L'avvocato Mezzacapo era il "procuratore politico dell'amico potente". Entrambi sono stati arrestati dai carabinieri su ordine del gip di Roma. L'attività pubblica, ricostruiscono gli inquirenti, diventa "il campo di gioco calpestato". E “il conferimento di incarichi di assistenza e difesa all’avvocato ha costituito un efficace strumento per camuffare sotto ‘panni curiali’ le relazioni correttive”. Il presidente dell'Assemblea capitolina, quando non poteva intervenire direttamente, si rivolgeva ad assessori e consiglieri competenti
C’è il “manifesto programmatico” in una intercettazione e c’è la “filosofia dell’arricchimento“, in cui l’attività pubblica diventa “il campo di gioco calpestato“, nella storia di corruzione che arriva da Roma e vede protagonisti l’avvocato Camillo Mezzacapo e il presidente dell’Assemblea capitolina, Marcello De Vito, entrambi arrestati dai carabinieri su ordine del gip di Roma Maria Paola Tomaselli. Ma in questa storia di tangenti, incarichi e consulenze, raccontata in 260 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, più che un intermediario della corruzione il professionista era una sorta di “procuratore del politico” e definiva l’esponente del M5s, in via di espulsione, “l’amico potente“. Che infatti, secondo le accuse, era capace di procurargli affari e soldi come ha raccontato a verbale l’imprenditore Luca Parnasi. Era stato De Vito che gli aveva “indicato” e suggerito Mezzacapo per l’affare Ecogena Agea. Incarico conferito per non scontentare il politico: “Una vicenda analoga a quella dell’avvocato Lanzalone…“ le parole di Parnasi.
Gli affari anche dopo l’arresto Parnasi. Il gip: “Era un format”
De Vito e Mezzacapo – che parlando in una intercettazione si poteva permettere di dire “seguiamo il nostro canale … e ce li abbiamo, i politici ce li abbiamo – ora sono in carcere per aver realizzato un “vero e proprio format replicabile in un numero indeterminato di casi” in in cui il politico era pagato per agevolare e incentivare gli affari del professionista che ripagava con i soldi piazzati sui conti della società Mdl srl. Non c’è solo l’affaire del nuovo stadio della Roma alla base dell’indagine che è una gemma di quella che portò proprio all’arresto Parnasi, ma tanti altri (leggi l’articolo di Andrea Tundo). E nonostante quell’indagine deflagrante il sistema, “il canovaccio corruttivo”, non si è fermato, è proseguito: anzi “è ancora in atto non avendo l’intervenuto arresto di Parnasi e dei suoi sodali sortito alcun effetto deterrente”. Gli indagati hanno attivato “accorgimenti”, ma non si sono fermati. Portando avanti il loro progetto replicabile e replicato: “Di format si tratta in quanto – ragiona il giudice – vi è una scientifica strumentalizzazione di ruoli di per sé astrattamente leciti quale abito dentro cui far muovere la macchina dell’illecito. Ed è un modello talmente ben congegnato ed articolato, nella prospettiva della previsione anteatta di ogni possibile aspetto delle attività professionali coinvolte nel mercimonio modulabili verso un utilizzo di schermo dalla realtà criminale sottostante, che ha operato ed opera secondo uno schema che ha dimostrato, sino a oggi la sua efficacia“.
La procura di Roma contesta “all’amico potente” De Vito di aver messo a disposizione la sua funzione in cambio di “incarichi professionali conferiti all’avvocato Mezzacapo con conseguente percezione di somme di denaro a titolo di compenso versate, in prima battuta, su conti correnti riferibili direttamente o indirettamente a Mezzacapo per poi essere trasferiti nella società Mdl Srl, e rientrare quindi nella disponibilità sia di Mezzacapo che di De Vito”. Secondo il gip, “vi è quindi una sorta di triangolazione anche nella percezione dei fondi illeciti, nel senso che Mezzacapo, primo percettore degli utili, attraverso un sistema di false fatturazioni li devia consentendone il trasferimento alla società Mdl Sr che può essere considerata la cassaforte di De Vito e Mezzacapo”.
L’intercettazione. De Vito sui soldi: “Distribuiamoceli questi”
Che la società fosse la cassaforte e che i soldi – circa 60mila euro – fossero per entrambi emerge da una intercettazione proprio tra il politico e il professionista: “Vabbè distribuiamoceli questi” dice De Vito a Mezzacapo che risponde: “Ma adesso non mi far toccare niente, lasciali lì .. a fine man…quando tu finisci il mandato, io… ci … se vuoi ci mettiamo altre sopra se vuoi”. Quindi l’avvocato lo convince ad aspettare fino al termine del mandato elettorale: “Cioè chiudiamo, distribuiamo poi… liquidi e sparisce tutta la società non c’è più niente e allora però questo lo dei fa quando hai finito quella cosa, siccome mo ci stanno facendo le sponsorizzazioni comunque adesso il nuovo contratto che gli ho mandato … quella lei continua a fatturare produce anche una staticità ormai su… hai capito il senso insomma“. Per il gip una “conversazione illuminante che chiarisce in maniera inequivocabile il patto scellerato che lega De Vito a Mezzacapo” come i soldi arrivati sui conti della Mds siano riconducibili all’esponente M5s. Per cui il gip non può fare a meno di parlare di “sistematico mercimonio della funzione pubblica” in cui l’attività pubblica diventa “un campo di gioco calpestato” in cui la “parte privata e parte pubblica” sono “solo formalmente distinte e presentano invero una straordinaria coincidenza di obiettivi e interessi per la realizzazione dei quali essi piegano la funzione pubblica”, in un “quadro desolante” perché si manifesta la “convergenza” criminale tra pubblico privato.
“Format riuscito grazie a congiuntura astrale e spregiudicatezza”
Incarichi per il professionista che sono tangenti finalizzate a “retribuire una serie di condotte che il De Vito pone in essere per favori i privati a discapito dell’interesse pubblico” scrive il gip. E in questo “il conferimento di incarichi di assistenza e difesa all’avvocato Mezzacapo risulta coerente con la professione svolta da quest’ultimo e quindi ha costituito un efficace strumento per camuffare sotto ‘panni curiali’ le relazioni correttive”. Il sodalizio De Vito Mezzacapo è evidente – secondo il gip – dall’intercettazione del 4 febbraio 2019, quando i due parlano di una congiuntura politica-astrale favorevolissima (leggi l’intercettazione). “Ed infatti il sistema funziona secondo modalità collaudate e attraverso soggetti esperti e ricchi di credenziali che si muovono in un indistinto connubio di lecito e illecito ove, come una sorta di Giano bifronte, accrescono la loro capacità di influenza sul doppio versante a loro parimenti necessario dei rapporti normali con la società civile e di quelli opachi con con il mondo illecito sottostante“. Per questo il giudice ritorna sull’immagine del format “assolutamente riuscito, fino a oggi, grazie alla congiuntura astrale e alla spregiudicatezza di chi ritiene, solo perché dotato di astratte credenziali sociali e professionali, di potersi muovere liberamente e impunemente in ambiti criminali“. E quando De Vito non può aiutare direttamente “si rivolge agli assessori competenti per materia, ovvero i consiglieri comunali, ovvero ancora si avvale di tutta la rete di relazioni in modo da potere comunque sollecitare l’intervento di altri pubblici ufficiali che operano all’interno dell’amministrazione capitolina secondo la finalità desiderata dal privato”.