Il numero uno del gruppo francese Tavares è tornato a ventilare l'ipotesi di un sodalizio con l'azienda italo-americana. Piuttosto che una fusione sarebbe più probabile un'alleanza: una situazione win-win che tra l'altro avrebbe la benedizione del governo di Parigi. Ma da Torino cosa pensano? Mike Manley, numero uno di Fca, al salone di Ginevra si era detto possibilista su eventuali partnership
Alleanza FCA-PSA. Suona anche bene, vero? Probabilmente lo pensa pure la famiglia Peugeot, fra i principali azionisti di gruppo PSA, di cui detiene oltre il 12%: il casato transalpino si è dichiarato pronto a sostenere in tutto e per tutto le intenzioni del numero uno della multinazionale, Carlos Tavares, alla ricerca di fusioni o alleanze per far crescere il giro d’affari dell’azienda (che annovera i marchi Peugeot, Citroen, DS, Vauxhall e Opel).
E fra i principali candidati da portare all’altare ci sarebbe proprio FCA, a cui i francesi avevano indirettamente strizzato l’occhiolino pochi giorni fa, durante il valzer di conferenze del Salone di Ginevra. Un cenno parzialmente ricambiato dallo stesso Mike Manley, amministratore delegato di FCA, dichiaratosi possibilista su qualunque partnership possa contribuire agli interessi del gruppo italoamericano.
“L’operazione Opel è un successo eccezionale e abbiamo supportato il progetto sin dall’inizio. Se si presenta un’altra opportunità, non ci fermeremo. Carlos lo sa”, spiega Robert Peugeot sulle colonne di Les Echos. Ben inteso, non c’è nulla di ufficiale e fra i “maritabili” figurano altri potenziali partner, come General Motors o Jaguar Land Rover. Tuttavia, appare difficile che GM abbia voluto abbandonare l’Europa – cedendo proprio Opel a PSA – per poi tornare a fare affari con un costruttore che oggi basa il suo business prevalentemente nel vecchio continente.
Senza contare che i piani industriali dell’azienda americana e la sua gamma prodotto potrebbero non collimare appieno con quelli di PSA. Il gruppo inglese, invece, sta facendo i conti con le catastrofiche conseguenze della Brexit e, al momento, naviga in acque finanziarie abbastanza agitate.
Viceversa, FCA si trova attualmente con i conti in ordine (ha realizzato nel 2018 un utile netto di 3,6 miliardi di dollari, in crescita del 3% rispetto al 2017, e ricavi in salita del 4% a 115,4 miliardi), proprio come quelli di PSA, più in forma che mai. Inoltre, anche se ciò ha un peso relativo, FCA e PSA sono già soci nell’ambito della joint venture sui veicoli commerciali, valida fino al 2023. La strada della fusione fra i due Gruppi, quindi, non è da escludere, anche se sembra più probabile un’alleanza sulla falsa riga di quella fra Renault-Nissan-Mitsubishi: consentirebbe di condividere componentistica, tecnologie e costi di sviluppo, pur facendo mantenere una certa indipendenza nel management delle due aziende.
L’alleanza coi francesi permetterebbe a FCA di accedere alle piattaforme elettrificate di PSA (utili per rilanciare l’offerta di prodotto del gruppo e aiutarlo a centrare gli standard europei 2020/2021 in tema di emissioni CO2). Mentre PSA avrebbe le chiavi d’accesso al mercato nordamericano, dove Jeep è una gallina dalle uova d’oro, dove FCA ha una grande rete commerciale e dove, da tempo, Tavares brama di espandersi per trasformare l’azienda che dirige da grande gruppo europeo a player globale.
L’operazione poi, secondo la parigina Societé Generale, avrebbe sin da subito la benedizione del Governo francese e creerebbe un colosso da 8,5 milioni di auto all’anno (4,7 milioni di vetture vendute da Fca nel 2018 e i 3,9 milioni di Psa), vicino per numeri ai 10 milioni di pezzi sfornati annualmente da gruppo Volkswagen, Renault-Nissan-Mitsubishi e Toyota.
Un’ipotesi che piace parecchio pure ai mercati, visto che ieri Fca chiudeva a Piazza Affari in rialzo del 5,01% a 13,382 euro, mentre alla Borsa di Parigi la Peugeot avanzava del 2,74% a 22,89 euro. E le speculazioni hanno fatto volare tutti i titoli della galassia Agnelli: oltre a Fca, Exor avanza del 3,79% a 58 euro e Cnh Industrial guadagna il 2,8% a 9,692 euro. Chissà che nel Risiko dei costruttori automotive, il nuovo gigante dell’auto non abbia il triplice passaporto; il tutto perfettamente in linea con le teorie di Sergio Marchionne, enunciate una decade orsono: “alla fine resteranno solo 4 o 5 grandi gruppi dell’auto nel mondo”.