È la frase che si legge sul fascicolo in obitorio che riguarda la teste del processo Ruby. Attesi tra qualche giorno la verifica sulle sostanze radioattive e l'autopsia. Tutte le quantità di metallo trovate nel sangue erano sotto i livelli di guardia. La ragazza era risultata negativa a test per arsenico e leptospirosi
La frase è scritta a mano sul fascicolo dell’obitorio di Milano e riguarda il suo cadavere. “Non farla vedere a nessuno”. Lei è Imane Fadil, una delle testi chiave del processo Ruby, morta il primo marzo e nel pomeriggio di quello stesso giorno trasferita dalla clinica Humanitas all’obitorio. È questo l’ordine della Procura: non fare avvicinare nessuno, nemmeno amici e parenti, al cadavere della modella di 34 anni di origini marocchine da oltre due settimane ‘blindato’ in attesa dell’autopsia. Un’autopsia che è attesa tra mercoledì 20 e giovedì 21 marzo e – forse – rimandata fino ad allora per il rischio che il mix di sostanze radioattive che possono averla uccisa metta in pericolo gli stessi anatomopatologi. A guidare la squadra che si occuperà del corpo di Imane Fadil sarà Cristina Cattaneo, medico legale che si è occupata anche degli omicidi di Yara Gambirasio, Lidia Macchi ed Elisa Claps.
La quantità dei metalli non era letale – Tra qualche giorno, scrive oggi La Stampa, arriverà l’esito degli esami che riguardano la verifica di sostanze radioattive. Un riscontro parziale di questa ipotesi è arrivato già nelle mani della Procura di Milano, che ha commissionato queste analisi a un centro diverso rispetto alla Maugeri di Pavia. Quest’ultima, come ha specificato in una nota, ha effettuato soltanto il dosaggio dei metalli e non si è occupata della rilevazione di sostanze radioattive. La struttura infatti non ha né le competenze né le attrezzature per farlo. Nel sangue della modella ne sono trovati cinque metalli: cobalto, cromo, nichel, molibdeno e antimonio. Tutti, comunque, riscontrati in quantità non considerate letali. Anzi, sono tutti ampiamente sotto i livelli di guardia, come scrive oggi il Corriere della Sera: “Cobalto 0,7 microgrammi al litro” quando il livello di tossicità è 40 “e sotto i 10 non è mai trattato con cure mediche; cromo 2,6 quando il livello di tossicità è considerato 800; molibdeno plasmatico 2,6 (“Non ci sono livelli di guardia fissi perché non ci sono casi di tossicità acuta noti”); nichel ematico 2,8 (“Il livello di tossicità è almeno 100 volte superiore)”; “Antimonio plasmatico 3 (“Non ci sono livelli di guardia fissi perché non ci sono casi di tossicità acuta noti”); Cadmio 1,2 (fino 1,5 è nella norma)”. Un’eventuale contaminazione radioattiva è compatibile con i dati clinici e la grave patologia che aveva aggredito il midollo osseo di Imane.
Il ricovero e le ipotesi di diagnosi. Tutte scartate – Era arrivata il 29 gennaio all’ospedale Humanitas di Rozzano debolissima e con un quadro clinico molto complicato. Era gonfia, aveva dolori all’addome, vomitava. Quello che i medici avevano subito rilevato era un grave malfunzionamento del midollo e nel cercare le cause di questa aplasia avevano ipotizzato anche che all’origine ci fossero un cancro, un tumore del sangue, il lupus – una malattia autoimmune – e l’avvelenamento da arsenico. In quest’ultimo caso le analisi erano state fatte al Niguarda. Tutte ipotesi scartate. Secondo quanto riferisce il Corriere della Sera, il personale sanitario dell’Humanitas sospettava inizialmente che il suo stato di deperimento fosse dovuto alla leptospirosi, malattia che si contrae anche venendo a contatto con l’urina dei topi. Era stata Imane stessa, non molti giorni dopo il ricovero, a raccontare ai medici di vivere in una cascina in campagna, alla periferia di Milano, dove c’era anche qualche topo. In seguito agli accertamenti, anche questa ipotesi venne accantonata. Durante la degenza in ospedale, durata dal 29 gennaio al 1 marzo, giorno della morte, la ragazza è passata da vari reparti: medicina generale, terapia intensiva, rianimazione. Dieci giorni prima della morte, intorno al 19 febbraio, il personale dell’Humanitas aveva avvertito la polizia giudiziaria dei timori di Imane, che era convinta di essere stata avvelenata. Una segnalazione, però che in procura non è mai arrivata.
Imane, nonostante alle udienze in Tribunale si presentasse elegante e impeccabile, aveva difficoltà economiche. Non lavorava da anni. Nel 2012 le erano entrati 40mila euro da una querela vinta a Torino, poi aveva rifiutato l’offerta della deputata di Forza Italia Maria Rosaria Rossi (imputata nel Ruby Ter per falsa testimonianza) di 250mila euro se avesse ritirato la costituzione di parte civile. Quella poi che a gennaio 2019 è stata rigettata dai giudici e che in lei ha creato grande delusione. Nei processi Ruby e Ruby bis aveva chiesto un risarcimento complessivo per 2,5 milioni di euro.