopo il tragico crollo. Ancora più importante sarebbe un cambio di mentalità che allontani l’umanità da un’idea di progresso che ai paesaggi esistenti sostituisce gli ambienti costruiti, alle culture fondate sulla natura l’economia controllata dai dati monetari. Il cambiamento si scontra però con strutture di potere costruite sul e col calcestruzzo, restie a riconoscere nella fertilità una base di crescita più affidabile della solidità.