di Monica Di Sisto
“L’Unione europea e gli Stati Uniti potrebbero chiudere un accordo commerciale entro ottobre, ma per il tango c’è bisogno di essere in due”. Così la commissaria al Commercio Cecilia Malmstrom, prima che il Parlamento Europeo scegliesse di bocciare una risoluzione di appoggio al doppio mandato che le consentirebbe di portare a casa la liberalizzazione di commercio e regole tra Europa e Usa in perfetta continuità con il “mai morto” Ttip. E se oggi in oltre 100 piazze italiane e in tutto il mondo i ragazzi manifestano contro i cambiamenti climatici, il Parlamento europeo non è riuscito a chiedere con quella risoluzione al Consiglio Europeo, che si riunirà il 18 marzo prossimo, di mettere il clima prima degli interessi commerciali, come pure chiedeva uno degli emendamenti approvati con il sostegno di oltre 100 organizzazioni e campagne di tutta Europa.
Piuttosto sinistramente, in realtà, la Commissione europea, nella pagina web in cui indica i principali successi dell’accordo informale Junker-Trump dello scorso luglio, elenca la crescita del 112% delle importazioni europee dagli Usa di soia ogm, per gli allevamenti intensivi di bestiame e il biodiesel, e la crescita dell’arrivo di gas liquido Usa in Europa, per lo più ottenuto con la super-inquinante tecnica del fracking. Risultati estremamente dannosi per la stabilità climatica come ammette la stessa Commissione Ue che, in altri documenti, denuncia che il biodiesel prodotto con la soia è ben due volte più inquinante del vecchio diesel da fonti fossili. Un’Europa ancora più dipendente dalle importazioni di combustibili fossili, peraltro, non è in linea con l’accordo di Parigi contro i cambiamenti climatici di cui l’Ue si dichiara paladina. Inoltre il Parlamento Ue nel luglio scorso ha adottato un Rapporto sulla diplomazia climatica che impegna la Commissione a considerare la ratifica e l’attuazione dell’Accordo di Parigi una condizione vincolante per scegliere i propri partner commerciali e gli accordi da fare.
Il Parlamento, ad ogni modo, con l’avvicinarsi delle elezioni e la forte pressione dell’opinione pubblica, non ha neanche scelto di chiedere ai propri governi di appoggiare incondizionatamente Malmstrom e negoziatori nella fretta di risuscitare il Ttip, il cui mandato dal 2013 non è mai stato revocato. Malmstrom aveva chiesto al Parlamento europeo di sostenerla nella richiesta di un nuovo mandato perché “un voto contrario sarebbe come votare per mantenere le attuali tensioni commerciali”, aveva spiegato alla stampa. Ma addirittura il Partito popolare, da sempre il più favorevole al vecchio e nuovo Ttip, si è schierato contro il mandato perché non ritiene accettabile negoziare sotto la minaccia dei dazi mai deposta da Trump. Inoltre, in conflitto con le proprie regole, la Commissione europea ha rinunciato per il Ri-Ttip alla valutazione d’impatto, obbligatoria per “ogni iniziativa significativa di politica commerciale”.
Il tango tossico tra Usa e Ue si gioca sullo scivoloso piano delle regole. Il ri-Ttip, infatti, rilancia i negoziati transatlantici sul riconoscimento reciproco della conformità degli standard per l’industria, in primo luogo chimica ma anche alimentare, considerato che nessun settore industriale è attualmente escluso dal confronto normativo tra le due parti. Poiché gli standard dell’Ue – di produzione, autorizzazione al commercio e di esportazione – sono molto più restrittivi e costosi di quelli statunitensi, qualsiasi negoziato volto ad armonizzarli con l’obiettivo di ridurre i costi per le industrie e rendere le merci più veloci nell’import-export, può solo portare a una riduzione degli standard europei. Un ulteriore modo per la Commissione di compiacere Trump e l’industria di entrambe le parti, che ha sempre premuto per allinearsi alla deregulation statunitense sacrificando la nostra salute.
Trump, per di più, vuole che il mercato europeo si apra alla carne bovina, al pollo, ai latticini e ai vini prodotti negli Usa, e preme agitando lo spettro di nuovi dazi sull’importazione di auto e parti di automobili europee – che colpirebbero principalmente la Germania – per ottenerlo. Nel documento sottoscritto dalle due parti il 25 luglio scorso, infatti, leggiamo che Europa e Usa si impegnavano “a aprire i mercati per i contadini e i lavoratori”. Impegno onorato da parte europea con l’impennata nelle importazioni di soia, che non ha placato però le pretese statunitensi.
Ora la palla passa ai governi europei, tra i quali quello italiano che nel Contratto di governo cita il Ttip come uno dei trattati da fermare perché limita come il Ceta la capacità nazionale di proteggere i diritti dei propri cittadini e sostenere una concorrenza alla pari. Se agli impegni seguiranno i fatti lo scopriremo al Consiglio per gli Affari Generali del 18 marzo in cui la Francia sembra volersi schierarsi contro il nuovo mandato, la Germania a favore, e l’Italia sarà chiamata a prendere una decisione finale.
* portavoce della campagna StopTTIP/CETA Italia