La Nuova Zelanda è dall’altra parte del mondo, l’Italia è lontanissima, eppure gli attentatori australiani anti-islamici hanno citato la storia europea, in particolare quella della Serenissima Repubblica di Venezia. Sui mitra che sono stati usati per la strage di Christchurch ci sono i nomi di tre italiani. Due sono veneziani che si sono distinti nella guerra contro l’Impero Ottomano, il terzo è Luca Traini, il ventottenne di Tolentino che sparò per strada contro gli immigrati a Macerata, il 3 febbraio 2018. Per i tentati omicidi è stato condannato a 12 anni di carcere.

I due veneziani appartengono alla storia della Repubblica. Sebastiano Venier perché fermò gli ottomani nella battaglia di Lepanto, Marcantonio Bragadin perchè resistette all’assedio di Famagosta e dopo la resa venne torturato in modo bestiale per giorni, prima di essere scorticato vivo.

Venier (1496-1578), già governatore di Candia, fu il “Capitano General da mar” della flotta che nel 1571 vide la Lega Santa scontrarsi con i turchi sulle coste greche. Venier, che al ritorno fu acclamato dalla popolazione di Venezia ed eletto Doge all’unanimità, era su ponte della “Capitana”, al centro della flotta, accanto alla “Real” di don Giovanni d’Austria. Venier era già vecchio, ma nonostante i suoi settantacinque anni combattè e uccise di persona parecchi nemici. Come ricordano le cronache dell’epoca, usò una balestra che un aiutante gli ricaricava, poiché era troppo vecchio per farlo di persona. Venne anche ferito a un piede da una freccia che si strappò via da solo.

Tragica la figura di Marcantonio Bragadin. Nato nel 1523, resse, quale provveditore, la fortezza di Famagosta, sulla costa orientale di Cipro, durante l’assedio degli ottomani che si prolungò per undici mesi nel 1571. Con lui c’era il generale Astorre Baglioni. Furono protagonisti di una resistenza eroica contro un esercito nemico che in alcuni momenti raggiunse le 200mila unità. L’epilogo avvenne nell’estate 1571. A Famagosta erano rimaste 500 persone in grado di combattere. La popolazione era alla fame. Il comandante dei turchi, l’arabo Lala Mustafà, propose a Bragadin le condizioni di resa: salva la vita, evacuazione a Candia di chi avesse desiderato e libertà di culto per chi fosse rimasto. Bragadin non voleva arrendersi, perché ricordava i 20mila massacrati a Nicosia dopo la resa e i duemila bambini e ragazze inviati come schiavi del sesso al mercato di Costantinopoli.

Dopo la resa, per tre giorni Lala Mustafà finse cortesia. Poi fece arrestare tutta la guarnigione cristiana. Voleva vendicarsi per la perdita di 52mila uomini, fra cui il proprio primogenito. I comandanti italiani vennero impiccati. Ma a Bragadin toccò la sorte peggiore. Dapprima gli vennero mozzati orecchi e naso. Poi fu rinchiuso per tredici giorni in una gabbia sotto il sole. Quindi venne costretto a percorrere per due volte il perimetro della città portando sulle spalle gerle piene di sassi e immondizie. Non era finita.

Fu appeso per ore per ore a un palo nel porto, davanti agli occhi terrorizzati degli schiavi cristiani e dei prigionieri. Legato a una colonna si sentì chiedere da Lala Mustafà di abiurare la fede cristiana e di abbracciare l’Islam. Bragadin rifiutò. Allora il pascià ordinò al boia di scorticarlo vivo. Il supplizio cominciò partendo dalla nuca e dalla schiena, lentamente, mentre continuava la richiesta: “Convertiti e la tortura finirà!”. Bragadin resistette fino alla morte.

La pelle venne impagliata e portata come un trofeo a Costantinopoli. Due mesi dopo venne combattuta la battaglia di Lepanto. Nel 1580 un giovane marinaio veneziano riuscì a trafugare la pelle di Bragadin dall’arsenale di Costantinopoli e a portarla a Venezia, dove è conservata come una reliquia nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo.

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