Entrata in scena per la variazione della Fata Confetto di Schiaccianoci sento mia figlia piangere. L’istinto mi farebbe scendere dal palco per raggiungerla. Ma la lucidità mi riporta alla realtà: va tutto bene, si è solo emozionata ed è con la nonna”. 29 anni e tre figli, étoile del Teatro dell’Opera di Roma dal 2017, Rebecca Bianchi riesce a esprimere le sfumature più intime dei personaggi femminili del balletto con la massima naturalezza. La stessa naturalezza con cui, quando torna a casa, racconta le fiabe che interpreta sul palco a Emanuele, sei anni, Margherita, quattro, Dorotea, sei mesi.
Stella della danza e madre di tre figli. Come si fa a gestire tutto?
Ammetto che non è facile. Specie se non si ha una rete familiare vicina. Mio marito, anche lui ballerino al Teatro dell’Opera, mi dà una grande mano. E poi ci sono le baby sitter, gli amici, mia madre che si trasferisce a Roma una settimana al mese. L’organizzazione è fondamentale. Ma gli imprevisti sono all’ordine del giorno con tre figli. Perciò è importante affrontare le cose con serenità. Quando tutto sembra perfetto arriva la sorpresa.
La sua giornata tipo?
E’ un vortice di situazioni dal primo mattino alla sera tardi, fra riscaldamento e prove in teatro, tempo da dedicare ai bimbi. E’ capitato anni fa, col primo figlio, quando ancora non ero una mamma esperta, di doverlo allattare mezz’ora prima di entrare in scena. Mi sentivo così impreparata ad affrontare la vita artistica e quella di madre che a volte andavo in crisi. Ero in teatro e avrei voluto essere a casa, ero a casa e avrei voluto essere in teatro.
Oggi cosa è cambiato?
La consapevolezza che un ruolo non esclude l’altro, valorizzata sia da mio marito, Alessandro, sia dalla direttrice del corpo di ballo, Eleonora Abbagnato.
Avere tre figli all’apice della carriera è una scelta coraggiosa?
Sono una donna istintiva. Mi lascio trasportare dalla fiducia e da ciò che mi rende felice. Da piccola avevo due desideri: fare la ballerina e avere una bella famiglia. Li ho realizzati entrambi. A 21 anni ero così entusiasta di essere madre che dopo soli tre mesi dal parto ballavo. Avevo ancora più energia e cose da raccontare. La maternità, se hai la fortuna di avere un lavoro che ti piace, è un arricchimento.
Figli o carriera: un dualismo superato?
Non esiste la scelta. Esiste il tutto dell’essere donna. Il diritto a proseguire la carriera. Credo che in Italia ci sia ancora tanto da fare per garantire alle donne un ampliamento e non una restrizione delle prospettive professionali se decidono di avere una famiglia. Incentivare la richiesta dei permessi di paternità, per esempio, sarebbe importante. Mio marito è stato uno dei pochi ballerini a chiedere il congedo parentale per aiutarmi nella gestione dei figli. In altri paesi d’Europa è una pratica diffusa e garantisce un trattamento più favorevole. Inoltre, per me, la parità fra uomo e donna sta nel rispetto delle differenze. Mi piacerebbe che si superasse il pregiudizio che la maternità penalizzi il rendimento professionale.
La sua emozione più grande in scena?
Danzare “Giselle”, il balletto che ha rappresentato la mia nomina a étoile. La protagonista nel primo atto è una donna fragile e ingenua che impazzisce per la delusione del primo amore. Ma nella seconda parte, l’atto bianco, la sua forza spirituale è talmente elevata che sceglie di salvare l’uomo che l’ha tradita. E’ una storia che parla di profondità, di scelte controcorrente. L’amore di Giselle va oltre l’egoismo, è grandezza assoluta.
Aveva già proposte di lavoro all’estero prima di diplomarsi: cosa l’ha trattenuta?
Ero innamorata. Uscita dall’Accademia del Teatro alla Scala di Milano avevo lavorato con un contratto a termine al Teatro dell’Opera di Roma, dove avevo incontrato mio marito. La compagnia di Charles Jude mi offriva un contratto a Bordeaux e mi sentivo preparata per l’audizione di John Neumeier ad Amburgo. Ma proprio non riuscivo a pensare di stare lontano da Alessandro.
A dieci anni viveva in convitto a Milano. Un’esperienza forte?
Gli anni della formazione sono stati duri e a ricordarli ora sembrano ancora più duri. Non riuscirei a immaginare questo per i miei figli oggi. Ma se lo chiedessero li appoggerei. L’ambiente della danza è difficile e competitivo. L’amicizia non è mai chiara. Non sai mai se c’è un interesse. Non riesci ad abbandonarti. Tornavo a Casalmaggiore dai miei solo per il week end. Avevo spesso momenti di sconforto. Allora mia madre mi diceva di tornare a casa. Ma di fronte a quella possibilità rispondevo che volevo pensarci ancora un po’. E regolarmente proseguivo. Tanti i sacrifici ma anche tante esperienze di crescita.
A maggio sarà Biancaneve: un debutto nel ruolo?
Conosco il linguaggio coreografico di Angelin Preljocaj. Ho interpretato Maria nella sua splendida Annonciation. Ma per me sarà la prima volta nel ruolo di Biancaneve. Trovo molto cinematografica e attuale la sua creazione, con i sette nani che si arrampicano su piani verticali e la strega sexy sui tacchi a spillo. Preljocaj affronta la fiaba in modo semplice e intuitivo. Mi piacciono la spontaneità e la freschezza del personaggio.
Le rimane tempo per se stessa?
Ovviamente no. Riesco a festeggiare l’anniversario di matrimonio a rate. Il caffè con mio marito prima del lavoro diventa un momento magico, dieci minuti di privacy per noi sono come una settimana alle Maldive. Si impara ad apprezzare ogni piccolo momento. Credo che non sia importante mettere confini. Sono me stessa in tutto ciò che mi fa stare bene.
Che senso ha ora per lei la carriera?
Dopo tre maternità è ancora più stimolante. La dimensione lavorativa gode di una rinnovata generosità.
Altri figli?
Non programmo mai la vita. Lascio che le cose vadano avanti da sole. In verità non sono neanche tanto brava a organizzarmi. Forse questo è il segreto.