Secondo il tabloid nazionalista bilingue, non è intenzione di Pechino strumentalizzare la partecipazione alla Belt and Road per creare una frattura tra l’Europa e gli Stati Uniti. L'articolo sottolinea che la Penisola ha "urgente necessità di investimenti cinesi nelle sue piccole e medie imprese, nell'innovazione finanziaria, nelle energie rinnovabili e in un'ampia serie di progetti infrastrutturali incluse telecomunicazioni, strade pubbliche, ferrovie e shipping”
A poche ore dall’arrivo di Xi Jinping in Italia, la controversa firma del memorandum di intesa tra Italia e Cina viene letta dalla stampa cinese attraverso il prisma delle convulsione interne all’Unione europea e l’assertività americana nel Vecchio Continente. Secondo il Global Times, tabloid nazionalista bilingue, non è intenzione di Pechino strumentalizzare l’accesso italiano nella Belt and Road per creare una frattura tra l’Europa e gli Stati Uniti. In un editoriale a firma di Zhang Bei, ricercatore del Beijing-based China Institute of International Studies, la natura simbolica e politica della partecipazione della Penisola (primo membro del G7 a dire sì all’iniziativa cinese) viene diluita dall’ossessione occidentale per la presunta strategia del “divide et impera” messa in atto da Pechino all’interno del blocco dei 28. La pubblicazione – affiliata al quotidiano del partito comunista People’s Daily – rassicura che l’Italia non diventerà il “cavallo di Troia” dell’egemonia cinese nel continente.
“Comprendendo la vicinanza tra Stati Uniti ed Europa, la Cina non vuole allontanare l’Europa dagli Stati Uniti. Innanzitutto perché non è possibile. Secondo, perché non è ciò che la Cina vuole”, spiega l’analista aggiungendo che Pechino “non vede il mondo come una lotta per il potere. La politica a lungo termine della Cina prevede la ricerca di partnership piuttosto che alleanze”. Infatti, il raffreddamento dei rapporti all’interno del blocco atlantico sarebbe in realtà da attribuire alle provocazioni tariffarie e alla postura euroscettica di Trump, responsabile dell’uscita degli Stati Uniti da iniziative multilaterali europee, come gli accordi di Parigi e l’intesa sul nucleare iraniano. L’op-ed prosegue notando che sebbene Washington rappresenti ancora per l’Europa “uno scudo da rischi di sicurezza sconosciuti” e un partner in virtù dei “valori condivisi delle istituzioni politiche”, “in tutta Europa si sta facendo largo il bisogno di autonomia strategica, e nessuno può negare che sia il risultato diretto delle nuove politiche americane. Trump rappresenta un’America che l’Europa non conosce e non apprezza”.
E’ dall’inizio del nuovo anno che gli Stati Uniti stanno tentando di isolare la Cina nel quadrante europeo, prima, in riferimento alle sospette attività di spionaggio dei colossi cinesi dell’hi-tech Huawei, ZTE & Co., poi, minacciando un possibile deterioramento dei rapporti con Roma nel caso di un accesso dei capitali cinesi agli asset strategici della penisola. Con il risultato che le ambizioni commerciali italiane lungo la Nuova Via delle Seta sono rimaste vittima del “Grande Gioco” tra le due superpotenze mondiali. Nuovi sviluppi potrebbero emergere in seguito alla maratona di colloqui ai vertici del Consiglio europeo in programma quest’oggi e il mese prossimo. In cima all’agenda svetta la proposta di una nuova legge tesa a vincolare i finanziamenti cinesi nelle infrastrutture a una maggiore reciprocità per gli interessi europei oltre la Muraglia.
Retorica a parte, la percezione che l’Italia venga considerata l’anello debole dell’Unione traspare non solo dalle posizioni più accomodanti mantenute dal governo gialloverde sul versante 5G e in sede europea, dove il Bel Paese si è astenuto dal votare il nuovo regolamento sugli investimenti negli asset strategici approvato in via definitiva dal Consiglio a inizio mese. Mentre la questione del MoU tra Italia e Cina è stata ampiamente trascurata tanto sui social network quanto sulla stampa cinese in caratteri, il solito Global Times fornisce una versione più sbottonata sulla questione, suggerendo che “l’Italia è nell’urgente necessità di investimenti cinesi nelle sue piccole e medie imprese, nell’innovazione finanziaria, nelle energie rinnovabili e in un’ampia serie di progetti infrastrutturali incluse telecomunicazioni, strade pubbliche, ferrovie e shipping”. L’articolo, anche in questo caso in inglese (quindi rivolto a un pubblico straniero), si spinge oltre notando che “malgrado l’Italia sia rimasta impantanata nella crisi finanziaria internazionale e nella crisi del debito sovrano europeo, mantiene ancora la guida globale su scienze e innovazione tecnologica e manifattura meccanica, tra i vari settori. Ed è la terza più grande fonte di acquisizione di tecnologia della Cina nell’Unione europea”. Un’affermazione che, sebbene incorniciata in un contesto ufficialmente “win-win”, difficilmente basterà a placare i timori di Washington e Bruxelles.
Secondo Song Qing, research fellow dello Shanghai Institutes for International Studies ospitato dal tabloid, mentre l’ingresso italiano nella Belt and Road va attribuito al “pragmatismo dei leader populisti” in virtù del loro “mandato popolare”, il Bel Paese sarà la prima ma non l’ultima delle potenze europee a percorrere la nuova via della seta.