Tanto rumore per nulla. Torna in una serie tv documentaria il caso di Maddie, la bimba inglese scomparsa nel nulla nel 2007, ma siamo di nuovo al punto di partenza. Ne La scomparsa di Maddie McCann, disponibile da pochi giorni su Netflix, grazie ad oltre quaranta testimonianze di investigatori e giornalisti si ripercorre ciò che accadde nei giorni immediatamente successivi la sparizione della bimba inglese di 3 anni dall’Ocean Club Resort a Praia da Luz, nell’Algarve portoghese. Un fatto mediatico senza precedenti. Un caso giudiziario pieno di colpi di scena ma mai risolto grazie al ritrovamento di una prova certa. E il documentario, suddiviso in ben otto puntate da un’ora l’una, diretto da Chris Smith e prodotto da Pulse Films e Paramount Television, si presta sì ad una lunga e dettagliata funzione riassuntiva dei fatti, ma non fornisce nessuna nuova possibile pista a livello di indagine. O meglio, la sensazione è quella del classico alone di mistero, e degli interrogativi lanciati (con un montaggio ridondante) sugli stessi tre quattro spunti storici e di cronaca, lasciati penzolare per mantenere viva l’attenzione su un caso che altrimenti finirebbe nel più vago dei dimenticatoi.
Intanto alcune considerazioni oggettive sulla miniserie si possono fare. La prima è che il peso specifico in 12 ore di visione pende tutto dalla parte di un’insinuante colpevolezza verso i genitori della bimba scomparsa. Era la sera del 3 maggio 2007 quando i McCann cenarono assieme ad altre tre coppie di amici inglesi nel ristorante del resort dove si trovavano in vacanza, sedendosi ad un tavolo che era a nemmeno sessanta metri dal proprio appartamento. Ne La scomparsa di Madaleine McCann, dopo aver mostrato che per primo fu accusato dalla polizia portoghese un tizio inglese, tal Robert Murat, residente nei paraggi dell’appartamento dei McCann, e fermato anche un esperto informatico Sergei Malinka, anche lui abitante nella zona, le maglie si stringono sulle ambiguità delle testimonianze di Kate e del cardiologo Gerry, la sera della scomparsa di Maddie. Ve li ricorderete. La coppia apparve nel giro di poche settimane in decine e decine di appelli video, con mamma Kate a stringere in mano un pupazzetto della figlia e papà Gerry a tenere sempre stretta forte la mano della moglie. Il lavoro di Smith indugia assai nei ricordi nebulosi dei due e degli amici (quasi tutti medici) dei McCann seduti al tavolo della cena di quella tragica sera, e nella quasi certezza che la scena del crimine, ovvero la stanza dove Maddie dormiva, fosse stata modificata più volte dal viavai di genitori, amici e vicini per ore.
Le sequenze originali si soffermano su alcuni dettagli investigativi, commentati dal coordinatore delle indagini, Goncalo Amaral, il principale accusatore dei McCann, poi rimosso dall’incarico ed autore di un libro sulla vicenda. L’attività dei cani segugio sulle possibili tracce di sangue oramai invisibili, questa confusa “ronda” di controllo dei McCann e degli amici per verificare se durante la cena nei vari appartamenti i figli (in tutto otto bambini piccoli) stessero dormendo tranquilli, l’ipotesi della precedente uccisione della bimba e la conservazione del suo cadavere prima di disfarsene. Pure congetture, insinuazioni, che finirono archiviate con un nulla di fatto nel 2008. Eppure il cuore de La scomparsa di Madaleine McCann sembra proprio questo.
Artificio retorico e leggermente capzioso per qualsiasi documentarista di casi di cronaca. I McCann sul banco degli imputati, con un punto di vista morale negativo che non lascia scampo, e l’attenzione che torna sempre verso l’idea che la quantità immensa di fari puntati di giornali e tv fosse una sorta di “privilegio” (tante le testimonianze di casi di bimbi scomparsi in Portogallo che non ebbero che un 1% dei servizi e degli articoli del caso Maddie). Versione che ha fatto molto imbestialire i giornali inglesi, soprattutto il Guardian che ha parlato di “inutili ricapitolazioni” e di “cul-de-sac” della cronaca per criticare il lavoro targato Netflix. Miniserie verso la quale anche i coniugi McCann hanno esposto le loro rimostranze in quanto rischierebbe di influenzare le indagini ancora in corso dopo 12 anni. Indagini che sono costate a Scotland Yard oltre 14 milioni di euro.