Divulgare l’opera d’arte musicale è notoriamente difficile. Descrivere a parole le sezioni di una partitura nel loro svolgimento temporale esige senso scaltrito della forma, acume interpretativo, dono della sintesi, lessico tecnicamente pertinente ma non per questo impervio. Ci vuole la perizia del musicologo e la brillantezza del giornalista: due qualità che Giorgio Pestelli, professore emerito dell’Università di Torino e critico musicale de La Stampa, possiede al massimo grado. Con L’Anello di Wagner, un libriccino di 250 pagine pubblicato da Donzelli a fine 2018, racconta con stile amabile e spedito L’anello del Nibelungo, la gigantesca tetralogia del musicista tedesco. Concepito e composto tra il 1848 e il 1876, l’immane dramma musicale si rifà alla mitologia germanica e si articola in quattro opere che fanno serata: L’oro del Reno, La Walkiria, Sigfrido, Il crepuscolo degli dei. Stupefacente: a un certo punto Wagner ne interruppe la stesura, e à côté scrisse Tristano e Isotta e I maestri cantori di Norimberga.

Ad apertura Pestelli sunteggia la poetica di Richard Wagner e propina riferimenti utili per tutto il suo teatro: l’importanza del testo verbale, ideato e steso dal musicista stesso, intonato in un discorso musicale continuo, con rare cesure; l’orchestra “alter ego” dell’io narrante; i motivi ricorrenti (i cosiddetti Leitmotive) che individuano sonoramente personaggi, sentimenti, situazioni, ricordi. Su questo sfondo due considerazioni distinte ma collegate:

1. da un lato, Wagner si vale del mito per penetrare nel profondo il dramma dell’uomo, al di là della storia e delle contingenze politiche, per attingere al “puramente umano” (parole del compositore);

2. dall’altro lato, il denaro, l’oro, la lotta per il potere, fulcro della vicenda drammatica, sono l’antitesi della volontà libera dell’uomo, così come il musicista la descriveva negli scritti rivoluzionari del 1848. È questo l’anno in cui Wagner, ricercato dalla polizia e sfuggito per miracolo alla fucilazione, ripara a Parigi e poi, l’anno dopo, a Zurigo: aveva intanto buttato giù il suo manifesto poetico, Opera e dramma, e abbozzato la trama dell’Anello. Ma a ritroso: avvia dapprima la parte musicale di una Morte di Sigfrido, poi si arresta. Da uomo di teatro sa che non basta narrare l’antefatto: occorre dargli corpo, mostrarlo in scena. Così nel 1852 stila il testo poetico dell’Oro del Reno e della Walkiria. L’entusiasmo creativo è alle stelle, la sfida dell’impresa proibitiva: attraverso mille difficoltà, con tenacia, compie infine un capolavoro che non ha l’eguale.

Pestelli dice bene: è il tempo lungo della creazione a fare dell’Anello una sorta di diario spirituale dell’autore. Se nel 1848 Sigfrido incarna la libertà che spezza le catene e supera gli ostacoli, anni dopo, nella Walkiria, il dio Wotan, nella sua lacerazione interiore, risponde alla “scoperta” wagneriana del pessimismo esistenziale di Schopenhauer. Delle quattro opere Pestelli racconta ciascuna scena con delicatezza, e dispensa stimoli intellettuali ad ampia gittata. Conduce il lettore-ascoltatore per mano, lo seduce con la parola evocativa, il concetto articolato ma sempre limpido.

Un esempio per tutti: descrive Brünnhilde che “con scudo e lancia esce dalla grotta, annunciata da un cupo accordo delle tube”. Sono appena due tratti, uno visivo l’altro uditivo, ma svelano al lettore, anche quello non musicalmente acculturato, tutta la magia del personaggio. Nella stessa scena “la faccia della morte” è rappresentata da tre figure sonore: “una cadenza enigmatica delle tube, un funesto rullo di timpani, una frase pianissimo di tromboni e trombe”. Qui gli aggettivi connotano un’atmosfera: non ci si sottrae alla seduzione che il linguaggio di Pestelli esercita sulla nostra sensibilità.

Ma ecco che dopo un po’ fioccano i riferimenti culturali a largo raggio, tessendo un reticolo di analogie: il musicologo suggerisce che la “frase melodica” evidenziata si avvicina all’esordio della Scozzese di Mendelssohn, o anche all’attacco dell’aria della regina in Hans Heiling di Marschner, mentre nel ritmo rimanda al Lied di Schubert, La morte e la fanciulla.

Pestelli offre i suoi tesori di sapere con nonchalance, con sorridente urbanità, senza montare in cattedra: in ogni punto, in ogni snodo del discorso, lascia affiorare con discrezione la conoscenza capillare e profondissima del grande repertorio musicale ed esibisce la sua perizia nel connettere, sia a orecchio sia sulla partitura, zone lontane e per nulla scontate di opere musicali diverse. L’anello di Wagner, piccolo e densissimo, non è un libro che per forza vada letto di filato, da capo a fondo. Chiede che ci si soffermi su ciascun paragrafetto e si proceda con cd o dvd all’ascolto o alla visione della rispettiva scena: congiungendo così il piacere dell’occhio e dell’orecchio al piacere della mente.

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