Il 31 maggio 2017, la promessa della sindaca Virginia Raggi era stata chiara: “Possiamo annunciare in maniera molto netta che finalmente a Roma saranno superati i campi rom. Abbiamo infatti approvato un Piano che consente di riportare Roma in Europa, abbiamo appreso le migliori prassi che hanno funzionato e le portiamo a Roma per superare i campi”. Per gli addetti ai lavori il “Piano rom” annunciato quel giorno dalla Giunta pentastellata rappresentava qualcosa di dirompente perché sembrava giunto finalmente il momento di gettare alle spalle anni bui di violazione di diritti umani, di costruzione di ghetti etnici, di sgomberi forzati, di approcci dall’impronta marcatamente securitaria. Per la prima volta nella Capitale, una Giunta capitolina aveva manifestato l’importanza di impegnare risorse umane ed economiche per l’inclusione sociale, comprendendo che solo pagando stipendi ad educatori, operatori pedagogici e formatori si sarebbe potuto avviare un processo che avrebbe posto la parola “fine” alla vergogna romana dei campi per soli rom.

A Roma sono 16 gli insediamenti rom progettati, costruiti e in parte gestiti dall’Amministrazione Comunale. Il primo fu inaugurato in via Salviati, sotto l’Amministrazione guidata da Francesco Rutelli il 6 dicembre 1994 per offrire una soluzione abitativa – considerata al quel tempo innovativa – a 14 famiglie rom. Oggi la baraccopoli è una sorta di un girone infernale abitato da 300 persone, quasi tutte di origini bosniache e in teoria avrebbe dovuto essere il primo a chiudersi attraverso le azioni del “Piano rom”. Invece, dopo decenni di promesse non mantenute e montagne di denunce di cittadini esasperati e dopo un “Piano rom” annunciato come una svolta, al posto degli attesi operatori sociali, ecco giungere in via di Salviati l’esercito e invece dei soldi per la fuoriuscita dall’insediamento, ben 100mila euro destinati alla pulizia dell’area.

“Avevamo chiesto già da due anni alla Prefettura di poter avere un supporto e un ausilio dell’esercito – ha dichiarato la sindaca sulla sua pagina Facebook – Devo ringraziare la prefettura, il Viminale, il Ministero della Difesa, l’esercito, la brigata Sassari che di fatto ci sta affiancando per fare vigilanza e presidio h24 per tutelare la zona”.

Si tratta di 39 militari, annunciati nei giorni scorsi dal ministro Matteo Salvini che, dopo Salviati, verranno impiegati a partire dai prossimi giorni nei campi di Salone e Castel Romano. I militari della brigata Sassari si sono formati in Medio Oriente e nei Balcani con le varie missioni operative in Kosovo, Macedonia, Iraq e Afghanistan. Ed ora ce li ritroveremo, con le loro tute mimetiche ed i kalashnikov, alle porte di aree dove scorrazzano bambini, dove vanno e vengono giovani mamme con i loro piccoli. E’ l’ennesima sconfitta di una politica incapace di mantenere i suoi impegni e che, davanti ai fallimenti sociali, dirotta verso la dimensione dell’emergenza e della sicurezza.

L’ultima volta che avevo visto i militari nei campi romani era sto durante il triennio dell’Emergenza Nomadi, quando ministro dell’Interno era il leghista Maroni. Oggi c’è Salvini ed i militari sono tornati. Davanti al disagio sociale, alla marginalità, alla povertà, all’esclusione, l’uso della forza da parte dello Stato non può avere altro risultato che quello di esasperare gli animi, di reprimere rabbie che devono trovare il loro sfogo in percorsi virtuosi, di consegnare un illusorio senso di sicurezza.

Ora, mancano solo le telecamere di videosorveglianza per tornare indietro di 10 anni. In alcuni campi ci sono già, ma sotto l’Emergenza Nomadi erano state disattivate.

Per questo, nei giorni scorsi, il Comune di Roma ha approvato un “Patto per l’attuazione della sicurezza urbana” e si è impegnato “a tradurre in progetti esecutivi gli studi di fattibilità già realizzati per l’installazione di sistemi di videosorveglianza su sei campi rom della Capitale”. Alla Raggi è venuto in soccorso Nicola Zingaretti: la Regione Lazio, come specificato nello stesso documento, metterà a disposizione per l’esecutività, un milione di euro.

Precipitiamo indietro, e dell’annuncio del 31 maggio di due anni fa, resta solo l’illusione che per qualche ora quelle parole ci avevano consegnato. Roma rimane, convintamente e volutamente la “città dei campi rom”. Per la malafede, l’incompetenza e la vigliaccheria di chi è chiamato a governare, ci ritroveremo anni bui davanti ai nostri occhi, dove il prezzo della violazione dei diritti umani, unito alle alte cifre buttate inutilmente nella sicurezza, saranno il fardello che, come un debito, lasceremo sulle spalle di chi verrà dopo di noi.

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