Ousseynou Sy resta in carcere con l’accusa di strage aggravata dalla finalità terroristica, sequestro di persona, resistenza e incendio. Lo ha deciso il gip di Milano, Tommaso Perna, convalidando l’arresto dell’autista che giovedì ha dirottato il bus con a bordo 51 studenti di una scuola media di Crema per poi dare fuoco al mezzo.

Per il giudice, che ha sposato in toto le contestazioni avanzate dal capo del pool dell’Antiterrorismo milanese Alberto Nobili e dal pm Luca Poniz, è “provato”, tra l’altro, che Sy avesse con sé un coltello e una “pistola” come riferito da alcune testimonianze e l’uomo “mostra una totale assenza considerazione rispetto alle regole di convivenza” e ciò “non consente di formulare una positiva prognosi sul suo comportamento futuro” e quindi “l’unica misura adeguata a contenere la fortissima spinta criminale dell’indagato, è quella della custodia cautelare in carcere”.

Per Perna, tra l’altro, l’autista senegalese con cittadinanza italiana nel corso dell’interrogatorio sostenuto venerdì ha fornito una “posticcia e maldestra opera di rivisitazione della realtà” al fine di “poter contare sui benefici conseguenti ad una eventuale, ed improbabile, dichiarazione di incapacità di intendere e di volere”. Il riferimento del gip è alle “voci dei bambini morti in mare” che Sy ha detto di aver “sentito” e che lo avrebbero spinto verso la sua azione dimostrativa.

A differenza del “contenuto delle dichiarazioni rese davanti ai pm “nelle quali non aveva mai parlato delle voci”, scrive il gip, “in sede di udienza di convalida, da una parte” ha “confermato quanto dichiarato in precedenza, dall’altra, non senza una certa abilità, ha contestualmente tentato di fornire un quadro in qualche misura viziato da una sorta di pregiudizio di natura psichica”.

Piuttosto, lo “scopo sotteso all’azione” di Sy “era quello di costringere, o comunque condizionare, le politiche migratorie attualmente adottate dal governo in carica”. Il suo “intento” era “quello di compiere un’azione dimostrativa sull’onta dell’ira” in lui generata, come ha riferito, “dall’episodio del mancato sbarco di 49 persone”, ossia la vicenda della nave Mare Jonio. Per il giudice è “del tutto inverosimile” la versione “offerta dall’indagato secondo cui non era sua intenzione quella di mettere in pericolo la vita degli ostaggi, dovendosi invece ritenere che soltanto per una combinazione di fattori indipendenti dalla sua volontà non si sono verificate conseguenze ben più gravi”.

La potenzialità offensiva della sua azione, si legge, era “elevatissima e concretamente idonea a raggiungere lo scopo terroristico prefissato”. Se fosse stata portata a compimento, “l’azione avrebbe senza dubbio alcuno gravemente intimidito la popolazione e avrebbe, con ogni probabilità, condizionato i pubblici poteri in relazione alle politiche in materia di accoglimento degli stranieri”.

“Io non dormo quasi mai – ha messo a verbale Sy davanti al gip – perché ricorrono nella mia mente le voci dei bambini morti. Una volta sull’autobus mi si è presentato un bambino che mi ha chiesto di direzionare l’autobus a Linate“. E ha anche mostrato al giudice una “effige in cui è raffigurato il vicepremier Di Maio, che viene presentato dall’indagato come la foto di un bambino morto”. E ha insistito: “I bambini che si presentano nella mia mente mi hanno chiesto di essere aiutati, ma di non fare male ai bambini presenti sull’autobus”.

In più occasioni nell’interrogatorio, spiega ancora il giudice Perna, “si è riferito alla propria persona al plurale, così intendendo volersi riferire a sé stesso ed ai ‘bambini nella mia mente'”. Quando i carabinieri “mi hanno intimato di fermarmi – ha detto ancora – io ho proseguito perché loro non possono fermarmi quando io e i miei bambini decidiamo di fare qualcosa. Tra i miei bambini ce ne sono alcuni molto cattivi… Io e i bambini morti in mare non accettiamo che l’Africa venga sfruttata. Non avrei mai avuto lo stesso comportamento se sull’autobus ci fossero stati i miei bambini morti”.

Il giudice, che non gli ha creduto, parla di un “maldestro tentativo dell’indagato di fornire una versione viziata del suo operato” che si scontra “con alcuni dati fattuali che debbono ritenersi incontrovertibili”. Davanti ai pm, infatti, spiega il gip, quei “bambini morti in mare” li aveva usati ma “per ribadire il suo convincimento di matrice fortemente ideologica”. Nel primo interrogatorio aveva dichiarato “anche condivisibilmente, di soffrire a causa delle morti in mare, di sentire il dolore dei morti”.

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