Una “lunga stagione di anarchia istituzionale“, una “deregulation perfino ostentata”, una “promiscuità malata” fra interessi pubblici e privati. E l’antimafia usata come arma: scudo per difendersi da ogni tipo di accusa, “scimitarra” per decapitare “disobbedienti” e ogni genere di nemico. È così che la commissione Antimafia dell’Assemblea regionale siciliana definisce il sistema rappresentato da Antonello Montante, l’ex leader di Confindustria Sicilia. Condiderato per anni paladino degli imprenditori che si ribellavano a Cosa nostra, Montante è finito agli arresti il 14 maggio del 2018: ora è imputato di corruzione, favoreggiamento, rivelazioni di segreto d’ufficio e accesso abusivo al sistema informatico. L’inchiesta ai suoi danni ipotizzava all’inizio il concorso in associazione mafiosa. “Al termine di centinaia di ore di audizioni e di migliaia di pagine di documenti acquisiti dall’autorità giudiziaria e dall’amministrazione regionale, resta la preoccupante consapevolezza che molti sapessero e – pur senza essere parte di quel sistema – abbiano taciuto”, scrive la commissione presieduta da Claudio Fava in una relazione lunga più di 120 pagine.
Gli incontri con Alfano e il prefetto di Caltanissetta – Un dossier che mette in fila l’epopea di Montante: dalla scalata a Confindustria protetto dallo scudo della finta rivoluzione antimafia fino alla costruzione di un governo regionale parallelo per condizionare “processi decisionali, amministrativi e di spesa”: dall’Expo del 2015 all’Irsap. “Un paradiso delle consulenze il primo, nato da un protocollo d’intesa tra il Montante, nella qualità di presidente di Unioncamere Sicilia, e l’allora assessore alle Attività Produttive, che era un suo funzionario in Confindustria; una cabina di regia unica, il secondo, sulla quale il cerchio magico aveva puntato le proprie ambizioni”, li definisce Fava. Che ha ricordato come Montante chiamasse “l’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano per concordare la destinazione dell’ex prefetto di Caltanissetta. È questa promiscuità, questa sovrapposizione dentro la quale si perde l’autonomia delle istituzioni e tutto diventa corollario di questo cerchio magico che, evidentemente, sapeva come ricompensare”. “Montante era creduto! E più era creduto, più diventava credibile, e più diventava credibile più era creduto”, si è giustificato Alfano, che ha nominato Montante all’Agenzia per i beni confiscati. E ha continuato a incontrarlo anche dopo la diffusione della notizia sull’indagine in corso.
Antimafia vessillo per occultare rapporti con criminalità”
“Antimafia usata come scimitarra contro i disobbedienti” – L’organismo guidato da Fava fa parte del Parlamento regionale e dunque non ha gli stessi poteri d’indagine dell’Antimafia nazionale. Il lavoro della commissione di Palazzo dei Normanni, però, analizza quello che ha rappresentato il “sistema Montante” per la Sicilia e per l’intero mondo dell’antimafia: “La forzature delle procedure, la sistematica violazione delle prassi istituzionali, l’asservimento della funzione pubblica al privilegio privato, l’umiliazione della buona fede di tanti amministratori, l’occupazione fisica dei luoghi di governo, la persecuzione degli avversari politici, fino al vezzo di una certa ‘antimafia’ agitata come una scimitarra per tagliare teste disobbedienti e adoperata come salvacondotto per se stessi attraverso un sillogismo furbo e falso: chi era contro di loro, era per ciò stesso complice di Cosa nostra. Un repertorio di ribalderie spesso esibito come un trofeo: era il segno di un potere che non accettava critiche e non ammetteva limiti”.
“Fotografia impietosa delle istituzioni siciliane” – D’altra parte l’inchiesta che porta all’arresto di Montante si chiama Double Face, come i due volti che avrebbe avuto – secondo le indagini – Montante: da una parte leader di Confindustria e celebrato paladino della legalità. Dall’altra creatore di una rete di spionaggio ideata per acquisire informazioni riservate (anche grazie accessi abusivi alla banca dati delle forze di polizia), comprese quelle sull’attività d’indagine che si stava svolgendo nei suoi confronti. In pratica, per usare le parole del gip, la svolta legalitaria di cui Montante si è fatto portatore non era “altro che un mero paravento dietro cui cercare di occultare – forte di quelle relazioni che era riuscito ad instaurare proprio portando il vessillo dell’antimafia – quei rapporti che aveva certamente intessuto e coltivato con esponenti di spicco della criminalità organizzata”. Nel complesso, commenta la commissione di Fava “gli atti e le testimonianze raccolte hanno consegnato a questa Commissione una fotografia impietosa delle istituzioni siciliane. Ma emerge anche (e per fortuna) una capacità di denunzia e di resistenza morale tanto più significativa quanto più si è trovata isolata e – in taluni casi – perseguitata”.
Chi era contro di loro diventava complice di Cosa nostra”
Il “cerchio magico”che “batteva il tempo” – Insieme al leader di Confindustria, nell’ordinanza di custodia cautelare ci sono anche i nomi di investigatori insospettabili: Giuseppe D’Agata, già comandante provinciale dell’Arma dei carabinieri, capocentro della Dia di Palermo e, poi, appartenente all’Aisi, Marco De Angelis, commissario di polizia Palermo, Ettore Orfanello, comandante del nucleo polizia tributaria della Guardia di Finanza di Caltanissetta, Diego Di Simone Perricone, ex poliziotto e responsabile della sicurezza di Confindustria. Ma nel provvedimento del gip Maria Carmela Giannazzo, c’erano molti altri nomi eccellenti tra gli indagati: l’ex presidente del Senato, Renato Schifani, l’ex direttore dell’Aisi Arturo Esposito, il capocentro della Dia Gianfranco Ardizzone. È quello che l’Antimafia definisce il “cerchio magico”di Montante. “Espressione, quest’ultima, presa in prestito da un commento dell’attuale Presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci, reso nel corso della sua audizione. Espressione efficace a descrivere la governance parallela che avrebbe interferito indebitamente con i destini e l’operato dei governi regionali che si sono succeduti durante la XV e la XVI legislatura”, scrive la commissione. Che a questo proposito cita anche le parole dell’attuale dirigente del Dipartimento Rifiuti in Regione, Salvatore Cocina: “Quelle persone che lei ha nominato sono quelle che governavano la Sicilia in quegli anni e non mi pare che fossero estranee a quel sistema. Erano quelle che davano gli indirizzi. Erano quelle che battevano il tempo”.
Il ruolo di Lumia, il senatore della porta accanto – Ma non solo. Perché dentro alla relazione della commissione trova spazio anche la figura di Giuseppe Lumia, ex senatore del Pd, considerato l’ideologo del ribaltone, cioè l’entrata dei dem nel governo regionale di Raffaele Lombardo nel 2009. E poi della vittoria elettorale di Rosario Crocetta. “Il demiurgo di questa operazione – si legge nella relazione – come riferito da molti nel corso delle audizioni, sarebbe stato il senatore Giuseppe Lumia, un ruolo che anche le carte al vaglio dell’Autorità Giudiziaria nissena sembrano attribuirgli. Un sistema trasversale che propone un obiettivo: stare con chi vince o, addirittura, decidere chi sia a vincere. Insomma una Regione dentro la Regione: quella ufficiale contrapposta ad un’altra, sommersa ma assai più incidente. Durante quegli anni l’idillio tra il sistema confindustriale siciliano e gli esecutivi regionali, a prescindere da chi ne fosse il titolare pro tempore, ha sempre avuto un suo punto di riferimento costante nella scelta dell’assessore alle Attività Produttive della Regione Siciliana, appaltato per due legislature in modo formale e sostanziale a Confindustria: e dunque anzitutto a Montante che indicherà per quell’incarico prima il responsabile dei giovani industriali nisseni Marco Venturi e poi, più esplicitamente, una funzionaria di Confindustria Sicilia, dunque una sua dipendente, la dottoressa Linda Vancheri“.
C’era una Regione dentro la Regione”
“Gruppo politico affaristico che operava con modalità massoniche” – Per Alfonso Cicero, prima sodale di Montante e poi suo accusatore, “era chiaro che l’occupazione di tutti i posti da parte di Lumia e di Montante non era finalizzata a questo progetto di legalità. Mi scusi, Presidente, io facevo le denunce, non so loro. Loro non hanno fatto niente“. Il grande accusatore di Lumia davanti all’Antimafia è il governatore in carica, Musumeci: “Dico subito che più che ‘sistema Montante’ io lo chiamerei ‘sistema Lumia‘. Il vero regista di quel ‘cerchio magico’ – a mio avviso – era il senatore Lumia. Montante si occupava di mantenere i contatti col mondo imprenditoriale, perché il sistema era di potere ed economico. Basti pensare che in questi ultimi nove anni tutto ruota attorno alle scelte determinate da Lumia, il quale ha avuto l’abilità di assumere una posizione defilata, proprio per non richiamare le attenzioni sul suo ruolo che, invece, era un ruolo assolutamente di primo piano. Lumia aveva il compito dell’arruolamento. Non è un caso che nel Palazzo del potere per eccellenza, nell’ultima stanza in fondo al corridoio, ci fosse il regista, il senatore Lumia”. L’ex assessore all’Energia Nicolò Marino, che di professione fa il magistrato, va oltre: “Lumia dava la veste politica e di copertura anche ragionevole o razionale a delle azioni che erano in palese violazione di legge. Se io dovessi qualificare cosa fosse il sistema Montante, questo era un gruppo politico-affaristico che operava con modalità massoniche. Per modalità massoniche intendo una fratellanza fra poteri in uno scambio di reciproche utilità, che aveva un programma ostensibile che era quello della legalità. Che non era però il vero obiettivo perseguito. Il vero programma era quello di chiudere affari utilizzando quel tipo di copertura”.
Io facevo le denunce. Loro non hanno fatto niente”
Lumia in audizione: “Fava, mi guardi negli occhi” – Rilevante in questo senso è soprattutto un passaggio della relazione: quella che contiene l’audizione dello stesso Lumia davanti all’Antimafia. Chiede Fava: “C’era una sua partecipazione e una presenza in forme inconsuete nel Palazzo del Governo o è un’affermazione totalmente inventata?”. La risposta di Lumia è fulminante: “Mi guardi negli occhi perché questa è una cosa molto importante”. Il presidente della commissione non può fare a meno di replicare: “Mi guardi negli occhi è imbarazzante, ascolto senza problemi”. “No, no… è un modo di dire lei sa cosa intendo…”, spiega l’ex senatore del Pd. Che poi si difende parlando di sè in terza persona: “Escludo nel modo più totale che la presenza di Lumia nel Governo della Regione fosse giocata sul piano gestionale. Il mio compito era politico, esclusivamente politico e sa, purtroppo… quando in Sicilia si ha qualche abilità politica è chiaro che le leggende metropolitane fioccano”.
“Sistema Montante era il teorema del potere” – Ma insomma, cosa è stato in definitiva il sistema Montante? “Mercenari, lobbisti, affaristi”, come sistiene Musumeci? Per la commissione di Fava “è stato soprattutto altro”. E cioè “non un nugolo di turibolanti, di clientes che aspettavano l’elemosina ma un teorema sul potere, una geometria lucida, netta, apparentemente inossidabile, una sorta di costituzione materiale della Regione Siciliana capace di resistere per una lunghissima stagione e di interferire sull’indirizzo politico, amministrativo e di spesa delle istituzioni regionali determinando coalizioni e assetti di governo. L’ex presidente Crocetta, che ha declinato l’invito ad essere audito da questa Commissione adducendo svariate e contraddittorie motivazioni, in una recente intervista ha spiegato che in quegli anni “tutti dialogavano con Confindustria”, smarrendo la differenza tra dialogo e subalternità. Quel sistema è esploso, l’inner circle di Montante si è frantumato, qualcuno è sbarcato all’ultimo minuto utile da una nave ormai quasi affondata, molti hanno scelto altri cammini politici e altri destini personali”. La relazione si chiude con una domanda retorica: “E Confindustria Sicilia? Che ne è stato del suo ruolo al centro di questa galassia di interessi, asservimenti e favoritismi?”. Insomma per l’Antimafia non è certo che il sistema Montante sia naufragato con il suo ideatore.
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