Il "re" pugliese del grano, Francesco Casillo, finì in cella nel 2006: il pm e il gip del caso ora sono in carcere per corruzione. E l'imprenditore racconta a Repubblica, dopo essere stato ascoltato dai magistrati: "Finirono dentro anche i miei fratelli e mia sorella. Un intermediario ci disse di rivolgerci a un avvocato. Pagammo 550mila per tornare in libertà. Io l'ho scoperto dopo"
L’accusa era terribile: aver importato grano cancerogeno perché contaminato da ocratossina. Il pm di quel caso era Antonio Savasta e il gip Michele Nardi, ora in carcere con l’accusa di corruzione in atti giudiziari. Il primo chiese l’arresto, il secondo lo dispose. Nel processo – dopo un patteggiamento respinto – l’uomo finito nel mirino dei due magistrati venne assolto. Ora Francesco Casillo, imprenditore di Corato, in provincia di Bari, racconta un’altra versione di quanto accaduto nel lontano 2006. Non un’indagine risoltasi nel nulla, ma qualcosa di molto diverso. Una storia sulla quale la procura di Lecce, che indaga su Savasta e Nardi, sta cercando riscontri dopo aver ascoltato Casillo nelle scorse settimane.
È lo stesso importatore di grano a raccontare in un’intervista a Repubblica quanto accadde nel gennaio di tredici anni fa. Lo fa, dice, perché “era giusto che tutti sapessero” e “non deve accadere più”. La storia, dunque: “Mi arriva un provvedimento di un sequestro di alcuni terreni per reati ambientali. Vengo avvicinato da una persona vicina ai due magistrati e mi dice: ti conviene nominare questo avvocato. Io lo mando a quel paese”. Alcune settimane dopo, la storia si ingarbuglia: nel mirino della magistratura finisce un carico di grano arrivato dal Canada a bordo della nave Loch Alyn. “Per la procura di Trani è tossico. Noi l’avevamo comprato dal governo canadese, ero certo fosse tutto in regola. Comunque sequestrano la nave, addirittura arrestano i tecnici dei due centri analisi”. Quel carico, 26 tonnellate, era destinato a 7 imprenditori, tra i quali Casillo.
“Ci riuniamo nello studio di un importante avvocato e un mio collega – racconta Casillo a Repubblica – mi dice: “Ce l’hanno con te. Ti conviene andare da questo avvocato”. Capisco che sto finendo in un brutto gioco, ma lascio cadere. Dopo qualche giorno mi arrestano, unico tra gli imprenditori”. All’epoca, sul carico di grano vennero registrate anomalie nel campionamento, ricorda Repubblica. Ma Casillo è categorico: “Era buonissimo”. Ma il punto, al di là di questo, è cosa accade quando l’importatore finisce in cella.
“Un amico di famiglia viene avvicinato da emissari dei magistrati. Gli dicono: domani arresteranno i due fratelli e la sorella di Francesco Casillo per un’altra inchiesta, quella sui terreni. La storia è la stessa: “Andate da questi due avvocati”. E fanno loro il nome di due legali poco noti ma amici dei due” magistrati, racconta ancora l’imprenditore. Quanto preannunciato all’amico di famiglia, avviene: la sorella e i due fratelli di Casillo vengono arrestati. “L’amico di famiglia corre da uno dei legali che erano stati indicati per chiedere il da farsi. Quello dice: “Costo un milione di euro, 250mila a fratello”. La traduzione: “Chiese un milione di euro per risolvere la questione – spiega ancora l’importatore di grano – Promettendo di poterlo fare immediatamente. Aggiunse una cosa: “Questa cosa non deve saperla Francesco”, cioè io. Temevano che avrei potuto rovesciare il tavolo”.
L’avvocato – puntualizza Casillo – non disse “mai chiaramente” che i soldi sarebbero arrivati a Savasta e Nardi, “ma il sottotesto era chiaro”. Così viene chiesto un riscontro: “L’amico di famiglia chiese una prova che, effettivamente, se avessimo pagato saremmo usciti di galera”. Una sorta di “sequestro”, la chiama: “Mia sorella, incredibilmente, dopo poche ore dal suo arresto fu scarcerata“. A quel punto, continua l’imprenditore, “contrattarono il pagamento di 400mila euro a nero. Più 150mila euro fatturati. A ogni versamento, dopo poche ore, tiravano fuori un fratello. Uscì anche io”.
La storia è arrivata a processo, dopo un iter tortuoso. Ricorda Casillo: “Il mio avvocato, che nulla sapeva di questa storia, mi disse: “Savasta dice che dobbiamo patteggiare. Altrimenti ti fa chiudere i rubinetti dalle banche e ti manda la Finanza in azienda”. Ero certo di essere innocente. Ma i miei fratelli, che sapevano cosa era accaduto, insistettero per chiudere la cosa. Firmai un patteggiamento: rischiavo 12 anni di carcere, chiusi a 3mila euro di multa”. Savasta, sottolinea, “tenne l’accordo due anni nel cassetto” poi la “mandò al giudice per la ratifica” ma “gli torno indietro: se davvero avevo avvelenato mezzo Paese, scrisse giustamente il magistrato, come potevo cavarmela così?”.
Fu il gup del Tribunale di Trani, Maria Teresa Giancaspro, a bocciare l’istanza perché “la pena proposta, contenuta nel minimo di legge e per giunta convertita in pena pecuniaria appare risibile, quindi inadeguata ed incongura“. E Giancaspro, come ricordava La Gazzetta del Mezzogiorno, adombrò anche una serie di perplessità su alcuni profili dell’inchiesta e sulla qualificazione dei fatti che oggi tornano di attualità viste le accuse a Savasta e Nardi e la versione di Casillo. L’imprenditore, quindi, va a processo e viene assolto. Ora racconta la sua storia. E la procura di Lecce ascolta: i reati sono prescritti, ma la storia di Casillo potrebbe corroborare le accuse nei confronti dei due magistrati arrestati a gennaio con l’accusa di associazione per delinquere, corruzione in atti giudiziari e falso per fatti commessi tra il 2014 e il 2018 quando erano in servizio a Trani.