Giustizia & Impunità

Imane Fadil, “no traccia di radioattività negli organi”. Gli investigatori: “Non rilevate sostanze sospette in casa”

Sono questi i primi esiti dell'autopsia sul corpo di Imane Fadil, la modella marocchina morta in circostanze misteriose e per cui la procura di Milano indaga per omicidio volontario.

Nessuna traccia di radioattività sui campioni prelevati con le biopsie di reni e fegato”. Sono questi i primi esiti dell’autopsia sul corpo di Imane Fadil, la modella marocchina morta in circostanze misteriose e per cui la procura di Milano indaga per omicidio volontario. Gli esperti incaricati dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e i pm Luca Gaglio e Antonia Pavan “hanno potuto effettuare le misurazioni soltanto sui tessuti, non sui liquidi” scrive il. I primi esiti erano necessari per valutare le condizioni e le misure da adottare allo svolgimento dell’autopsia vera e propria. I “carotaggi” sul cadavere hanno richiesto molto tempo. I prelievi sono stati effettuati all’Istituto di medicina legale di Milano con tutte le procedure di sicurezza del caso e con la presenza del nucleo specializzato dei Vigili del Fuoco.

Gli esami dovranno chiarire quali erano i valori originari dei metalli presenti nel sangue di Fadil, che è stato ‘lavato’ con le molte trasfusioni durante il ricovero di oltre un mese all’Humanitas di Rozzano. Già i valori individuati nel sangue e nelle urine con accertamenti recenti (disposti dall’ospedale a fine febbraio) avevano evidenziato una massiccia presenza di metalli, in particolare antimonio, cadmio e cromo. A casa della modella non sono stati trovati medicinali o sostanze particolari che potrebbero giustificare quella pesante concentrazioni di metalli. Le tre ipotesi prese in considerazione dalla Procura sulle cause della morte sono avvelenamento radioattivo, avvelenamento con altre sostanze o una malattia rara autoimmune. La prima, a questo punto, sembra perdere forza.

Alcune sostanze, in forma di sale, non sarebbero così difficili da reperire, ma nulla è stato trovato che possa far ipotizzare che la giovane, testimone dell’accusa e parte civile nei processi Ruby, possa aver volontariamente assunto queste sostanze. “Il suo stile di vita non giustifica valori particolari di metalli”, non anomali per chi lavora per anni a contatto con certe sostanze.