Greta Thunberg, con l’entusiasmo e la simpatia degli adolescenti, propone all’attenzione del mondo il problema fondamentale dell’insostenibilità del nostro modello di sviluppo. In un paio di secoli abbiamo consumato la metà del petrolio formato in decine o centinaia di milioni di anni sul pianeta e non rinnovabile; e per farlo abbiamo inquinato aria, acqua e terra dell’unico mondo sul quale possiamo vivere. Non c’è dubbio che Greta e tutti i giovani che ne seguono l’esempio ci stiano dicendo una cosa importante, e che meritino la nostra attenzione e ammirazione.

Greta non è una studiosa del clima o dell’inquinamento o delle tecnologie industriali: le sue preoccupazioni nascono dalla consapevolezza di ricerche fatte da scienziati e rese pubbliche da molti decenni; in questo senso Greta è una portavoce efficace e ci ricorda cose che dovevamo già sapere. C’è quindi un secondo problema, accanto a quello ecologico, che Greta solleva in modo inconsapevole: perché la società moderna ha bisogno di un adolescente per credere agli allarmi lanciati dagli scienziati e dagli esperti? L’adolescente conosce il problema superficialmente, per aver letto o sentito dire ciò che gli scienziati hanno misurato e dimostrato. Greta è certamente più simpatica degli scienziati, ma la simpatia diventa il fattore dominante dell’efficacia comunicativa soltanto se la società è culturalmente smarrita e disarmata e, in fondo, ignorante.

Se l’analisi si potesse chiudere su questo punto, poco male: il messaggio di Greta sarebbe giusto, funzionerebbe e non ci sarebbe bisogno d’altro. Purtroppo l’analisi tecnica e sociologica non può fermarsi qui: c’è un terzo punto da considerare. La tecnologia che inquina e consuma risorse non rinnovabili produce progresso (purtroppo accompagnato da gravi disparità tra cittadini e tra nazioni). L’aumento generalizzato dell’aspettativa di vita è la principale testimonianza dei lati positivi del progresso. Rispetto a un secolo fa oggi abbiamo migliore igiene pubblica, migliori farmaci e trattamenti medico-chirurgici, maggiore disponibilità di alimenti (nonostante l’aumento della popolazione mondiale), migliore riscaldamento domestico, etc.

Il consumo energetico e l’inquinamento sono il prezzo che si paga per i benefici del progresso. Molte cose indispensabili non solo al nostro tenore di vita, ma anche alle nostre aspettative in senso etico e al nostro essere civili, non si potevano produrre in epoca pre-industriale e non si potrebbero produrre rinunciando a industrie ed energia. Ad esempio il diabete insulino-dipendente colpisce in Italia circa una persona ogni mille, approssimativamente 50mila cittadini. La malattia non trattata è mortale, mentre il trattamento con insulina garantisce una sopravvivenza prossima a quella dei sani. Non è possibile produrre l’insulina altro che con industrie ad alta tecnologia e ad alto consumo energetico, che richiedono grande investimento di capitale e di lavoro.

Noi non abbiamo un modello di sviluppo alternativo: la produzione di beni che non sono soltanto gadget richiede consumo energetico, effetto serra, inquinamento termico e chimico. Greta è un’adolescente: non si può pretendere da lei il nuovo modello di sviluppo del pianeta. Ma seguire la protesta di Greta significa scadere nel semplicismo che ignora l’interconnessione tra le diverse variabili del sistema socio-economico e produttivo. Il semplicismo è la malattia sociale del momento, e la vediamo in tutte le politiche populiste, in Italia e all’estero; ed è anche la ragione per la quale la politica non può ignorare Greta Thunberg, che ha seguito, mentre può ignorare gli scienziati, che non lo hanno.

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