L’era di Nursultan Nazarbayev alla guida del Kazakistan si chiude il 19 marzo 2019, dopo 30 anni saldamente al comando della Repubblica dell’Asia Centrale. Nazarbayev decide così di abdicare e supportare “una nuova generazione di leader che continueranno i cambiamenti in corso nel paese”, prendendo così il proprio posto nella storia. Nell’assenza di una vera opposizione in Kazakistan, è altresì vero che non vi sono personalità di spicco emerse negli anni e che abbiano dimostrato di poter assicurare il governo dell’economia più importante della regione. Stretto fra la Federazione Russa e la Repubblica Popolare Cinese, il futuro successore di Nazarbayev dovrà cimentarsi in un difficile, e pericoloso, gioco di equilibri.
È bastato un annuncio televisivo della durata di poco più di un minuto ad imprimere una cesura netta a quella che è stata la presidenza più longeva nel periodo successivo al crollo dell’Unione Sovietica. A lasciare la guida del Kazakistan è un 78enne che ha indelebilmente associato il paese al proprio carisma ed esperienza, accumulata in decenni di militanza nel Partito Comunista kazako, e che si è perennemente rifiutato di nominare, o anche solo indicare, un proprio successore.
Nursultan Nazarbayev, nato da una famiglia di contadini sunniti, subisce da bambino in prima persona le conseguenze delle misure di collettivizzazione forzata dei terreni imposte da Stalin e vive, durante i primi anni, l’esperienza di una vita nomadica. Dopo gli studi tecnici in Ucraina, entra negli anni ‘60 nelle file del Partito Comunista del Kazakistan e trova nella politica la sua ragione di vita. L’ascesa al vertice è lenta ma graduale. Nel 1984 diviene primo ministro e successivamente, nel periodo riformista di Gorbachev e di forti turbolenze nel paese, riesce a imporsi come figura capace di assicurare fermezza e controllo, anche durante il crollo dell’Unione Sovietica. “Abbiamo aggiunto il Kazakistan sulla mappa dove prima non vi era alcuno stato”, afferma Nazarbayev nel messaggio di oggi. Non ha tutti i torti. Il Kazakistan emerge dalle rovine dell’esperimento socialista di Mosca come la più stabile delle Repubbliche della regione e di certo la più vivace delle economie, capace di attrarre sin da subito l’interesse di multinazionali europee e nordamericane, in particolare nel campo energetico.
A guidare verso le prossime elezioni sarà lo speaker della camera alta del paese, Kassym-Zhomart Tokayev. Intervistato nel 2018 dalla BBC, lo stesso Tokayev si era azzardato a manifestare i propri dubbi riguardo la possibilità che Nazarbayev potesse ripresentarsi alle prossime elezioni presidenziali del 2020. Vista con il senno di poi, la dichiarazione rilasciata alla televisione britannica, surreale visto il vero e proprio tabù riguardante la successione alla presidenza dei paesi dell’Asia Centrale, faceva invece parte di un lungo percorso che ha portato all’annuncio di oggi.
Il 65enne Tokayev è stato scelto perché “onesto e responsabile” e la benedizione del “Leader della nazione” è quanto mai necessaria affinché il processo di transizione al potere fili senza intoppi. Innanzitutto la popolarità di cui gode Nazarbayev è senza pari e durante l’ultima tornata elettorale del 2015, gli elettori avevano riconfermato il suo ruolo attraverso un plebiscito del 97,7%. Sul suo successore, chiunque esso sarà, l’ormai ex-presidente potrà far valere la sua presenza in tre centri nevralgici del potere. Innanzitutto il partito di maggioranza Nur Otan, che detiene 84 dei 107 seggi nel Parlamento kazako, rimarrà sotto un ferreo controllo. A ciò si aggiunge il suo ruolo primario all’interno del consiglio di amministrazione del Fondo sovrano del Kazakistan, il quale gestisce i generosissimi proventi dell’industria degli idrocarburi. Infine, Nazarbayev è stato il promotore di una recentissima riforma che ha reso il Consiglio di Sicurezza Nazionale l’organo di coordinamento di tutte le attività amministrative nel paese. Non casualmente, nel futuro sarà proprio lui a presiederlo.
Durante il discorso alla nazione, la costruzione di un’economia di mercato e il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini sono stati citati fra i principali successi della presidenza. Il Pil pro capite kazako è oggi superiore a quello di stati come Bulgaria e Messico. Nonostante ciò rimangono forti sacche di povertà, in una economia dominata dalle fonti fossili e in cui le regioni occidentali, fra le più ricche di risorse, sono al contempo quelle dove i salari sono rimasto più bassi. Nel 2011 uno sciopero prolungato per mesi ha portato a scontri fra le forze di sicurezza e i lavoratori, causando la morte, secondo fonti governative, di 14 lavoratori dell’industria petrolifera. Quello accaduto nella città di Zhanaozen rimane uno degli episodi più bui della storia recente del Kazakistan.
Nelle stesse regioni occidentali e in quelle più orientali, al confine con la Cina, si è andata invece negli anni a formare un movimento dal basso, contrario sia all’immigrazione illegale cinese nel paese che a concedere ulteriori incentivi economici a Pechino. Un’attenzione particolare è stata recentemente data, sia della società civile che da parte della comunità internazionale, alla minoranza di etnia kazaka, ma con cittadinanza cinese, bersagliata da diverse misure restrittive nella regione dello Xinjiang. Pechino è divenuto il principale finanziatore di Astana – anche se ora la capitale si prepara a cambiare nome proprio in “Nursultan” in onore dell’ex leader – e ha basato la sua reputazione sul supporto ai più importanti progetti energetici e dei trasporti del Kazakistan, uno degli snodi fondamentali della Nuova Via della Seta. Proprio da qui, nel 2013, ne era stata lanciata la versione terrestre dallo stesso Xi Jinping in un discorso tenuto alla Nazarbayev University di Astana.
Chiunque seguirà Nazarbayev dovrà essere anche in grado di mantenere un cordiale e stretto rapporto con Mosca, vicino quanto mai presente e vigile negli sviluppi politici. Un partner con cui Astana ha avviato da anni un processo di integrazione lenta e laboriosa, attraverso l’Unione Economica Euroasiatica e dal futuro ancora tutto da scrivere. Il Kazakistan ha sinora guardato alla Russia per rafforzare la propria sicurezza e l’equilibrio degli interessi nella regione. Una formula di spartizione degli oneri e doveri che ha ricevuto mutuo consenso e sostegno da parte di Mosca e Pechino ma che oggi, nell’epoca della transizione kazaka, appena avviata dalla scelta di Nazarbayev, viene messa alla prova come mai prima d’ora.
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