L’ultima “direttiva” di Matteo Salvini rappresenta – per i problemi che solleva e per gli strumenti di cui si serve – un notevole contributo alla comprensione della ristrutturazione in senso autoritario/populistico/sovranistico dello Stato italiano. Senza dubbio, in futuro, sarà studiata come esempio lampante della potente trasformazione istituzionale in atto.
Ernst Fraenkel introduceva nel suo celebre libro Il doppio Stato la categoria di “doppio stato”, per spiegare la compresenza di due Stati all’interno dello Stato nazista: lo “Stato normativo” (Normenstaat) e lo “Stato discrezionale” (Massnahmenstaat). Il primo funziona nel rispetto (almeno apparente) dell’ordinamento in vigore, mentre il secondo agisce ignorandolo completamente, creando nel contempo un proprio sistema di regole e pratiche. Fraenkel ci spiega come l’insediamento di un sistema di governo autoritario in un contesto formalmente protetto dalle norme giuridiche sia sempre possibile, senza esigere cioè la distruzione di tale contesto. Non è necessario che lo “Stato discrezionale”, per esistere, butti giù quello “normativo”. Possono convivere quasi separate, oppure, come direbbe Fraenkel, diritto e assenza di diritto possono coesistere in una relazione spuria.
Nell’era dell’ipermodernità, la riflessione di Fraenkel va aggiornata, introducendo la categoria del “triplo Stato”. Accanto allo “Stato normativo” e “Stato discrezionale”, separazioni tipiche del “doppio Stato”, occorre aggiungere lo “Stato social-mediale”.
Mi spiego. La direttiva Salvini – per quello che ci consentono di comprendere i giornali di oggi – pretenderebbe di definire “le azioni illegali delle Ong”: “chi soccorre migranti irregolari in acque non di responsabilità italiana senza che Roma abbia coordinato l’intervento ed entra poi in acque territoriali italiane” lederebbe, secondo la direttiva, il “buon ordine e la sicurezza dello Stato italiano”. La direttiva – inviata ai capi di Polizia, Carabinieri, Guardia di finanza, Capitanerie di porto, Stato maggiore della Difesa e Marina militare – chiede che questi si attengano “scrupolosamente” al provvedimento.
La prima cosa da chiarire è la natura del provvedimento. Nonostante lo storytelling e il nome altisonante scelto (“direttiva”), l’atto del ministro non è che una semplice circolare (sul valore formale e reale delle circolari nell’ordinamento dello Stato italiano, ho scritto già altre volte: qui, qui, qui e qui). Vuol dire che si tratta di uno strumento che l’ordinamento in vigore non considera fonte di diritto pubblico. Dunque, dal punto di vista formale, è carta straccia. Non solo: l’ordinamento impone che agli ordini contenuti nelle circolari, qualora in contrasto con esso, si deve disobbedire. Nel caso specifico, è evidente che la circolare si pone su un piano di illegittimità formale: l’ordinamento non attribuisce alcun potere legislativo speciale in capo al ministro degli Interni, cioè non è lui che può stabilire quali azioni e comportamenti possano definirsi reato. Questo è compito dell’ordinamento, del legislatore. Punto.
La circolare è tipico strumento dello “Stato discrezionale”: si caratterizza per l’informalità, la validità temporale limitata (è soggetta a turnover fortissimo) e, talvolta, la (semi)segretezza. Quest’ultimo aspetto (la segretezza) è calibrato di volta in volta a seconda degli interessi politici di chi emana la circolare. Potrebbe essere resa pubblica per intero oppure solo parzialmente, dando la notizia ai giornali, ma senza svelare il contenuto integrale della stessa.
Rendere parzialmente nota la circolare non rientra nel bisogno di trasparenza di chi governa con circolari; serve però ad assicurare a queste una legittimazione. È proprio a questo punto che nasce il bisogno di creare lo “Stato massmediale”. La legge, come è noto, richiede obbedienza. La validità delle sue norme è automatica, per il solo fatto che sono emanazione di certe procedure e garanzie poste alla base dell’ordinamento. La circolare, come ho detto sopra, no.
È importante però – almeno nell’ottica di chi la emana – che alla circolare si obbedisca “scrupolosamente”. Come si crea la “validità” della circolare? Una strada – direbbe Max Weber – è quella di considerare il potere carismatico e quello tradizionale, anche insieme. A rafforzare questi tipi di potere abbiamo ora, accanto al potere dei media tradizionali, i social media. Questi vengono utilizzati come strumenti di persuasione politica circa la validità delle circolari, ma anche come strumenti di sostituzione o affiancamento delle circolari. Contemporaneamente alla “direttiva”, infatti, il ministro Salvini ha twittato: “I porti erano e restano chiusi”. È chiaramente un ordine. Non c’è dubbio alcuno. Chi doveva sentire ha sentito. Non importa, poi, se tale ordine può essere talvolta accompagnato da frasi del tipo: “Siete d’accordo amici?” o “Bacioni a tutti”. Queste ultime servono per aumentare il livello di irresponsabilità istituzionale: si dà l’ordine, chiaro e netto, ma si vuole nascondere il carattere di ordine.
I porti erano e rimangono CHIUSI.https://t.co/TSle90ViEf
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 18 marzo 2019
Le carte del “caso Diciotti” e le indagini del Tribunale dei ministri ci hanno svelato come l’ordine di non far sbarcare gli immigrati dalla nave ancorata al porto di Catania, i funzionari del Viminale e altri membri del governo lo avessero dedotto dai tweet o post su Facebook del ministro dell’Interno. E questo è un dato di fatto assai eloquente.
Siamo entrati nell’era del social media governance. Una modalità di governo just in time. Una modalità di governo arbitrario. I soggetti governati sono spogliati della soggettività giuridica (cioè dei diritti) e consegnati nelle mani arbitrarie di chi gestisce l’ordine, ma anche consegnate alle leggi ferree dell’economia. In assenza di diritto formale, le leggi del mercato regnano, ça va sans dire. Questa volta, i soggetti privati dei diritti sono gli emigranti/immigrati. Le mutazioni nell’esercizio del potere si sperimentano in primis su di loro. I cittadini, però, non si sentano al sicuro. Presto, se qualcosa non cambia, ne sentiranno l’urto.