Un'inchiesta ha svelato che il gruppo Alde, guidato da Guy Verhofstadt, dal 2014 ha ricevuto 425mila euro da multinazionali come Google, Bayer, Microsoft, Uber, Syngenta e Deloitte. Rivelazioni che non rappresentano nulla di illegale, ma che fanno sfumare l'intenzione del partito di Macron per confluire nei liberali
Tra il gruppo dei Liberali e Democratici al Parlamento europeo (Alde) e il movimento En Marche di Emmanuel Macron si sono messe in mezzo le lobby. Quella che era considerata come una delle più probabili alleanze in vista delle prossime elezioni europee è naufragata a causa di un’inchiesta condotta da Le Monde e France 2 che svela i finanziamenti ricevuti dalla formazione guidata in plenaria dal belga Guy Verhofstadt da parte di multinazionali come Google, Bayer, Microsoft, Uber, Syngenta e Deloitte: 425mila euro dal 2014, circa il 4% del bilancio complessivo del partito, come ha poi spiegato ad Afp Didrik de Schaetzen, portavoce del gruppo. Niente di illegale a livello europeo, non a caso Alde pubblica annualmente la lista dei finanziatori per importi superiori ai 500 euro, ma le centinaia di migliaia di euro di donazioni provenienti dalle multinazionali contrastano con la linea politica dell’esecutivo di Parigi che ha recentemente imposto una stretta a livello nazionale, obbligando tutte le aziende o i soggetti che svolgono tali attività a registrarsi sul portale pubblico online gestito dall’Autorità per la trasparenza della vita pubblica (Hatvp). “Nessuno dei nostri legislatori europei si unirà a un partito politico o gruppo durante la prossima legislatura (europea, ndr) che tollera finanziamenti come questo. È inaccettabile nell’ottica di una politica che dovrebbe essere al di là di ogni sospetto e faremo di tutto per cambiare la legislazione per tutti i gruppi politici europei”, ha sentenziato Stephane Sejourne, direttore della campagna elettorale di En Marche per le prossime Europee.
Assumono quindi un valore diverso le parole pronunciate da Giuseppe Conte di fronte alla plenaria di Strasburgo appena un mese fa quando, rispondendo all’attacco di Verhofstadt che lo definiva un “burattino di Di Maio e Salvini”, affermò che “burattino è chi sta al servizio delle lobby”. Quella di ricevere donazioni da aziende e gruppi di pressione non è certo una peculiarità del gruppo dei Liberali: durante tutto l’anno i lobbisti vanno e vengono dall’adiacente Place du Luxembourg e si incontrano nei corridoi e nei bar delle istituzioni, tanto che Parlamento e Commissione, da giugno 2011, hanno istituito un registro pubblico comune per la trasparenza che contiene 11.739 organizzazioni e 7.235 persone accreditate al Parlamento, tra cui studi legali, ong, think-tank e lobbisti vari. Solo facendo parte di questo elenco si può ottenere il permesso d’accesso da lobbista al Parlamento.
Sul possibile conflitto d’interessi che si può generare dalle donazioni di aziende interessate a influenzare il processo legislativo e decisionale delle istituzioni europee la discussione è ancora aperta sia a livello europeo che dei singoli Stati. Analizzando però i finanziatori del gruppo dei Liberali al Parlamento europeo, non è difficile individuare quali siano i campi d’interesse delle multinazionali coinvolte: dall’agricoltura al digitale, fino alla farmaceutica, alla logistica e ai trasporti. Uno dei più importanti donatori del gruppo guidato da Verhofstadt è, ad esempio, la multinazionale farmaceutica Bayer. L’azienda nel 2018 ha rilevato la Monsanto, leader mondiale nello sviluppo di biotecnologie agrarie e produttrice del Roundup, nome commerciale di un erbicida a base di glifosato. Nel novembre 2017, il Parlamento aveva respinto la proposta della Commissione di rinnovare l’autorizzazione all’utilizzo del glifosato, risoluzione poi ribaltata dalla decisione del Consiglio Ue che votò in favore della concessione. In quel voto in plenaria del 24 ottobre 2017, però, Alde si spaccò: meno della metà dei membri Liberali votò contro il rinnovo, compreso Verhofstadt, mentre la maggioranza si schierò con la Commissione.
Twitter: @GianniRosini