La sentenza è per le cosiddette discariche ‘pre-esistenti’, ossia quelle aperte prima del 2001 e che avrebbero dovuto essere chiuse o adeguate alle nuove norme di sicurezza Ue introdotte nel 1999
Per l’Italia arriva l’ennesima condanna da parte della Corte di giustizia Ue sul fronte ambientale. Questa volta si tratta della sentenza per le 44 discariche sparse in tutto il territorio nazionale, le cosiddette ‘pre-esistenti’, ossia quelle aperte prima del 2001 e che avrebbero dovuto essere chiuse o adeguate alle nuove norme di sicurezza Ue introdotte nel 1999. L’ultimo termine era stato fissato dalla Commissione europea per il 19 ottobre del 2015. Tutto quanto fatto dal 2017 in poi e negli ultimi mesi, successivamente alla nomina di un commissario straordinario, non ha potuto fermare l’iter, né far tornare indietro il tempo. Il 2015 è ormai lontano. Il nostro Paese paga e continuerà a sborsare per quanto non è riuscito a fare prima di quella data. Non resta che ridurre al minimo i danni, chiudendo tutti i siti non a norma prima possibile.
UNA PROCEDURA APERTA DA SETTE ANNI – La procedura d’infrazione che ha portato alla nuova condanna era stata aperta nel 2012, con l’invio di una lettera di diffida nella quale la Commissione contestava al nostro Paese la presenza di 102 discariche che operavano in violazione della direttiva 1999/31. La norma introduceva per la prima volta requisiti tecnici più severi con l’obiettivo di ridurre gli effetti negativi dell’interramento dei rifiuti per l’ambiente e per la salute pubblica. Mentre gli Stati membri avrebbero dovuto, entro il 16 luglio 2019, chiudere o adeguare a questi nuovi standard le discariche ‘pre-esistenti’ (ossia quelle in funzione prima del 16 luglio 2001), l’Italia non l’aveva ancora fatto. Dopo una ‘trattativa’, al nostro Paese è stato concesso un termine più lungo, ossia il 19 ottobre 2015. Due anni dopo, e siamo nel 2017, la Commissione europea ha proposto dinanzi alla Corte di giustizia un ricorso per inadempimento contro il nostro Paese per non aver ottemperato a quanto richiesto. Tre le contestazioni principali: 31 discariche su 44 non erano state chiuse entro il 19 ottobre 2015 e, alla data della proposizione del ricorso non erano ancora state adeguate; i lavori per rendere conformi alla direttiva altre 7 discariche erano stati completati nel corso del 2017 e del 2018 (fuori tempo massimo); infine, per altre 6 discariche, la Commissione non avrebbe avuto modo di consultare i documenti che provavano il completamento dei lavori e la conformità alla direttiva.
LE 44 DISCARICHE AL CENTRO DELLA SENTENZA DI CONDANNA – Le 31 discariche non conformi nell’ottobre 2015 erano quelle di: Avigliano (località Serre Le Brecce); Ferrandina (località Venita); Genzano di Lucania (località Matinella); Latronico (località Torre); Lauria (località Carpineto); Maratea (località Montescuro); Moliterno (località Tempa La Guarella); Potenza (località Montegrosso-Pallareta); Rapolla (localité Albero in Piano); Sant’Angelo Le Fratte (località Farisi); Capistrello (località Trasolero); Francavilla (Valle Anzuca); L’Aquila (località Ponte delle Grotte); Canosa (CO.BE.MA); Torviscosa (società Caffaro); Corleto Perticara (località Tempa Masone); Marsico Nuovo (località Galaino); Matera (località La Martella); Rionero in Volture (località Ventaruolo); Salandra (località Piano del Governo); Senise (località Palombara); Tito (località Aia dei Monaci); Capestrano (località Tirassegno); Castellalto (località Colle Coccu); Castelvecchio Calvisio (località Termine); Corfinio (località Cannucce); Corfinio (località Case querceto); Mosciano S. Angelo (località Santa Assunta); S. Omero (località Ficcadenti); Montecorvino Pugliano (località Parapoti) e di Torviscosa (località La Valletta). Le 7 discariche in cui i lavori per renderle conformi alla direttiva sono stati completati nel corso del 2017 e del 2018 sono: Andria (D’Oria G. & C. Snc), Bisceglie (CO.GE.SER), Andria (F.lli Acquaviva), Trani (BAT-Igea srl), Atella (località Cafaro), Pescopagano (località Domacchia), Tito (località Valle del Forno). Le altre 6 per le quali non è stato possibile verificare la conformità alle disposizioni della direttiva sono: Potenza (località Montegrosso-Pallareta), Roccanova (località Serre), Campotosto (località Reperduso), San Mauro Forte (località Priati), San Bartolomeo in Galdo (località Serra Pastore) e Trivigano (ex Cava Zof).
IL PRECEDENTE – Non è la prima volta che una procedura che riguarda le discariche arriva a una sentenza di condanna per l’Italia. Era accaduto con la procedura d’infrazione 2003/2077 che riguardava non solo la corretta applicazione della direttiva comunitaria del ’99, ma anche di altre due norme sui rifiuti pericolosi e, appunto, sulle discariche. A dicembre 2014, la Corte di giustizia dell’Ue ha condannato l’Italia (per il trattamento ‘inadeguato’ dei rifiuti in diverse discariche di Roma e Latina) a pagare una somma forfettaria di 40 milioni di euro, per non aver rispettato una precedente sentenza del 2007 e a una penalità di 42,8 milioni di euro (poi ridottasi) per ogni semestre di ritardo nell’attuazione delle misure disposte.
IL PUNTO SULLE DISCARICHE – A fare il punto sulle discariche abusive ancora aperte nel nostro Paese è stato, alla fine di gennaio 2018, il commissario straordinario nominato a marzo 2017, il generale Giuseppe Vadalà. “In 22 mesi di attività – ha spiegato – le discariche abusive in procedura di infrazione sono passate da 80 a 52 (con altre 8 già bonificate al vaglio della Commissione europea)”. La multa semestrale pagata dal nostro Paese è scesa da 42,8 milioni di euro a 11,6 milioni di euro. Su 80 siti assegnati al commissario, per 36 le procedure si sono concluse. Aperti restavano 44 siti (quelli che oggi ci costano la condanna). Dieci discariche dovrebbero essere chiuse entro il 2 giugno 2019, altrettante entro il 2 dicembre 2019, per poi chiudere tra il 2020 e il 2021 gli altri siti.