Essere o non essere ebreo? Possiamo scegliere la nostra identità oppure c’è qualcosa di predeterminato? La genetica può aiutarci? O sono le convenzioni sociali, i condizionamenti storici a costringerci a un ruolo indipendentemente dalla nostra volontà? Il libero arbitrio esiste? Non sono domande astratte o lontane dalla nostra vita quotidiana, ne sono la parte più intima e fragile, quella sulla quale non riflettiamo troppo spesso. E’ facile omologarsi, far parte di gruppi, etnie o nazioni senza chiedersi il perché, ma poi nell’intimo apparteniamo davvero al luogo in cui siamo nati, o alla nostra nazione, regione, città? Già porsi delle domande è complesso, come difficile è la scelta di Martin Brenner che nel nuovo romanzo dello svedese Bjorn Larsson scopre in tarda età che sua madre era ebrea, sopravvissuta al campo di concentramento di Auschwitz. La notizia arriva in una lettera (La lettera di Gertrud si chiama il romanzo edito da Iperborea, p. 466, euro 19.50) che gli viene recapitata quando la madre è già morta. Perché lei non glielo ha raccontato prima? Certamente per proteggerlo, o, forse, per dargli una scelta di libertà e cioè decidere liberamente se essere ebreo oppure no.
Per Martin questa scelta diventa una specie di imperativo morale. Inizia a leggere tutto quello che trova sulla cultura e la religione ebraica, vuole essere consapevole. Decide che deve essere onesto con se stesso sino in fondo, troppo forse, ai limiti dell’ingenuità, se non dell’ottusità. Lo fa inseguendo un sentimento di verità e giustizia che calato nel sociale funziona come una mannaia. Perché le conseguenze delle sue azioni saranno terribili, devastanti, nella loro prevedibilità. Larsson con la profondità che gli è consueta scandaglia i meandri più intimi dell’identità di ciascuno di noi, ci pone nudi di fronte all’interrogativo “chi sono davvero?”. O meglio, “sono davvero chi voglio essere?”. E spinge come in tutta la sua letteratura verso una scelta “estrema”, un orizzonte di libertà nel quale l’umanità è tale a prescindere dalle appartenenze, le stesse nazionalità non hanno alcun senso, le regole o i dogmi religiosi che ci siamo dati possano essere infranti, l’unica regola è quella della fedeltà a se stessi e quella dell’amore. Principi certamente condivisibili, ma che forse non tengono conto del nostro essere “sociali”, della “necessità” di appartenenza, che per molti diventa un pilastro fondamentale e alla fine ti semplifica l’esistenza.
Diverso e terribile allo stesso tempo è quando l’appartenenza diventa un modo per sentirsi un gradino più in alto, per affermare che la cultura di un popolo o di una etnia è superiore, magari per ragioni genetiche! Quella è la trappola che nella storia, anche la più recente, si è ripetuta più volte, culminando nel nazismo, nella pura razza ariana. Così l’appartenenza diviene semplicemente uno strumento di potere. La diversità e le differenze, un motivo di odio. Specialmente in un momento storico – ci confida lo scrittore – “nel quale il razzismo forse non è aumentato, ma dove è certamente più visibile grazie ai media e ai social nei quali si possono facilmente fomentare paure collettive”. Qui un altro aspetto dell’attualità del romanzo.
Anche gli ebrei a cui il protagonista Martin Brenner non vuole appartenere rischiano di cadere nella trappola dell’appartenenza esclusiva, per questo egli decide di scrivere un libro nel quale vuole dimostrare che il popolo ebraico non ha nessuna particolarità genetica, così come non ne esiste una per i rom, e che non si diventa ebrei solo perché si ha la madre ebrea. Il risultato del suo scritto e delle sue idee diviene la fitta trama de La lettera di Gertrud dove, però, tanti sono gli spunti di riflessione e denso è l’approfondimento psicologico dei personaggi. Il sentimento più forte che emerge è il rapporto tra genitori e figli, per Larsson l’amore più puro, incondizionato; la missione di ogni genitore (o di chiunque ami, mi sento di aggiungere) è quella di assicurare loro la libertà, di farli diventare ciò che realmente sono senza nessun condizionamento.
La genesi di questo libro va forse ricercata nel bel capitolo sull’identità di Bisogno di libertà, edito sempre per i tipi di Iperborea e nella vita e nella testimonianza stessa di Larsson uomo e scrittore, che da La vera storia del pirata Long John Silver (Iperborea) sperimenta una sua speciale modalità di stare al mondo, quella che forse affascina sempre di più i suoi lettori: “l’uomo può vivere bene anche come apolide a prescindere dalle appartenenze, l’importante è che rimanga fedele a se stesso, io l’ho provato personalmente. E voi?”.