Matteo Renzi proverà a tornare a Palazzo Chigi. Non è un retroscena o un rumor politico ma un’opinione autorevole. A credere nel ritorno dell’ex segretario del Pd come presidente del consiglio è infatti il suo braccio destro: Luca Lotti. “Renzi è un leader e lo sarà ancora. Penso che un giorno si giocherà le sue carte per tornare a Palazzo Chigi“, dice l’ex sottosegretario in un’intervista a Repubblica in cui rivendica a difende gli anni trascorsi a Palazzo Chigi. A cominciare dal Giglio magico che – sostiene Lotti – “era semplicemente un gruppo di persone che ha lavorato insieme e bene. È stato un periodo bellissimo. Non c’è una sola organizzazione in cui un capo, un leader non si circonda di persone preparate e di fiducia. Di Maio avrà le ‘5Stelle magiche‘ e Zingaretti la ‘Lupa magica“, come è naturale. Il Giglio ci ha fatto perdere le elezioni? Ma dai, non esageriamo. Dieci persone non hanno questo potere. E anche la storia della conventicola dei toscani non regge. C’erano Delrio, Padoan, Guerini; tutti hanno contribuito alla formazione del governo Renzi e alle sue azioni”. Per Lotti le correnti sono talmente importanti che andrebbero preservate: “Non ho paura né dei leader né delle correnti”.
Il governo Renzi viene in qualche modo coinvolto nell’inchiesta Consip, in cui Lotti è indagato : su di lui pende una richiesta di rinvio a giudizio per favoreggiamento per aver rivelato l’inchiesta a Luigi Marroni, ex amministratore delegato dell’azienda che gestisce gli appalti pubblici. “Forse ci ha penalizzato. A me ha fatto male. Mi ha ferito che le richieste di un passo indietro venissero più da casa mia che da fuori. Ma la verità con il tempo verrà fuori tutta. Non ho commesso quello di cui sono accusato”, dice Lotti riferendosi alle indagini. Sul nuovo segretario, l’ex ministro dice: “Non salgo sul carro di Zingaretti. Lo spingerò, come facevo prima. Adesso tutti, renziani o non renziani, dobbiamo cercare di cogliere il segnale di unità che arriva dalle primarie. Ma io rivendico con orgoglio tutto quello che abbiamo fatto quando nel Pd guidavamo noi”.
Per Lotti “la grande scommessa di Zingaretti è capire che il Pd ha bisogno di tante leadership. Ha più frecce e le deve usare tutte. Per non ripetere il tragico errore del vecchio centrosinistra soffocato dai personalismi. Anche per questo noi siamo e resteremo nel Pd”. Quindi il renziano ha auspicato che il neosegretario “apra il Pd così come ha detto in Assemblea. Aprirsi al mondo esterno, che non vuol dire portare la sede nazionale in periferia. Significa dialogare con le associazioni, con i comitati, con tutto quello che è fuori dal Pd. Noi – sottolinea – vorremmo lavorare a un’area di pensiero che dovrà essere in tutta Italia, con un gruppo dirigente che si impegnerà sull’idea riformista che abbiamo portato avanti in questi anni”.
Eppure l’unica apertura dell’ era renziana fu quella verso Denis Verdini, fa notare l’intervistatore. “È stato un errore demonizzare ‘il mostro Verdini’. Ha votato le unioni civili, il Jobs act, gli 80 euro, ha votato il reddito di inclusione, il più grosso strumento di lotta alla povertà mai messo in campo. Verdini lo ha votato e la De Petris no. La scommessa non era su Verdini ma sull’ allargamento dell’ area moderata per tentare di frenare la deriva di destra e populista che stava arrivando. Detto questo però mettiamo un punto: il voto di Verdini non è mai stato determinante. Se così fosse stato sarebbe caduto l’esecutivo. E poi ci criticavano quelli che avevano fatto il governo con Berlusconi“, dice Lotti. E se l’apertura tanto auspicata del Pd dai renziani si risolvesse con un ritorno degli scissionisti? “Dobbiamo parlare con tutti gli interlocutori a sinistra e al centro. Ma la comunità si rispetta e se si esce, brindando per la sconfitta al referendum, non si rientra. Lo ha escluso il segretario. Mi fido”.