“Sai come avrebbe fatto Albertone? Zim-zum-zam, un-due-tre…”. La sua mano scatta, destra-sinistra, imitando il passaggio tra le ultime porte prima dell’arrivo. “Braccia al cielo, primo!”.
Lui, Albertone, è lì, ospite d’onore al parterre della Gran Risa da vent’anni. E mostra a tutti come avrebbe affrontato le curve finali dello slalom gigante. Velocissimo, un portento. Il migliore. E non importa che, proprio di fronte ai suoi occhi, abbia appena vinto Max Blardone (che quella pista, la più difficile del Circo bianco, l’ha domata ben tre volte) o Marcel Hirscher (sei trionfi, record assoluto). Lui è fatto così. E forse ha pure ragione: Alberto Tomba, insieme a quell’aura da leggenda che ancora si porta dietro, quelle porte, almeno nell’immaginario collettivo, le avrebbe fatte come nessun altro. Zim-zum-zam, poi una riga fino al traguardo.
Per il 99% degli italiani è così. Lo sci – alpino, parlo di quello – è finito nell’esatto istante in cui la Bomba, nel ’98, ha appeso gli scarponi al chiodo. Cinquanta vittorie in Coppa del mondo, tre Olimpiadi, due Mondiali, la Coppa assoluta nel ‘95. Uno degli sciatori più grandi di sempre, senza dubbio. Ma anche personalità gigantesca e fenomeno mediatico senza pari, tanto che Rai1 nel 1988 interruppe il Festival di Sanremo per trasmettere la sua seconda manche dei Giochi olimpici di Calgary. Manco a dirlo, alla fine fu oro.
Per vedere qualcosa di simile, abbiamo aspettato fino al 2006: Giorgio Rocca collezionò, in slalom speciale, cinque vittorie consecutive. Ed era l’anno delle nostre Olimpiadi, quelle di Torino. La pressione di pubblico, tv e giornali era così alta che Rocca, partito col primo pettorale che pareva un gatto di marmo, cadde a metà gara dopo una spigolata. Fu un lampo.
Poi, il vuoto? Nient’affatto, anzi, l’esatto contrario. Ma sembra che nessuno se ne sia accorto. Cito solo tre nomi, e mi perdoneranno gli altri. Il primo: Peter Fill, due Coppe del mondo in discesa libera (primo e unico italiano a vincerle) e una in combinata. Seconda: Sofia Goggia, una Coppa del mondo e l’oro alle Olimpiadi di Pyeongchang, entrambi in discesa, più il record femminile di podi, 13, in un’unica stagione (meglio di Deborah Compagnoni, tanto per tirare in ballo un nome noto). Infine, Dominik Paris, il più forte velocista in circolazione: un oro mondiale, una Coppa del mondo in supergigante, 16 vittorie nel Circo bianco tra cui quattro sulla mitica Streif, a Kitzbühel. Trionfi, questi, che per un atleta valgono più di un oro olimpico.
Eppure, eppure… lo sci si è fermato là, con Albertone, gli anni Novanta e quegli sci dritti dritti da più di due metri che per girarli serviva la distensione, un movimento che è finito in soffitta. Come gli scarponi della Bomba. Perché?
Per l’ottimo Massimiliano Ambesi, opinionista ed esperto di discipline invernali, i motivi sono due: la differenza di risultati tra ieri e oggi (Tomba resta ineguagliabile) e la mancanza di educazione allo sport, in senso lato, che porta, per forza di cose, ad appiattirsi sul mainstream (un capitolo, quest’ultimo, che meriterebbe non uno ma cento blog). Secondo me, però, c’è dell’altro.
Una prima, semplice considerazione di carattere generale a cui aggiungo un dato: praticare lo sci costa parecchio (attrezzatura, skipass, eventuale pernottamento in hotel, benzina ecc.ecc.) e dal 1999 al 2018 il potere d’acquisto degli italiani è calato del 3,8% (fonte Eurostat). Un altro tassello: dal 2004 il mercato dello sci alpino è crollato, rispetto al 2014, del 50%, con un fatturato che è passato da 106 milioni di euro a 52 milioni di euro (fonte Osservatorio Modena Skipass). Gli sci acquistati, tanto per rendere il punto più concreto, sono scesi da 389mila a 173mila unità. E ancora: le stime dell’International Report on Snow e Mountain Tourism registrano poco meno di 30 milioni di skier visits nel 2007, in diminuzione a 27 milioni nel 2017. E attenzione, perché il 35% del totale è composto da stranieri.
Purtroppo dati relativi agli anni Novanta non esistono. Se ne lamenta Laurent Vanat*, lo conferma Massimo Feruzzi di JFC, società di consulenza in ambito turistico che sta dietro all’Osservatorio Modena Skipass**, che però spiega: “Il calo di sciatori, rispetto a 20-30 anni fa, è evidente. Una volta c’erano il mare o la montagna mentre oggi l’offerta turistica è più diversificata, basti pensare alle crociere. Senza dimenticare il costo elevato dello sci. Non è un caso che nell’ultimo decennio ci sia stato un boom delle discipline non legate all’acquisto di skipass, come l’alpinismo o l’uso delle ciaspole”.
Che cosa voglio dire? Che la potenza mediatica di Tomba non basta a spiegare il fenomeno***. Gli italiani, rispetto agli anni Novanta, rinunciano più spesso o del tutto alla settimana bianca. E si allontanano, inesorabilmente, dallo sci. Non c’è “zim-zum-zam” sulla Gran Risa che tenga.
* È il ricercatore che redige annualmente l’International Report on Snow e Mountain Tourism.
** Ho chiesto i dati ad Anef (Associazione nazionale esercenti funiviari) ma non ho ricevuto risposta.
*** Vero, la Rai trasmetteva le gare sui propri canali principali quando esistevano 7-8 reti in tutto. Poi ha smesso di farlo e ha “relegato” lo sci a Raisport. Ma qui il punto suona familiare: è nato prima l’uovo o la gallina?