Società

Spreafico: ‘Chi mette mi piace a un insulto si deve confessare’. Perché basta un clic per condividere il male

“Chi mette ‘mi piace’ a un insulto si deve confessare”. Parola di monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo della Cei. Nell’omelia della messa del Mercoledì delle ceneri, celebrazione con la quale la Chiesa cattolica inizia i 40 giorni di preparazione alla Pasqua, il presule si è soffermato sull’odio che viene alimentato attraverso i social. “Non è detto che tutto ciò che è condiviso e apprezzato – ha spiegato Spreafico ai fedeli – sia sempre il bene. Basta vedere quanto facilmente si condividono sui social giudizi e parole sprezzanti, insulti, cattiverie. Quel ‘mi piace’ a un insulto o a una cattiveria per noi cristiani è un peccato che va riconosciuto e confessato”.

Quella del vescovo di Frosinone è tutt’altro che una semplice provocazione. Il richiamo del presule è quanto mai attuale e merita di non essere sottovalutato. Sono sempre maggiori e quotidiani gli episodi in cui la rete diventa un generatore e un amplificatore di violenza. Un problema abbastanza diffuso e di una gravità impressionate, soprattutto se si considera che, nei casi estremi, può portare addirittura al suicidio coloro che sono bersagliati da questi attacchi. “Soprattutto online – ha spiegato Spreafico – è facile condividere con facilità frasi, giudizi, prese di posizione, senza riflettere. Quel clic con il nostro ditino con cui scriviamo il nostro like non sempre esprime umanità, cioè ciò che dovremmo essere tutti, al di là delle legittime differenze di opinioni e di giudizi, che fanno la ricchezza di una società in dialogo continuo”.

Per il vescovo, infatti, “questo semplice clic significa condividere il male, perché un insulto detto a voce o scritto è comunque male, fa male e chi lo condivide è complice del male e di un atto di mancanza di umanità, anzi moltiplica il male e lo rende ancora più pesante. Mi viene in mente quanto dice Gesù nel discorso della montagna: Chi dice al fratello ‘stupido’, dovrà essere sottoposto al sinedrio (l’organo religioso giudicante del tempo); e chi gli dice ‘pazzo’ sarà destinato al fuoco della Geenna (cioè all’inferno). Sono parole chiare che mettono in guardia da un linguaggio violento, e da chi lo condivide, da cui nascono tante inimicizie, divisioni, esclusioni, guerricciole che non fanno il bene di nessuno, non solo dei cristiani. Gesù addirittura le considera causa di quell’inimicizia che può portare fino all’eliminazione dell’altro”.

Un problema, quello della violenza sui social, affrontato anche da Papa Francesco nel Messaggio per la giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2019. “Tra i più giovani – scrive Bergoglio – le statistiche rivelano che un ragazzo su quattro è coinvolto in episodi di cyberbullismo”. Il Papa sottolinea che “nel social web troppe volte l’identità si fonda sulla contrapposizione nei confronti dell’altro, dell’estraneo al gruppo: ci si definisce a partire da ciò che divide piuttosto che da ciò che unisce, dando spazio al sospetto e allo sfogo di ogni tipo di pregiudizio (etnico, sessuale, religioso, e altri). Questa tendenza alimenta gruppi che escludono l’eterogeneità, che alimentano anche nell’ambiente digitale un individualismo sfrenato, finendo talvolta per fomentare spirali di odio. Quella che dovrebbe essere una finestra sul mondo diventa così una vetrina in cui esibire il proprio narcisismo”.

In Vaticano, come ha annunciato Francesco, sarà presto istituito un Osservatorio internazionale sul cyberbullismo proprio per tentare di arginare questo fenomeno. Di esempi purtroppo ce ne sono tanti ogni giorno. E non risparmiano nemmeno i personaggi famosi che a volte si rendono perfino complici alimentando la violenza della rete. Tutto ciò nella ricerca disperata di un like o di un follower in più. Alimentando così, nella maggior parte dei casi, anche le tante fake news che girano sulla rete e contribuendo a diffondere i più banali cliché diffamatori. Una spirale d’odio senza fine che viene replicata con una velocità impressionante.

“Le guerre – ha spiegato il vescovo di Frosinone – anche solo verbali nascono infatti nel cuore, nei sentimenti, nei pensieri, e vanno riconosciute come pericolose. Sono convinto che oggi dovrebbe essere il tempo in cui condividere un linguaggio più umano, cortese, non cattivo. Ne abbiamo bisogno tutti. Ciò non significa che dobbiamo essere d’accordo su tutto. Le differenze sono una ricchezza, ma devono essere condivise con la pazienza del dialogo, dell’incontro, della pacifica discussione. La rete è una grande opportunità e va utilizzata per costruire e non per eliminare l’altro”. Parole che meritano di essere tradotte in realtà.