Dopo il successo delle primarie, la ratifica. L’Assemblea nazionale ha proclamato Nicola Zingaretti segretario del Pd. E nel suo primo discorso da segretario, il presidente della Regione Lazio ha detto che “il Partito democratico non è una bad company”, annunciando una room data e un nuovo statuto. “Serve un nuovo partito, il nuovo Pd. L’organizzazione dovrà cambiare, forse dovrà cambiare tutto e dovremo crederci tutti perché tutti saremo chiamati a dare il nostro contributo”. In attesa di far vedere un reale cambiamento (decisiva la composizione della segreteria), però, il nuovo segretario del Pd ha deciso di puntare sull’usato sicuro: ha proposto Paolo Gentiloni come presidente del partito (poi votato a larghissima maggioranza dall’assemblea) e come tesoriere il veterano Luigi Zanda, che a inizio settimana ha proposto il ritorno al finanziamento pubblico dei partiti. Nessun volto nuovo anche per la vicepresidenza, dove Gentiloni ha voluto Anna Ascani e Deborah Serracchiani. È rimasto deluso anche chi si aspettava una vera rottura col passato rispetto al metodo scelto da Zingaretti: scelta fortemente unitaria per la presidenza (l’ex premier Gentiloni) e due vice presidenti di assemblea per le minoranza. Stop. Per il resto piccole concessioni (il segretario poteva scegliere 20 delegati in direzione, si è limitato a indicarne 14), aperture agli avversari delle primarie (il vicesegretario) e tanta attesa per la nuova segreteria, che sarà ufficializzata nei prossimi giorni.
LA DIREZIONE – Dopo presidente, vicepresidente e tesoriere, l’assemblea Pd ha eletto i 120 membri della direzione dem a maggioranza (con sei astenuti) e in proporzione ai risultati delle primarie. Altri 14 componenti sono stati designati dal segretario Nicola Zingaretti (gliene spettavano 20, ma ne ha lasciati 6 alle minoranze) e un altro numero da definire con vari criteri che porterà il totale a circa 200. Tra questi, sono 130 in totale i componenti della direzione che fanno riferimento a Zingaretti – 78 nella quota elettiva -, 16 quelli di Roberto Giachetti e nella ex mozione Martina sono 32 i membri dell’area di Luca Lotti e Lorenzo Guerini – tornata autonoma dopo le primarie – e 27 quelli propriamente martiniani. Tra gli eletti ci sono: Francesco Boccia, Carlo Calenda, Monica Cirinnà, Cesare Damiano, Paola De Micheli, Michela De Biase, Marianna Madia, Pierfrancesco Maiorino, Andrea Martella, Marco Minniti, Andrea Orlando, Roberta Pinotti, Barbara Pollastrini, Marina Sereni, Sandra Zampa, Matteo Mauri, Tommaso Nannicini, Matteo Richetti, Alessia Morani, Francesco Verducci, Alessia Rotta, Dario Parrini, Beppe Fioroni, Ivan Scalfarotto, Maria Elena Boschi. A questi bisogna aggiunge i membri di diritto e i 14 nomi, comunicati in Assemblea, scelti direttamente dal segretario come prevede lo statuto.
I NOMI SCELTI DA ZINGARETTI – In questi nomi è tangibile l’unico cambiamento di Zingaretti, che ha optato per un’apertura – si legge nella nota inviata dall’ufficio stampa del segretario – “a volti ed energie nuove, portando avanti il suo lavoro per restituire ai Dem un profilo aperto alla società e vicino ai temi dell’ambiente, ai giovani e agli amministratori“. Tra i nominati ci sono Anna Pittelli, (28 anni, si è sempre occupata di immigrazione e diritti nella sua Calabria) Irene Zappalà (27 anni, assessore alla cultura a Nova Milanese), Caterina Conti (30 anni, ricercatrice di Trieste), Michele De Pascale (34 anni, sindaco di Ravenna), Andrea Pacella (32 anni, tra i leader dei giovani dem), Shady Alizadeh (23 anni, attivista di tematiche europee, protagonista della rete Rigenerazione Italia), Maria Pia Pizzolante, (34 anni, lotta alla povertà, rete Tilt), Marco Furfaro, 36 anni (questi ultimi due vicini al braccio destro di Zingaretti alla Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio, coordinatore delle iniziative congressuali di Piazza Grande). Oltre a loro ci sono anche Ermete Realacci, il vice direttore dello SvimezPeppe Provenzano, Sergio Lo Giudice, l’economista e vice presidente dell’Emilia Romagna Elisabetta Gualmini, la storica Emma Fattorini eanche Carlo Calenda, promotore del manifesto ‘Siamo Europei’ per una lista unica europeista. Eletti anche i 9 membri della Commissione di garanzia del partito.”Abbiamo concluso i nostri lavori. Al lavoro e alla lotta” ha detto il neo presidente del Pd Gentiloni, chiudendo la seduta della riunione all’Ergife.
LA SFIDA INTERNA ALLA MOZIONE MARTINA – Il braccio di ferro più significativo era all’interno della mozione Martina, dove l’area Lotti-Guerini rivendicava per sé 33 delegati attribuendone 21 a Martina. I martiniani, invece, si accreditavano a quota 26 delegati, attribuendone 28 all’ex ministro dello Sport. Alla fine, sono stati 32 gli uomini vicini all’area Lotti-Guerini che approderanno nell’organi di indirizzo dem contro i 27 vicini all’area Martina. La prima sottocorrente è rappresentata in direzione da Paita, Prestipino, Morani, Tartaglione, Rotta, Bonomo, Bini, Sudano, Critelli, Alfieri, De Luca, Moscardelli, D’Alfonso, Irto, Stefano, De Filippo, Parrini, Barberis, Guerini, Marcucci, Dal Moro, Faraone, Polese, Vattuone, Huber, Timpano, Annunziata, Bocci, Facciolla, Graziano, Bonafè e Nardella. I 27 esponenti ‘martiniani’, invece, sono Mauri, Nannicini, Richetti, Verducci, Bettin, Marciano, Fioroni, Lubatti, Gribaudo, Grippo, Tajani, Campana, Manzi, Brenda Barnini, Pini, Cerasani, De Maria, Delrio, Martina, Orfini, Valente, Zunino, Calvano, La Carra, Bocci Marini e Serracchiani. Il totale della mozione è quindi di 58 membri in direzione: 32 elettivi più 26 di diritto.
IL PRIMO DISCORSO DI ZINGARETTI SEGRETARIO: “NO A FILIERE DI POTERE” – Al netto di numeri, trattative e nomi, all’hotel Ergife di Roma è andato in scena il primo discorso da segretario di Nicola Zingaretti. “Tornino ad essere i nostri circoli i luoghi dove gli altri fanno associazionismo – ha detto – No a filiere di potere che restringono il nostro rapporto con la realtà sociale del Paese. Troppo spesso alla ricchezza positiva del confronto tra territori si è sostituita la freddezza dei terminali correntizi”. Per quanto riguarda l’attuale esecutivo Lega-M5s, a sentire Zingaretti il momento di tornare al voto “non è lontano perché il governo non potrà reggere a lungo a questo show confuso dell’antipolitica, è destinato a sfarinarsi e a dividersi“. Per questo motivo occorre farsi trovare pronti con “un’altra ipotesi di governo”. “Un paese non si governa con i ni. Questa è la colpa di chi a al governo da 9 mesi – ha spiegato Zingaretti – Questo immobilismo che genere un insopportabile costo dell’incertezza. L’Italia così galleggia malamente con la prospettiva di affondare presto se non accade qualcosa“.
“COORDINAMENTO DELLE OPPOSIZIONI” – “Anche in Parlamento noi dobbiamo fare un passo in avanti e propongo una fase di rafforzamento, di collaborazione, dando vita a un coordinamento di tutti i gruppi parlamenti di opposizione” come primo passo di “un possibile nuovo campo centrosinistra nella battaglia sui temi dell’oggi”. Serve “un campo più largo per rispondere alla Lega che è il vero dominus del governo. Ora è possibile e a noi ora dobbiamo muoverci, insieme, mettendo in campo una nuova fase e per farlo dobbiamo voltare pagina“.
GIACHETTI: “MINORANZA LEALE, NON COME QUELLA DI PRIMA” – “Saremo ventre a terra dove Nicola riterrà per dare forza al partito nelle elezioni che vengono. Augurio sincero di buon lavoro. Saremo una minoranza leale a differenza di quelle precedenti perché non spareremo sulla dirigenza. Resteremo in minoranza, nessun incarico in segreteria” ha detto Roberto Giachetti, il candidato renziano alle primarie, intervenendo in assemblea del Pd a Roma. Giachetti, tuttavia, non ha risparmiato attacchi e accuse al neo segretario: “Siamo un gruppetto di 120 persone, ci dovrete sopportare, chiedo scusa per il disturbo“, ha detto ironico Giachetti, secondo cui “bisogna allargare anche ai delusi che non hanno votato alle primarie per quanto successo nei confronti del governo e del partito negli ultimi 5 anni, quelli non li troviamo probabilmente a sinistra…”. “Non siamo d’accordo con Nicola ad esempio sull’abolizione dell’unione delle cariche di segretario e candidato premier – ha continuato Giachetti – e spero che chi ha fatto battaglia politica contro di noi se ne stia a casa, preoccupiamoci di chi se n’è andato (gli elettori, ndr) perché gli abbiamo fatto la guerra. Siamo contenti che sia finita l’ipotesi di alleanza con M5S e che sia tornata la parola riformismo, ancorché progressista”. “La lotta alla povertà passa per il reddito di cittadinanza? Allora abbiamo un obiettivo diversissimo – ha attaccato ancora Giachetti – Nel Pd c’era una vastità di riferimenti originari che non hanno a che fare né con Gramsci né con Moro – ha detto riprendendo i riferimenti indicati da Zingaretti -. Non ho capito quali sono le alleanze politiche“.
MARTINA: “NON LASCIARE SALARIO MINIMO AL M5S” – “Questo è un partito, non una ‘baracca‘. Siamo pronti a dare una mano, saremo una minoranza, non un’opposizione. Vogliamo dare il senso del riformismo radicale che abbiamo messo nella nostra mozione” ha detto invece Maurizio Martina. “Non lascerei mai la battaglia del salario minimo a questa maggioranza di governo” ha aggiunto l’altro candidato alle primarie rivolgendosi al neo segretario Nicola Zingaretti e ribadendo che “il mio avversario è questa destra, non è dentro questa sala. Il Pd se vuole essere grande deve essere plurale”.
LA PROCLAMAZIONE E LE ALTRE NOMINE – È stato il presidente della commissione congresso uscente Gianni Dal Moro a formalizzare i risultati delle primarie del 3 marzo e gli esiti dei gazebo. Come ha spiegato Dal Moro, i voti totali sono stati 1.582.083 e quelli validi 1.569.628. In percentuale, Zingaretti ha avuto il 66% (in totale 1.035.955 voti). Dietro di lui, Maurizio Martina con il 22% e Roberto Giachetti con il 12%. I componenti eletti dell’Assemblea sono 451 donne e 549 uomini. I delegati della mozione Giachetti sono 119, quelli della mozione Martina 228 e quelli di Zingaretti 653. Da quello che si apprende, la componente renziana guidata da Maurizio Martina ha proposto di votare Paolo Gentiloni presidente dell’Assemblea. E così è stato, visto che l’ex premier è stato eletto presidente del Pd dalla larghissima maggioranza dei circa mille delegati a suo favore, nessun voto contrario, 86 gli astenuti. L’assemblea, poi, ha nominato Luigi Zanda tesoriere del partito (nessun voto contrario, larghissima maggioranza a favore, 83 gli astenuti) e successivamente Paolo Gentiloni ha nominato Anna Ascani e Deborah Serracchiani vicepresidenti.
RENZIANI NON COESI E LE TRATTATIVE PER IL NUMERO DUE – Una scelta fortemente unitaria per la presidenza, con Paolo Gentiloni, e due vice presidenti di assemblea per le minoranza. Stop. Nicola Zingaretti ha deluso chi pensava che alla prima riunione dell’Assemblea del Pd ci potesse essere spazio per discussioni e trattative sui posti e sull’organigramma interno. Il neo segretario ha subito dato un segno concreto, con Debora Serracchiani e Anna Ascani vice presidenti dell’Assemblea, ma non si è spinto oltre. Il segretario ha proposto poi Luigi Zanda tesoriere, che come da Statuto deve essere una nome di sua fiducia. Stamattina, però, prima che Zingaretti prendesse la parola e poi a margine dell’Assembea, si sono tenute diverse riunioni con al centro il tema dei nuovi organigrammi: direzione e segreteria su tutto. I numeri, tuttavia, nell’elezione dei nuovi vertici dem non sono mai un dettaglio: nel momento di votare per Gentiloni e Zanda si sono astenuti rispettivamente 86 e 83 delegati, tutti di area renziana. La componente interna riferibile all’ex Rottamatore, tuttavia, è rappresentata da 120 componenti, il che fa intendere che non tutti hanno seguito la linea dell’astensione per presidente e tesoriere. A interventi ancora in corso e dopo l’apertura del segretario Zingaretti ad avere un vice “indicato da chi non ha vinto il congresso”, in platea si è invece scatenata la caccia per conquistare la poltrona numero due del partito. Tra i nomi, quelli che circolano appartengono all’area Lotti-Guerini e sono quelli di Simona Malpezzi, Alessia Morani o lo stesso Luca Lotti. “Ancora non c’è nessun accordo, nessuna disponibilità a logiche strette di sottocorrente vecchio stile” hanno spiegato invece dall’area Martina. Le stesse fonti hanno anche aggiunto che “se il segretario Zingaretti per la vicesegreteria chiederà proposte alla mozione di minoranza che ha candidato Martina, si rivolgerà a lui direttamente e non certo a sottocorrenti”. Come ipotesi per il ruolo di vice segretario per la stessa area circolano i nomi di Tommaso Nannicini, Matteo Mauri, Chiara Gribaudo, Brenda Barnini.
Per quanto riguarda la direzione, come detto, dei circa 200 membri totali 120 vengono eletti in modo proporzionale alle tre mozioni, 20 sono scelti dal segretario e circa 50 sono membri di diritto (i segretari regionali, i capigruppo, gli ex segretari, ecc). A Zingaretti spettano 130 delegati, circa 54 alla mozione Martina e 15 a Giachetti. Più complesso il quadro per quel che riguarda gli assetti della futura segreteria. Di cui, hanno sottolineato fonti della mozione Zingaretti, “oggi non si è parlato”. Secondo le minoranze, oggi si sarebbe affrontato solo di un “accordo complessivo”, senza entrare nel merito dei nomi. A margine dell’Assemblea è circolata la voce di Simona Malpezzi vice segretaria, oltre all’indicazione di Paola De Micheli di cui si parla da diversi giorni. A stretto giro, però, l’area Martina ha fatto sapere: “Nessun accordo su Malpezzi vice. Nessuna disponibilità a logiche strette di sottocorrente vecchio stile”.
Politica
Zingaretti proclamato segretario Pd dall’Assemblea: ‘Dobbiamo cambiare tutto’. Gentiloni presidente, Zanda tesoriere
"Serve un nuovo partito, il nuovo Pd" ha detto il nuovo leader dem. In attesa di far vedere un reale cambiamento, il governatore del Lazio ha deciso di puntare sull'usato sicuro: ha proposto l'ex premier come successore di Orfini (poi votato a larghissima maggioranza dall'assemblea) e come tesoriere il veterano Luigi Zanda, che a inizio settimana ha proposto il ritorno al finanziamento pubblico dei partiti. Nessun volto nuovo anche per la vicepresidenza, dove Gentiloni ha voluto Anna Ascani e Deborah Serracchiani
Dopo il successo delle primarie, la ratifica. L’Assemblea nazionale ha proclamato Nicola Zingaretti segretario del Pd. E nel suo primo discorso da segretario, il presidente della Regione Lazio ha detto che “il Partito democratico non è una bad company”, annunciando una room data e un nuovo statuto. “Serve un nuovo partito, il nuovo Pd. L’organizzazione dovrà cambiare, forse dovrà cambiare tutto e dovremo crederci tutti perché tutti saremo chiamati a dare il nostro contributo”. In attesa di far vedere un reale cambiamento (decisiva la composizione della segreteria), però, il nuovo segretario del Pd ha deciso di puntare sull’usato sicuro: ha proposto Paolo Gentiloni come presidente del partito (poi votato a larghissima maggioranza dall’assemblea) e come tesoriere il veterano Luigi Zanda, che a inizio settimana ha proposto il ritorno al finanziamento pubblico dei partiti. Nessun volto nuovo anche per la vicepresidenza, dove Gentiloni ha voluto Anna Ascani e Deborah Serracchiani. È rimasto deluso anche chi si aspettava una vera rottura col passato rispetto al metodo scelto da Zingaretti: scelta fortemente unitaria per la presidenza (l’ex premier Gentiloni) e due vice presidenti di assemblea per le minoranza. Stop. Per il resto piccole concessioni (il segretario poteva scegliere 20 delegati in direzione, si è limitato a indicarne 14), aperture agli avversari delle primarie (il vicesegretario) e tanta attesa per la nuova segreteria, che sarà ufficializzata nei prossimi giorni.
LA DIREZIONE – Dopo presidente, vicepresidente e tesoriere, l’assemblea Pd ha eletto i 120 membri della direzione dem a maggioranza (con sei astenuti) e in proporzione ai risultati delle primarie. Altri 14 componenti sono stati designati dal segretario Nicola Zingaretti (gliene spettavano 20, ma ne ha lasciati 6 alle minoranze) e un altro numero da definire con vari criteri che porterà il totale a circa 200. Tra questi, sono 130 in totale i componenti della direzione che fanno riferimento a Zingaretti – 78 nella quota elettiva -, 16 quelli di Roberto Giachetti e nella ex mozione Martina sono 32 i membri dell’area di Luca Lotti e Lorenzo Guerini – tornata autonoma dopo le primarie – e 27 quelli propriamente martiniani. Tra gli eletti ci sono: Francesco Boccia, Carlo Calenda, Monica Cirinnà, Cesare Damiano, Paola De Micheli, Michela De Biase, Marianna Madia, Pierfrancesco Maiorino, Andrea Martella, Marco Minniti, Andrea Orlando, Roberta Pinotti, Barbara Pollastrini, Marina Sereni, Sandra Zampa, Matteo Mauri, Tommaso Nannicini, Matteo Richetti, Alessia Morani, Francesco Verducci, Alessia Rotta, Dario Parrini, Beppe Fioroni, Ivan Scalfarotto, Maria Elena Boschi. A questi bisogna aggiunge i membri di diritto e i 14 nomi, comunicati in Assemblea, scelti direttamente dal segretario come prevede lo statuto.
I NOMI SCELTI DA ZINGARETTI – In questi nomi è tangibile l’unico cambiamento di Zingaretti, che ha optato per un’apertura – si legge nella nota inviata dall’ufficio stampa del segretario – “a volti ed energie nuove, portando avanti il suo lavoro per restituire ai Dem un profilo aperto alla società e vicino ai temi dell’ambiente, ai giovani e agli amministratori“. Tra i nominati ci sono Anna Pittelli, (28 anni, si è sempre occupata di immigrazione e diritti nella sua Calabria) Irene Zappalà (27 anni, assessore alla cultura a Nova Milanese), Caterina Conti (30 anni, ricercatrice di Trieste), Michele De Pascale (34 anni, sindaco di Ravenna), Andrea Pacella (32 anni, tra i leader dei giovani dem), Shady Alizadeh (23 anni, attivista di tematiche europee, protagonista della rete Rigenerazione Italia), Maria Pia Pizzolante, (34 anni, lotta alla povertà, rete Tilt), Marco Furfaro, 36 anni (questi ultimi due vicini al braccio destro di Zingaretti alla Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio, coordinatore delle iniziative congressuali di Piazza Grande). Oltre a loro ci sono anche Ermete Realacci, il vice direttore dello SvimezPeppe Provenzano, Sergio Lo Giudice, l’economista e vice presidente dell’Emilia Romagna Elisabetta Gualmini, la storica Emma Fattorini eanche Carlo Calenda, promotore del manifesto ‘Siamo Europei’ per una lista unica europeista. Eletti anche i 9 membri della Commissione di garanzia del partito.”Abbiamo concluso i nostri lavori. Al lavoro e alla lotta” ha detto il neo presidente del Pd Gentiloni, chiudendo la seduta della riunione all’Ergife.
LA SFIDA INTERNA ALLA MOZIONE MARTINA – Il braccio di ferro più significativo era all’interno della mozione Martina, dove l’area Lotti-Guerini rivendicava per sé 33 delegati attribuendone 21 a Martina. I martiniani, invece, si accreditavano a quota 26 delegati, attribuendone 28 all’ex ministro dello Sport. Alla fine, sono stati 32 gli uomini vicini all’area Lotti-Guerini che approderanno nell’organi di indirizzo dem contro i 27 vicini all’area Martina. La prima sottocorrente è rappresentata in direzione da Paita, Prestipino, Morani, Tartaglione, Rotta, Bonomo, Bini, Sudano, Critelli, Alfieri, De Luca, Moscardelli, D’Alfonso, Irto, Stefano, De Filippo, Parrini, Barberis, Guerini, Marcucci, Dal Moro, Faraone, Polese, Vattuone, Huber, Timpano, Annunziata, Bocci, Facciolla, Graziano, Bonafè e Nardella. I 27 esponenti ‘martiniani’, invece, sono Mauri, Nannicini, Richetti, Verducci, Bettin, Marciano, Fioroni, Lubatti, Gribaudo, Grippo, Tajani, Campana, Manzi, Brenda Barnini, Pini, Cerasani, De Maria, Delrio, Martina, Orfini, Valente, Zunino, Calvano, La Carra, Bocci Marini e Serracchiani. Il totale della mozione è quindi di 58 membri in direzione: 32 elettivi più 26 di diritto.
IL PRIMO DISCORSO DI ZINGARETTI SEGRETARIO: “NO A FILIERE DI POTERE” – Al netto di numeri, trattative e nomi, all’hotel Ergife di Roma è andato in scena il primo discorso da segretario di Nicola Zingaretti. “Tornino ad essere i nostri circoli i luoghi dove gli altri fanno associazionismo – ha detto – No a filiere di potere che restringono il nostro rapporto con la realtà sociale del Paese. Troppo spesso alla ricchezza positiva del confronto tra territori si è sostituita la freddezza dei terminali correntizi”. Per quanto riguarda l’attuale esecutivo Lega-M5s, a sentire Zingaretti il momento di tornare al voto “non è lontano perché il governo non potrà reggere a lungo a questo show confuso dell’antipolitica, è destinato a sfarinarsi e a dividersi“. Per questo motivo occorre farsi trovare pronti con “un’altra ipotesi di governo”. “Un paese non si governa con i ni. Questa è la colpa di chi a al governo da 9 mesi – ha spiegato Zingaretti – Questo immobilismo che genere un insopportabile costo dell’incertezza. L’Italia così galleggia malamente con la prospettiva di affondare presto se non accade qualcosa“.
“COORDINAMENTO DELLE OPPOSIZIONI” – “Anche in Parlamento noi dobbiamo fare un passo in avanti e propongo una fase di rafforzamento, di collaborazione, dando vita a un coordinamento di tutti i gruppi parlamenti di opposizione” come primo passo di “un possibile nuovo campo centrosinistra nella battaglia sui temi dell’oggi”. Serve “un campo più largo per rispondere alla Lega che è il vero dominus del governo. Ora è possibile e a noi ora dobbiamo muoverci, insieme, mettendo in campo una nuova fase e per farlo dobbiamo voltare pagina“.
GIACHETTI: “MINORANZA LEALE, NON COME QUELLA DI PRIMA” – “Saremo ventre a terra dove Nicola riterrà per dare forza al partito nelle elezioni che vengono. Augurio sincero di buon lavoro. Saremo una minoranza leale a differenza di quelle precedenti perché non spareremo sulla dirigenza. Resteremo in minoranza, nessun incarico in segreteria” ha detto Roberto Giachetti, il candidato renziano alle primarie, intervenendo in assemblea del Pd a Roma. Giachetti, tuttavia, non ha risparmiato attacchi e accuse al neo segretario: “Siamo un gruppetto di 120 persone, ci dovrete sopportare, chiedo scusa per il disturbo“, ha detto ironico Giachetti, secondo cui “bisogna allargare anche ai delusi che non hanno votato alle primarie per quanto successo nei confronti del governo e del partito negli ultimi 5 anni, quelli non li troviamo probabilmente a sinistra…”. “Non siamo d’accordo con Nicola ad esempio sull’abolizione dell’unione delle cariche di segretario e candidato premier – ha continuato Giachetti – e spero che chi ha fatto battaglia politica contro di noi se ne stia a casa, preoccupiamoci di chi se n’è andato (gli elettori, ndr) perché gli abbiamo fatto la guerra. Siamo contenti che sia finita l’ipotesi di alleanza con M5S e che sia tornata la parola riformismo, ancorché progressista”. “La lotta alla povertà passa per il reddito di cittadinanza? Allora abbiamo un obiettivo diversissimo – ha attaccato ancora Giachetti – Nel Pd c’era una vastità di riferimenti originari che non hanno a che fare né con Gramsci né con Moro – ha detto riprendendo i riferimenti indicati da Zingaretti -. Non ho capito quali sono le alleanze politiche“.
MARTINA: “NON LASCIARE SALARIO MINIMO AL M5S” – “Questo è un partito, non una ‘baracca‘. Siamo pronti a dare una mano, saremo una minoranza, non un’opposizione. Vogliamo dare il senso del riformismo radicale che abbiamo messo nella nostra mozione” ha detto invece Maurizio Martina. “Non lascerei mai la battaglia del salario minimo a questa maggioranza di governo” ha aggiunto l’altro candidato alle primarie rivolgendosi al neo segretario Nicola Zingaretti e ribadendo che “il mio avversario è questa destra, non è dentro questa sala. Il Pd se vuole essere grande deve essere plurale”.
LA PROCLAMAZIONE E LE ALTRE NOMINE – È stato il presidente della commissione congresso uscente Gianni Dal Moro a formalizzare i risultati delle primarie del 3 marzo e gli esiti dei gazebo. Come ha spiegato Dal Moro, i voti totali sono stati 1.582.083 e quelli validi 1.569.628. In percentuale, Zingaretti ha avuto il 66% (in totale 1.035.955 voti). Dietro di lui, Maurizio Martina con il 22% e Roberto Giachetti con il 12%. I componenti eletti dell’Assemblea sono 451 donne e 549 uomini. I delegati della mozione Giachetti sono 119, quelli della mozione Martina 228 e quelli di Zingaretti 653. Da quello che si apprende, la componente renziana guidata da Maurizio Martina ha proposto di votare Paolo Gentiloni presidente dell’Assemblea. E così è stato, visto che l’ex premier è stato eletto presidente del Pd dalla larghissima maggioranza dei circa mille delegati a suo favore, nessun voto contrario, 86 gli astenuti. L’assemblea, poi, ha nominato Luigi Zanda tesoriere del partito (nessun voto contrario, larghissima maggioranza a favore, 83 gli astenuti) e successivamente Paolo Gentiloni ha nominato Anna Ascani e Deborah Serracchiani vicepresidenti.
RENZIANI NON COESI E LE TRATTATIVE PER IL NUMERO DUE – Una scelta fortemente unitaria per la presidenza, con Paolo Gentiloni, e due vice presidenti di assemblea per le minoranza. Stop. Nicola Zingaretti ha deluso chi pensava che alla prima riunione dell’Assemblea del Pd ci potesse essere spazio per discussioni e trattative sui posti e sull’organigramma interno. Il neo segretario ha subito dato un segno concreto, con Debora Serracchiani e Anna Ascani vice presidenti dell’Assemblea, ma non si è spinto oltre. Il segretario ha proposto poi Luigi Zanda tesoriere, che come da Statuto deve essere una nome di sua fiducia. Stamattina, però, prima che Zingaretti prendesse la parola e poi a margine dell’Assembea, si sono tenute diverse riunioni con al centro il tema dei nuovi organigrammi: direzione e segreteria su tutto. I numeri, tuttavia, nell’elezione dei nuovi vertici dem non sono mai un dettaglio: nel momento di votare per Gentiloni e Zanda si sono astenuti rispettivamente 86 e 83 delegati, tutti di area renziana. La componente interna riferibile all’ex Rottamatore, tuttavia, è rappresentata da 120 componenti, il che fa intendere che non tutti hanno seguito la linea dell’astensione per presidente e tesoriere. A interventi ancora in corso e dopo l’apertura del segretario Zingaretti ad avere un vice “indicato da chi non ha vinto il congresso”, in platea si è invece scatenata la caccia per conquistare la poltrona numero due del partito. Tra i nomi, quelli che circolano appartengono all’area Lotti-Guerini e sono quelli di Simona Malpezzi, Alessia Morani o lo stesso Luca Lotti. “Ancora non c’è nessun accordo, nessuna disponibilità a logiche strette di sottocorrente vecchio stile” hanno spiegato invece dall’area Martina. Le stesse fonti hanno anche aggiunto che “se il segretario Zingaretti per la vicesegreteria chiederà proposte alla mozione di minoranza che ha candidato Martina, si rivolgerà a lui direttamente e non certo a sottocorrenti”. Come ipotesi per il ruolo di vice segretario per la stessa area circolano i nomi di Tommaso Nannicini, Matteo Mauri, Chiara Gribaudo, Brenda Barnini.
Per quanto riguarda la direzione, come detto, dei circa 200 membri totali 120 vengono eletti in modo proporzionale alle tre mozioni, 20 sono scelti dal segretario e circa 50 sono membri di diritto (i segretari regionali, i capigruppo, gli ex segretari, ecc). A Zingaretti spettano 130 delegati, circa 54 alla mozione Martina e 15 a Giachetti. Più complesso il quadro per quel che riguarda gli assetti della futura segreteria. Di cui, hanno sottolineato fonti della mozione Zingaretti, “oggi non si è parlato”. Secondo le minoranze, oggi si sarebbe affrontato solo di un “accordo complessivo”, senza entrare nel merito dei nomi. A margine dell’Assemblea è circolata la voce di Simona Malpezzi vice segretaria, oltre all’indicazione di Paola De Micheli di cui si parla da diversi giorni. A stretto giro, però, l’area Martina ha fatto sapere: “Nessun accordo su Malpezzi vice. Nessuna disponibilità a logiche strette di sottocorrente vecchio stile”.
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Roma, 27 feb. (Adnkronos) - "I continui rinvii del governo Meloni sembravano indirizzati a portare a compimento qualcosa di più della semplice propaganda, ma invece si va verso il nulla. Tre miliardi rispetto alla marea di aumenti sulle bollette sono davvero poca cosa, quasi una presa in giro. Milioni di cittadini stanno subendo rincari di quasi il 40%, migliaia di aziende rischiano la chiusura e altrettanti lavoratori il proprio posto. Ma d'altronde sbagliamo noi a stupirci. Per il governo Meloni il modello d'imprenditoria è quello della ministra Santanchè. Sbaglia chi si spacca la schiena come i cittadini che cercano di far quadrare i conti a fine mese o le imprese che fanno di tutto per stare sul mercato. Per Giorgia Meloni la cosa migliore è cercare qualche santo in paradiso o, meglio ancora, qualche amicizia che conti". Così in una nota Riccardo Ricciardi, capogruppo M5S alla Camera.
Roma, 27 feb. (Adnkronos) - "Ci sono modalità diverse con le quali ci si rapporta a Trump. Credo che la presidente Meloni senta la responsabilità di essere un ponte fra l'Europa e l'America dati i suoi buoni rapporti con Trump". Lo ha detto l'eurodeputata di Fi, Letizia Moratti, a Otto e mezzo su La7.
"Sul tema dei dazi, credo che Trump sia uno shock per l'Europa, uno stimolo positivo perché l'Ue può mettere in atto le riforme richieste nel rapporto Draghi e Letta che chiedono un'Europa più competitiva, più favorevole agli investimenti, con una transizione energetica sostenibile e quindi in grado di sostenere il welfare."
"Siamo alleati storici degli Usa - continua Moratti - e in questo momento dobbiamo avere la consapevolezza di dover comunque avere a che fare con un presidente eletto ed anche amato dai cittadini americani. L'Europa non può permettersi di non avere un dialogo con Trump. Sono moderata e liberale e il suo stile non mi appartiene ma nell'ambito del mio ruolo di parlamentare europea credo sia dovere rispondergli con fermezza e immediatezza ma cercando sempre il dialogo che porta vantaggi reciproci, come ha detto oggi la presidente Metsola."
Roma, 27 feb. (Adnkronos) - Nel momento in cui Donald Trump "fa saltare l'ordine internazionale basato sul multilateralismo" e "mette a rischio l'unità europea", è importante non far mancare "il nostro sostegno all'Ucraina" parallelamente ai negoziati che "non potranno coinvolgere Europa e Ucraina". Così Alessandro Alfieri, coordinatore di Energia Popolare, alla Direzione del Pd.
Roma, 27 feb. (Adnkronos) - “Il giorno in cui Eni annuncia un utile di 14,3 miliardi di euro, la maggioranza presenta un decreto truffa che non affronta la vera questione di come ridurre il peso delle bollette. Il Governo Meloni per aiutare veramente le famiglie italiane avrebbe dovuto tassare gli extraprofitti, rivedere la decisione di trasferire 4,5 milioni di famiglie dal mercato tutelato a quello libero, e puntare sulle rinnovabili invece che sul gas". Così Angelo Bonelli, Co-Portavoce di Europa Verde e deputato di Alleanza Verdi e Sinistra.
"La realtà dei fatti resta una sola: il governo di Giorgia Meloni ha favorito i grandi colossi energetici, che hanno accumulato extraprofitti per oltre 60 miliardi di euro, mentre le famiglie italiane hanno visto raddoppiare le bollette e molte sono costrette a non riscaldarsi per paura di non poterle pagare".
Roma, 27 feb. (Adnkronos) - “Benissimo il governo sulle bollette: previsti tre miliardi che andranno a sostegno di imprese e almeno 8 milioni di famiglie. Dalle parole ai fatti”. Così Armando Siri, Consigliere per le politiche economiche del Vicepremier Matteo Salvini e coordinatore dipartimenti Lega.
Roma, 27 feb (Adnkronos) - "Alcune veloci considerazioni a partire dalle cose che credo vadano meglio precisate. La prima: non siamo stati e non siamo di fronte a postura bellicista dell’Europa. Non è mai stata l’Ue a voler fare o a voler continuare la guerra e non è nemmeno vero che la mancanza di iniziative di pace siano dipese da una mancanza di volontà politica della ue. È stato Putin a rifiutare sempre ogni dialogo, quel dialogo che oggi riconosce a Trump perché lo legittima come suo alleato", Lo ha detto la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno, alla Direzione del Pd.
"Occorre spingere con forza per un’autonomia strategica e politica dell’Europa, iniziando subito il percorso di cooperazione sulla difesa perché non saranno le buone intenzioni a rendere forte l’Unione Europea ma la capacità di imporsi e esercitare deterrenza, non escludendo nessuna opzione che sarà necessario adottare e che sarà stabilita in quadro di solidarietà europea".
"Per noi, democratici e europei, è il tempo di decidere - aggiunge Picierno- se essere solo un pezzetto di un Risiko in cui altri tirano i dadi o se essere un continente libero e forte. E va chiarito tanto ai nemici della democrazia quanto ai nostri alleati, senza perdere altro tempo e senza cincischiare noi: l’unica lotta che definisce il nostro tempo e il campo della politica, oggi, è quella dell’europeismo e in difesa delle democrazie liberali e delle libertà dei popoli".
"Siamo noi tutti in questo campo? Pensiamo ad un'alternativa alla destra che parta da questo campo? A me onestamente non è ancora chiaro. Sarei felice di essere smentita, ovviamente. Ma servono parole chiare che vanno pronunciate senza più giocare a nascondino. Crediamo tutti in un’Europa competitiva, con attori strategici del mercato più grandi e forti, un’Europa pronta ad affrontare le crisi internazionali sul piano politico e militare? Perchè questa è l’Europa che serve al mondo e agli europei. Non domani, oggi".
Roma, 27 feb. (Adnkronos) - Giorgia Meloni, "nell’incontro di Parigi c’era in ritardo e di malavoglia. Intanto partecipa con trasporto e passione agli incontri della destra mondiale che considera l’Europa un incidente della storia. A Kyiv alle celebrazioni per il terzo anno della resistenza, non c’era proprio. A dir il vero ero sola proprio come italiana, ma con tanti colleghi progressisti e socialisti, c’era il mondo libero, i leader e parlamentari progressisti consapevoli della sfida che abbiamo di fronte e che il tempo di agire è ora". Lo ha detto la vicepresidente del Parlamento Ue, Pina Picierno, alla Direzione del Pd.