Si legge nell’atto di impugnazione depositato dal legale alla Corte d’assise d’appello di Palermo che celebrerà il processo di secondo grado. L'ex senatore è difeso dall’avvocato Francesco Centonze
La difesa di Marcello Dell’Utri, condannato a 12 anni nel dibattimento sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, chiede la riapertura del processo d’appello, che avrà inizio tra poco più di un mese, e la citazione a deporre dell’ex premier Silvio Berlusconi. Si legge nell’atto di impugnazione depositato dal legale alla Corte d’assise d’appello che celebrerà il processo di secondo grado. Dell’Utri è difeso dall’avvocato Francesco Centonze.
Berlusconi, che come si legge nelle nelle motivazioni pagò Cosa nostra fino al 1994, “vittima” della minaccia stragista rivolta da Cosa nostra allo Stato per il tramite di Dell’Utri non è mai stato sentito in aula, né in fase d’indagine. Una circostanza che, secondo il legale, andrebbe sanata essendo l’esame di Berlusconi “una logica conseguenza dalla qualifica di persona offesa attribuita al medesimo nella sentenza impugnata in quanto destinatario finale della ‘pressione o dei tentativi di pressione’ di Cosa nostra”.
La Corte, – scrive l’avvocato – “con doti divinatorie, prima profetizza che Silvio Berlusconi, se chiamato a deporre si sarebbe certamente avvalso della facoltà di non rispondere e, poi, deduce da questo dato futuribile e privo di qualsiasi aggancio nell’istruttoria la superfluità e comunque la non assoluta necessità della sua testimonianza“. “Si tratta evidentemente di argomentazioni prive di qualsiasi rilevanza rispetto ai presupposti di attivazione del potere-dovere del giudice di disporre un’integrazione probatoria – spiega – che, giova ribadirlo, ha lo scopo fondamentale di assicurare la ‘completezza dell’accertamento probatorio’e ‘evitare che si pervenga a condanne ingiuste'”.
“Se pure non vi è prova diretta dell’inoltro della minaccia mafiosa da Dell’Utri a Berlusconi, perché solo loro sanno i contenuti dei loro colloqui, ci sono ragioni logico-fattuali che inducono a non dubitare che Dell’Utri abbia riferito a Berlusconi quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con l’associazione mafiosa Cosa nostra mediati da Vittorio Mangano“, scrisse la corte d’assise nelle motivazioni della sentenza. L’ex senatore azzurro, secondo i giudici, avrebbe svolto con continuità almeno fino al 1994 il ruolo di intermediario tra interessi di Cosa nostra e quelli di Berlusconi e ciò sarebbe dimostrato dall’esborso di ingenti somme di denaro da parte delle società di Berlusconi poi versate o fatte arrivare a Cosa nostra. “Si ha la conferma – prosegue la sentenza – che sino alla predetta data Dell’Utri, che faceva da intermediario di cosa nostra per i pagamenti, riferiva a Berlusconi riguardo ai rapporti coi mafiosi ottenendone le necessarie somme di denaro e l’autorizzazione a versarle a cosa nostra“. (Leggi le motivazioni della sentenza)
La corte conclude che “vi è la prova che Dell’Utri interloquiva con Berlusconi anche al riguardo al denaro da versare ai mafiosi ancora nello stesso periodo temporale nel quale incontrava Mangano (mafioso che lavorò come stalliere per Berlusconi ndr) per le problematiche relative alle iniziative legislative che i mafiosi si attendevano dal governo”. “Ciò dimostra – prosegue la corte – che Dell’Utri informava Berlusconi dei suoi rapporti con i clan anche dopo l’insediamento del governo da lui presieduto, perché solo Berlusconi, da premier, avrebbe potuto autorizzare un intervento legislativo come quello tentato e riferirne a Dell’Utri per tranquillizzare i suoi interlocutori“. In realtà l’ex premier non si è fatto mai interrogare – se non una volta dal pm Antonino Ingroia nel 2012 come testimone sulla questione dei soldi elargiti a Dell’Utri – ed è indagato a Firenze con l’ex senatore per la strage di vai Georgofili.