L'ex terrorista dei Pac, arrestato lo scorso 12 gennaio e rientrato in Italia due giorni dopo, parla per la prima volta davanti al magistrato di Sorveglianza in vista dell’incidente di esecuzione a Milano sulla sua istanza di commutazione della pena da ergastolo in 30 anni. E dice: "Ero residente in Brasile con documenti legali e potevo andare nei paesi confinanti. Lavoravo nell'ambiente editoriale"
Ha spiegato di essere andato in Bolivia a dicembre 2018 “per incontrare dei colleghi per il progetto di un libro”. E sulle modalità della sua consegna alle autorità italiane ha aggiunto di non avere mai ricevuto “spiegazioni”. Cesare Battisti, l’ex terrorista arrestato il 12 gennaio a Santa Cruz, Bolivia, dopo decenni di latitanza ha parlato per la prima volta davanti al Tribunale di sorveglianza di Cagliari, in vista dell’incidente di esecuzione a Milano sulla sua istanza di commutazione della pena da ergastolo in 30 anni. “Ero residente in Brasile con documenti legali – ha spiegato l’ex terrorista dei Pac all’inizio del suo verbale reso ieri in carcere -. Lavoravo e avevo famiglia, moglie e figlio”. Lavorava, ha aggiunto, “nell’ambiente editoriale, come scrittore e traduttore e scrivevo articoli giornalistici su eventi culturali. I miei documenti – ha proseguito – mi permettevano di uscire dal Brasile e recarmi nei Paesi confinanti e questo è capitato talvolta. Mi sono recato in Argentina, Uruguay e Bolivia, dove sono stato arrestato. Mi sono recato in Bolivia nel dicembre 2018 per incontrare dei colleghi per il progetto di un libro, là mi sono trattenuto per Natale e Capodanno e sono stato arrestato il 12 gennaio 2019 dall’Interpol boliviana e trasportato nei loro locali“. E aggiunge: “Mi hanno arrestato ma non mi hanno mostrato prova di niente”.
Il 14 gennaio, poi, “un agente mi ha notificato un provvedimento di espulsione dalla Bolivia – ha aggiunto -, ho firmato il documento e mi è stato spiegato, e così era anche scritto, che avevo tre giorni per presentare un ricorso e che la risposta sarebbe giunta nei successivi cinque giorni”. Quindi avrebbe avuto altri venti giorni per lasciare la Bolivia e far rientro nel paese di origine, “cioè il Brasile“. Ma dopo che il funzionario dell’immigrazione è andato via, altro personale dell’Interpol boliviana lo ha “prelevato per andare in aeroporto senza fornire alcuna spiegazione”. Battisti racconta di aver atteso anche in compagnia di “sei o sette agenti della polizia federale brasiliana e un delegato che suppongo fosse il capo scorta”. Mentre saliva la scaletta “c’è stato un conciliabolo con gli agenti della polizia brasiliana. Siamo quindi rientrati, hanno discusso, ho sentito frammenti di conversazione e ho capito che l’aereo brasiliano sarebbe rientrato con gli stessi passeggeri”, lasciando a terra l’ex terrorista. Dopo circa un’ora e mezzo “la scorta brasiliana è ripartita senza di me. Ho tentato di chiedere spiegazioni a non né ho ricevute”. Dopo due ore, arrivano “una decina di persone di nazionalità italiana. Gli italiani hanno firmato dei documenti davanti a un ufficiale dell’aeronautica boliviana, mi hanno chiesto di seguirli fino a un minibus che ci ha condotti all’aereo italiano e il decollo è stato immediato”. Inutile la richiesta di spiegazioni: “Non mi è stata data risposta, non mi è stato mostrato alcun documento o prova di niente”. Dopo uno scalo a Capo Verde per il rifornimento, il giorno dopo Battisti è atterrato all’aeroporto di Roma Ciampino e portato in carcere.