La situazione, lo aveva rivendicato il diretto interessato, era stata sbloccata dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Nonostante il no del Gruppo operativo sicurezza e il successivo comunicato della Curva Nord interista che aveva parlato di “sdegno” per la decisione di fermare la coreografia preparata per il derby contro il Milan. Ovvero una commemorazione di Daniele Belardinelli, il capo ultrà dei Blood&Honour, gruppo di Varese, morto negli scontri prima di Inter-Napoli, che era stata definita dalla curva nerazzurra “la coreografia più importante di sempre”. E alla fine il via libera è arrivato.
Così poco prima del fischio iniziale di Milan-Inter, nel settore occupato dalla tifoseria organizzata nerazzurra è comparso il lungo striscione con la scritta “Gli amici rimangono per sempre” e la faccia di ‘Dede’, come era soprannominato Belardinelli. Ma soprattutto “la bandiera dei ragazzi di Varese”, già annunciata venerdì nel proprio comunicato dalla Curva Nord che con gli ultrà varesini sono gemellati. Tradotto: quella dei Blood&Honour, gruppo di estrema destra che ha scelto come proprio nome la traduzione in inglese del motto dalla Gioventù hitleriana. Sangue e onore, appunto. Che della coreografia facesse parte anche lo stendardo simbolo del collettivo ultrà era cosa nota, insomma. E adesso è il Pd a chiederne conto a Salvini. Il deputato Emanuele Fiano ha annunciato un’interrogazione parlamentare al ministro “per sapere come sia stato possibile autorizzare questa vergogna”.
Per comprendere cosa è accaduto, bisogna ripartire da venerdì pomeriggio. “Attoniti prendiamo atto della decisione del Gos (Gruppo operativo sicurezza)”, scrive la Curva Nord sul proprio sito. “Quello che con tutto il nostro cuore abbiamo preparato per ricordare il nostro Dede (un telo con il volto di Dede e la bandiera dei ragazzi di Varese), non ha avuto il via libera”, annuncia la tifoseria organizzata dell’Inter. “Era per noi, probabilmente, la coreografia più importante di sempre. Proviamo solo sdegno”, aggiungono gli ultras parlando di “ennesima occasione persa, da parte dei tutori della sicurezza, di mostrare un lato umano che, anche questa volta, non esiste”. Quindi la decisione: nessuna coreografia. Sono le 17.03 quando le agenzie battono la notizia.
Novanta minuti dopo, il dietrofront: via libera alla coreografia, senza limitazioni di alcun tipo. Insomma, ci sarà (come poi è accaduto anche lo stemma dei Blood&Honour). “Soddisfatto”, secondo fonti del Viminale, il ministro dell’Interno che auspicava un “dialogo costruttivo” tra tifoseria organizzata e forze di polizia per non rovinare quella che per i sostenitori di Inter e Milan rappresenta “la partita più importante e sentita della stagione”. La decisione, spiegava l’Ansa, era stata presa “anche sulla base del fatto che l’immagine era già stata esposta a San Siro”. Il volto del tifoso, non la bandiera del gruppo ultrà di ispirazione neonazista.
È così che domenica sera, lo striscione compare davanti agli 85mila spettatori di San Siro e viene trasmesso nelle case di milioni di abbonati dalle telecamere di Sky. Mentre Salvini lo guarda direttamente dalla tribuna d’onore dello stadio. Lo stesso ministro che il 28 dicembre, due giorni dopo la morte di Belardinelli, aveva tuonato: “I teppisti, i delinquenti che a due chilometri dallo stadio si sono presi a mazzate a Milano non sono tifosi. Non vanno confusi quei pochi delinquenti che vanno in giro con il coltello in tasca dai milioni di tifosi che hanno il diritto di seguire le partite della loro squadra del cuore”. Nelle carte dell’indagine legata agli scontri prima di Inter-Napoli, il gip Guido Salvini parlando dell’ultrà varesino Alessandro Martinoli, che venne arrestato, descriveva i Blood&Honour come il “gruppo più estremista all’interno della destra radicale”. E domenica il loro simbolo è stato sdoganato sugli spalti di San Siro nel ricordo di Belardinelli.
Il capo ultrà del gruppo di estrema destra nato nel 1998 era stato protagonista di due episodi che gli erano costati il Daspo. Nel 2007 diede uno schiaffo a Sean Sogliano, all’epoca direttore sportivo del Varese, perché voleva non far disputare l’incontro tra Varese e Lumezzane dopo la morte del tifoso laziale Gabriele Sandri. Ricevette un Daspo di 5 anni e proprio nel 2012 fu nuovamente coinvolto in una guerriglia urbana al termine di una amichevole Como-Inter che gli costò altri 5 anni di lontananza dagli impianti sportivi.
Fonti del Viminale spiegano a Ilfattoquotidiano.it che i dubbi delle forze dell’ordine riguardavano solo il ritratto di Belardinelli, poiché protagonista degli scontri. Ma per “ragionevolezza” si è ritenuto di dare l’autorizzazione anche “in forza di un precedente del 2013, durante il governo Letta, quando venne data l’autorizzazione a una coreografia simile, quando il ministro dell’Interno era Angelino Alfano“. Per quanto riguarda il simbolo dei Blood&Honour, aggiungono le stesse fonti, secondo il Viminale “non è identificabile come un simbolo nazifascista”.