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Simone Moro, le famiglie di Daniele Nardi e Tom Ballard rifiutano la sua offerta di recuperare i corpi: “I resti diventino parte del Nanga Parbat”

Le famiglie dei due alpinisti negano a Moro la possibilità del recupero. Lui, in una lunga intervista al Corriere della Sera, spiega: "Tocca ai parenti ma andare su e capire perché non sono tornati, è un modo di rispettare la loro vita. E la mia: se serve parto domani"

di F. Q.

Simone Moro, grande alpinista italiano che detiene il record di maggior numero di ascensioni in prima invernale sugli ottomila si era offerto di tentare il recupero dei corpi di Daniele Nardi e Tom Ballard, morti sul Nanga Parbat. Ma la famiglia di Ballard dice no. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, la risposta alla proposta di Moro è chiara: “Per rispettare l’etica e quella che sarebbe la sua volontà, vogliamo che i resti di Tom diventino piano piano parte del Nanga Parbat e quindi non autorizziamo alcuna rimozione del corpo”. Stessa presa di posizione anche da parte della moglie di Nardi che in una nota scrive: “Non ci sono iniziative in corso ed eventuali iniziative di recupero saranno prese in forma privata“.

Quella di Nardi e Ballard è stata un’impresa che ha suscitato molta polemica, come sempre quando c’è di mezzo lo sperone Mummery, la parte del Nanga che i due stavano cercando di scalare. Lo stesso Moro, lo scorso 7 marzo (cioè due giorni prima che venissero individuate le due sagome degli alpinisti) aveva rilasciato un’intervista a mountainblog.it. nella quale diceva parole molto chiare sulla sua posizione rispetto a questo tentativo: “Sono stato sotto il Nanga Parbat in quattro spedizioni e ho visto ogni giorno le valanghe che cadevano sullo Sperone Mummery… fa paura. Ecco perché non l’ho mai provato. Non è ce io non abbia le capacità tecniche, ma essere travolto da una valanga è un prezzo troppo alto. Questo non significa che Daniele non sia un buon alpinista, ma lui e Tom hanno deciso di scalare una via consapevoli dell’alto rischio di morire. Sapevano che avrebbero fatto qualcosa che poteva essere mortale. Molto più che su altre vie”. Oggi, 13 marzo, Moro spiega al Corriere: “Non voglio fare l’eroe e non voglio ricorrere a un personale necro-marketing. Persone vicine a Tom e Daniele mi hanno chiesto se il recupero è possibile e se io fossi disposto a provarci: per il rispetto verso alpinisti che ho conosciuto e che stimavo ho risposto di sì”.

E sull’eventualità del recupero ci sono opinioni molto contrastanti: sono stati raccolti già 150mila euro per tentare di andare a riprendere Tom e Daniele ma resta il dubbio di provare a raggiungerli mettendo a rischio altre vite resta e quei soldi potrebbero essere devoluti a scuole pakistane. Moro però crede di poter portare a termine l’operazione in sicurezza avendo già recuperato un alpinista sull’Everest, vivo, a quota 7800 e due ucraini morti in Nepal a 6300 metri. “I nuovi velivoli mono-rotore sono assicurati e garantiti fino a 7 mila metri”, dice. E a chi lo accusa di volersi fare pubblicità sulla tragedia risponde: “Recuperarli in sicurezza si può e ha un senso giuridico e umano… Ci sono l’amore e il dolore ma c’è anche la vita che impietosamente continua. Per la legge, Daniele e Tom restano dispersi o morti presunti. Se i cadaveri non vengono recuperati e riconosciuti gli aspetti patrimoniali e assicurativi restano bloccati”. “La scelta (di andarli a riprendere, ndr) – continua Nardi – tocca ai parenti ma andare su e capire perché non sono tornati, è un modo di rispettare la loro vita. E la mia: se serve parto domani“.

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