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Reynor, il presente ed il futuro dell’eSport italiano

Appena sedici anni, già fenomeno mondiale di Starcraft II: Riccardo Romiti è una delle punte d’eccellenza dell’esport italiano nel mondo. Lo abbiamo intervistato per saperne di più su come riuscire a coniugare gli impegni di un adolescente con quelli professionali di un videogiocatore competitivo.

Nel 2018 ad appena pochi mesi dall’aver compiuto sedici anni e aver conquistato così il diritto a gareggiare nel circuito ufficiale, il giovane Riccardo “Reynor” Romiti ha fatto sognare tutti gli appassionati italiani di esport, a prescindere che fossero fan o meno di Starcraft II. A un solo game da quella che sarebbe state una storica qualificazione alle finali mondiali, si è dovuto alla fine arrendere al finlandese Joona “Serral” Sotala, futuro campione del mondo. Nonostante la sconfitta, in nemmeno sei mesi Reynor ha dimostrato di essere pronto per competere con e contro qualunque avversario, anche contro i temibilissimi coreani.

Ma come si coniuga la vita di un adolescente, la scuola e la professione del videogiocatore professionista? Eventi, tornei, trasferte in Polonia e Cina; ma anche compiti, interrogazioni e uscite con gli amici. Le risposte le fornisce direttamente Riccardo, tra le altre cose nuovo atleta Red Bull.

Sedici anni compiuti da sei mesi e già tra i migliori al mondo: che effetto fa?
Devo ammettere di essere sinceramente contento di questo risultato e di dove sono arrivato. L’obiettivo tuttavia è essere il migliore al mondo e non uno dei tanti. Mi impegnerò al massimo perché riesce a raggiungerlo.

Da luglio 2018 hai potuto finalmente partecipare al circuito ufficiale WCS della Blizzard, sfiorando l’impresa di qualificarti per il mondiale. Come si gestisce una preparazione così importante in così poco tempo?
Prima della tappa di Valencia del circuito WCS sono stato quasi un mese in Corea, dove sono riuscito a dedicarmi al massimo all’allenamento e allo studio continuo di strategie e tattiche. Ho anche avuto l’opportunità di confrontarmi con alcuni dei migliori giocatori coreani, permettendomi di ottenere una preparazione adeguata all’impegno.

A un solo game sia dalla qualificazione alle Global Finals che dal battere il finlandese Serral, vincitore di tutto (o quasi) nel 2018. Cosa è mancato? Qual è la lezione imparata da quel game che porterai per la vita?
Sicuramente è stato un game che avrei potuto vincere. Sono genuinamente dispiaciuto di non essere riuscito a chiudere quel game ma soprattutto perché sarei stato praticamente l’unico nell’anno a fermare Serral. Sono sicuro che se rigiocassi quel game lo vincerei, nessun dubbio.

Scuola e esport ai massimi livelli: quanto è difficile coniugare due impegni così importanti?
Non lo nascondo: non è semplice. Servono tanta forza di volontà e disponibilità al sacrificio, sia per l’uno che per l’altro. Una volta accettata la situazione diventa solo questione di abitudine: ormai personalmente non mi pesa più di tanto, d’altronde è ormai da molto tempo, nonostante la mia giovane età, che mi divido tra la carriera di giocatore professionista e la vita privata.

Storicamente i vincitori dei principali eventi internazionali di Starcraft sono i coreani. Nel 2018 è arrivato Serral. È lui che è un fenomeno sopra la media o è realmente cambiata la situazione e i coreani non sono più così imbattibili?
Direi che la verità è che adesso i coreani non sono più imbattibili ma rimane l’impresa incredibile di Serral nel 2018. Un recordo dopo l’altro, un torneo WCS vinto dopo l’altro: una cavalcata trionfale e inarrestabile che lo ha meritatamente proclamato il migliore al mondo.

Fra le tre razze di Starcraft II hai deciso di utilizzare gli Zerg, una sorta di mostriciattoli alieni: perché è la tua preferita?
In realtà posso rivelare che avevo iniziato a giocare competitivo come Terran per poi passare addirittura ai Protoss prima di decidere definitivamente agli Zerg. Forse all’inizio era la curiosità di cambiare e sperimentare a farmi girare le razze ma poi mi sono innamorato del meccanismo che hanno gli Zerg di poter creare unità dalla base e la loro velocità di movimento.

Recentemente hai deciso di lasciare gli Exeed, squadra italiana di cui hai indossato la maglia nel 2018, per accasarti nell’organizzazione francese Gamers Origin, nonostante le numerose offerte delle squadre italiane. Come mai questa scelta?
Ho ricevuto diverse offerte in Italia, alcune di queste sarebbero state giudicate irrinunciabili da molti giocatori. Tuttavia era da molto che non militavo in un team estero, dai tempi dei MyInsanity nel 2016. Sinceramente penso che un po’ di tempo fuori dall’Italia non possa che farmi bene.

Manca ancora l’annuncio ufficiale ma gli indizi sulle tue foto recenti sui social non lasciano spazio ad alcun dubbio: sarai uno dei prossimi atleti targati Red Bull. Parliamo di personaggi come Marc Marquez, Neymar ma anche italiani come Ivan Zaytsev, Andrea Dovizioso e, per rimanere nell’ambito esport, Daniele “IcePrinsipe” Paolucci, giocatore di FIFA. Nel tuo caso vivi questa scelta come un premio a quanto fatto finora o come una responsabilità su quello che dovrai dimostrare da ora in avanti?
In realtà nessuna delle due. Per me si tratta di un grande stimolo per fare ancora di più. Ho realmente ancora tanto, probabilmente tutto, da dimostrare: devo crescere sotto tanti punti di vista, non solo sul lato competitivo. In tal senso sono convinto che Red Bull saprà farmi fare il salto di qualità definitivo insieme al mio attuale team dei Gamers Origin.

Quanto è fondamentale avere l’appoggio dei genitori nella tua carriera da videogiocatore professionista? Avresti intrapreso questa strada anche senza il loro consenso?
Lo ammetto: è bellissimo sapere di avere il loro sostegno, compreso il fatto che sono i miei primi tifosi. Mi reputo enormemente fortunato che i miei genitori mi sostengono in questo modo. Probabilmente senza il loro supporto non avrei coltivato la mia passione.

Scuola, professori, compagni di classe e amici: che ne pensano loro della tua carriera? Credono che tu stia solo perdendo tempo oppure tifano per te e qualcuno, magari, prova anche invidia?
I miei amici sono molto contenti e sanno tutto quello che faccio, spesso seguono anche su Twitch le mie partite e i tornei a cui partecipo. Mi fa poi piacere che anche alcuni professori sono contenti della mia passione e della mia professione, soprattutto quando si rendono conto che riesco a coniugarla con lo studio scolastico.

Oltre a Starcraft hai un videogioco, esport o meno, con cui passi il tempo?
Pochi, in realtà, visto quanto tempo devo necessariamente dedicare a Starcraft. In generale quando posso mi lancio su Dark Souls e League of Legends.

Se dovessi abbandonare Starcraft II, su quale titolo esport ti piacerebbe competere?
Sinceramente non ne ho idea. So bene che Starcraft II, nonostante sia storicamente uno degli esport più conosciuti al mondo, sia ormai seguito da una fetta più piccola degli appassionati di sport elettronici. Per il momento, però, penso solo al titolo Blizzard e a nient’altro.

Esport significa videogiochi e videogiochi significa vita sedentaria, no? O almeno così vorrebbero farci credere i detrattori degli sport elettronici.
In effetti non è affatto come ci dipingono. Negli esport i videogiocatori fanno tanta attività fisica, è ormai necessario per mantenere un eleveto status di attenzione mentale e allenare i riflessi. Io in particolare faccio tennis, è uno sport che mi ha sempre appassionato e che mi piace praticare.

Anno nuovo, squadra nuova, vita nuova. E obiettivi?
Il primo obiettivo è migliorare i risultati dello scorso anno. Non è iniziata nel migliore dei modi a Katowice, all’Intel Extreme Masters, e sarebbe sicuramente dovuta andare meglio al WESG in Cina. Pochi calcoli, in ogni caso: voglio vincere il più possibile cercando di raggiungere il traguardo più ambito da tutti: le Global Finals del Blizzcon