Ambiente & Veleni

Clima: dal petrolio alle risorse minerali, come cambia il mondo se si passa alle rinnovabili

Eletto segretario del Pd, Nicola Zingaretti ha dedicato la sua vittoria a Greta Thunberg. E’ paradossale che il leader del partito dello “sbloccatrivelle”, quello che ha svenduto la Basilicata ai petrolieri, prenda a modello una ragazza la cui richiesta principale nel famoso discorso all’Onu riguardava la necessità di “tenere il petrolio sottoterra”.

 

Infatti per avere una chance di limitare l’aumento della temperatura media a 2°C in più rispetto all’epoca pre-industriale, le emissioni di CO2 da combustibili fossili dovranno essere drasticamente ridotte per il 2030, azzerate nel 2050. Buona parte delle riserve di petrolio, gas e carbone dovranno restare sottoterra.

Siccome le fonti fossili coprono oggi la stragrande maggioranza dei consumi energetici mondiali, solo una “trasformazione energetica” verso le rinnovabili potrà garantire i bisogni energetici del futuro. Tra le analisi della trasformazione potenzialmente innescata dall’avvento delle rinnovabili prenderò le mosse da uno studio recente coordinato dall’Irena, l’Agenzia internazionale per le rinnovabili che, paradossalmente, ha sede ad Abu Dhabi.

Ecco alcune delle conclusioni dello studio sulla “geopolitica della trasformazione energetica”. Il prezzo (già competitivo) dell’elettricità prodotta da rinnovabili scenderà sempre più con prospettive brillanti per il solare e l’eolico. L’avvento delle rinnovabili avrà come conseguenza un’impennata dell’elettrificazione (anche nel settore dei trasporti oggi dominato dal petrolio). L’utilizzo di fonti rinnovabili, più equamente distribuite nel globo e all’interno delle nazioni rispetto alle fossili, renderà il sistema energetico più democratico (meno incentrato su grandi infrastrutture centralizzate per il trasporto e la produzione) e più aperto alla produzione locale (l’energia prodotta, difficile da trasportare e stoccare, sarà consumata prevalentemente a livello locale e regionale).

La geopolitica della “trasformazione” vedrà il declino dei paesi esportatori di petrolio che non saranno in grado di adattarsi. Vi saranno meno ragioni per scatenare guerre per il controllo delle risorse naturali, mentre le tensioni geopolitiche si concentreranno sul controllo e la protezione delle reti elettriche, sempre più “intelligenti” e dunque vulnerabili. L’altra faccia della medaglia del declino dei petroStati sarà un’accresciuta importanza, sia degli Stati che hanno imboccato per primi la strada degli investimenti nelle rinnovabili (la Cina in primo luogo), sia di quelli più fortunati dal punto di vista della disponibilità di risorse come vento, sole ed acqua.

Un rischio potrebbe essere rappresentato dalla scarsità dei nuovi minerali strategici come le terre rare, il litio e il cobalto necessari per produrre batterie e tecnologie verdi. La commissione Irena sottolinea però che la maggior parte di questi minerali non sono “geologicamente scarsi”. In ogni caso, Stati come il Congo, cruciale per il cobalto, o il Cile, primo produttore mondiale di litio, diventerebbero più importanti che in passato.

Lo studio Irena vede quasi solo luci. Considera che vi saranno certamente problemi sociali per effetto della deindustrializzazione nelle regioni carbonifere; così come per il rischio rappresentato dagli stranded assets: asset dell’industria fossile mondiale che rischiano di perdere totalmente valore nel medio periodo, generando voragini nei portafogli degli investitori. D’altra parte, sottolinea la commissione con inscalfibile ottimismo, questi ricadute negative saranno più che compensate dal superamento della crisi climatica che permetterà di scongiurare guerre per le terre coltivabili, per l’acqua e conseguenti imponenti fenomeni migratori.

Il timore però è che l’emergere delle rinnovabili possa essere una rosa con più spine di quanto Irena voglia ammettere. Le grandi potenze economiche (e militari) di oggi, Stati Uniti, Unione europea e Cina in testa, resteranno saldamente nelle cabina di regia, sancendo il dominio mondiale di ridottissimo gruppo di Paesi, come (se non più) che nell’era delle fossili. Lo studio non tiene conto delle possibili reazioni Opec, i cui membri potrebbero aprire i rubinetti di greggio facendo tracollare il prezzo del petrolio, mettendo in pericolo un rapido passaggio alle rinnovabili. Anche l’elettrificazione del settore dei trasporti sarà cosa tutt’altro che semplice. Implicherà un gigantesco aumento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili con conseguenze non solo sul paesaggio, ma anche in termini di una drammatica riduzione delle entrate dei petroStati nonché di quelle dei governi dei paesi consumatori (le accise sui carburanti rappresentano una porzione significativa delle entrate statali). Possiamo anche fregarcene di quanto avverrà in petroStati cruciali come l’Iran e l’Arabia Saudita, ma siamo sicuri che l’elettricità per far girare le automobili sarà così economica che ci si potrà caricare sopra accise che nel caso della benzina coprono il 70% del prezzo al consumo?

L’elettrificazione 2.0 avrà bisogno di giganteschi investimenti i cui costi dovranno essere ripartiti in modo equo. Irena non tocca la questione se per effettuare questi investimenti basti il mercato con opportuni incentivi, o se invece lo Stato debba entrare direttamente nella produzione e nel trasporto di energia come è avvenuto per l’elettrificazione 1.0 nel secondo Dopoguerra.

In ogni caso, una classe politica che si concentri solo sul facilitare l’avvento delle rinnovabili non risolverà i principali problemi ambientali dovuti al fatto consumiamo in un anno più risorse naturali di quante il Pianeta sia in grado di riprodurre. Fondamentale, dunque, sarà la sfida di consumare meno energia e meno risorse naturali, utilizzare più i trasporti collettivi e adeguare gli stili di vita alle possibilità offerte dal nostro ecosistema.