Rami, Fabian, Chiara, Dani, Adam, Filippo e Ricky sono i nomi riportati dalle cronache dei piccoli eroi che hanno sventato la tentata strage di stile terroristico e a sfondo razziale sullo scuolabus di Crema. Si tratta dello specchio della nuova società multiculturale che si va formando in Italia dentro un sistema di welfare pubblico sempre più raro nel mondo. La scuola italiana, con molte lacune, prosegue il proprio mandato costituzionale di essere aperta a tutti, obbligatoria e gratuita. Qui, partendo da culture e condizioni socioeconomiche diverse, si costruiscono la comunità e i valori condivisi, unico antidoto a un mondo che sperimenta diffusamente la legge dell’odio. I racconti giornalistici sull’episodio dello scuolabus di Crema – una Crema di diversi colori – riportano di un gruppo unito, coraggioso nel tentare dialogo con il mostro e vincenti. Le azioni di Branton Tarrant, il suprematista bianco responsabile dell’attentato ai musulmani in Nuova Zelanda, non sono diverse da quelle dell’autista dello scuolabus contro gli italiani che devono soffrire per le stragi nel Mediterraneo – non importa il colore del razzismo – ed entrambi avranno i loro fantasmi che li hanno portati ad agire in questo modo.
Tempo fa un amico palestinese provava a spiegarmi la logica perversa, senza intenzione di giustificarla, che sta dietro agli attentati dei terroristi palestinesi sui mezzi di trasporto israeliani: “Quelle persone votano e scelgono i loro governi, quindi sono corresponsabili“. Ed è così che si innesca un vortice di delirio collettivo, di odio condiviso. Odio chiama odio. Nella sua Lettera a un razzista del terzo millennio, don Luigi Ciotti ci dice che “il razzismo è a volte provocato o alimentato da situazioni di disagio reale, sfruttate dai seminatori di odio; per rimuoverlo non basta richiamare solidarietà e principi, ma bisogna affrontare concretamente i problemi con proposte e risposte efficaci, avendo come obiettivo non la solidarietà ma il diritto e la giustizia sociale per tutti”. Emma Bonino nell’intervista all’Huffington Post “Contro i seminatori di odio, la resistenza è un dovere”, sottolinea che la violenza delle parole serve a rafforzare una narrazione falsa dell’invasione che paga a livello elettorale. E così, ecco il ministro Matteo Salvini che con una cinica disinvoltura ci racconta di centri di detenzione libici all’avanguardia proprio per – a dire suo – smontare la retorica delle torture, nonostante esistano testimonianze, filmati e dossier delle più importanti organizzazioni umanitarie e delle agenzie delle Nazioni Unite che ci danno conto dell’inferno di quei campi-lager gestiti dalle autorità libiche.
Ho conosciuto personalmente, in questo scarso anno di politica da eletto, una seminatrice d’odio: la consigliera regionale Silvia Sardone. Se penso al ghigno soddisfatto al momento dell’approvazione della sua mozione sul censimento dei rom o la grinta con cui aggrediva in televisione la signora Rania, una mamma di Sesto San Giovanni che occupa un appartamento insieme al figlio malato, mi si gela il cuore. Il suo slogan poco originale ripetuto a macchinetta e sempre accompagnato da qualche sorriso di circostanza è “prima gli italiani”, lo stesso di Salvini, di Trump o di Bolsonaro. Odio genera odio e i politici del partito dell’odio non aumenteranno la sicurezza nei loro Paesi: puntano al controllo sociale distogliendo l’attenzione dai problemi importanti, usano l’aspetto emozionale e non la riflessione e l’approfondimento, cavalcano la guerra tra poveri individuando un nemico per allontanare le loro responsabilità di governo e generando odio innescano alibi per scatenare azioni di terrore.
Tra i nemici su cui puntare il dito vi è pure Luca Casarini, cuoco di bordo e amico che ho avuto il privilegio di incontrare lo scorso ottobre quando ero medico sul rimorchiatore Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans. Ero medico di bordo e anche consigliere regionale di +Europa: mi chiedevo come sarei stato accolto, dato che su molti temi centrali, soprattutto della politica economica, rappresento posizioni distanti da quelle di Sinistra Italiana. Ricordo una manifestazione dello scorso ottobre in cui la società civile si incontrava al teatro Politeama per supportare Mediterranea. Il giorno prima a Pittsburgh un suprematista bianco irrompeva durante le preghiere dello Shabbat all’interno di una sinagoga al grido di “morte agli ebrei”, provocando 11 vittime. Casarini in quell’occasione era particolarmente scosso: ne parlò dal palco, fece seguito un comunicato stampa e il tentativo di incontrare la comunità ebraica palermitana per comunicare una sommessa e dolorosa solidarietà. Luca è una persona generosa e come tutti viaggia all’interno di un percorso di evoluzione personale e politica. Dopo due giorni di tempesta in zona Sar libica che ci costrinsero a rientrare a Lampedusa, tutti volevamo scendere per una notte sulla terra ferma, mentre i marinai dovevano restare a bordo. Luca ci disse che lui – il cuoco – restava a bordo.
Quando il ministro dell’Interno dichiara “Mare Jonio è un centro sociale galleggiante” dice il falso. Mare Jonio non è la nave dei centri sociali, o almeno non solo. E non ci sarebbe comunque nulla di male: tutti coloro che credono nella tutela dei diritti umani sono benvenuti. Per me è stato un privilegio e mi sono sentito a casa e non in una casa occupata, ma in una casa dei cittadini tutti. I partiti dell’odio stanno mettendo in gioco valori fondamentali, per cui non è necessario essere d’accordo su tutto per tenersi per mano e marciare insieme contro le barbarie. Mare Jonio è un’ambulanza del mare, in un mare dove è alta la mortalità. Ai perbenisti che criticano l’operato di Mediterranea perché Mare Jonio è la nave di Luca Casarini ricordo il metodo Marco Pannella: ci insegnava che un approccio laico giudica l’azione e non l’attore.
Caro Luca, il modo migliore per ringraziarti è terminare dando voce ai giovani colleghi dei bambini di Crema: i bambini di un marinaio di Pozzallo che per tutta la vita ha lavorato in mare e sulle piattaforme petrolifere. I suoi figli gli hanno detto: “sai papà che c’è Mediterranea? Saremmo fieri di te se lavorassi lì”. Lui ha lasciato il suo lavoro a tempo indeterminato per uno decisamente più precario e ora è a bordo con te. Mi raccomando, Long John Silver di Mediterranea: cucina bene per i tuoi marinai.