La democrazia è la soluzione. Con queste parole lo scrittore egiziano ‘Ala al-Aswani concludeva i suoi articoli che per anni vennero pubblicati sulla stampa egiziana durante la dittatura di Hosni Mubarak in Egitto. Sono passati più di 9 anni da allora, nel mezzo c’è stata la rivoluzione – che ha messo fine a quel regime trentennale – e un colpo di stato che ha ripristinato una dittatura più feroce di prima. E il clima di repressione in cui il paese vive ormai dal 2013 ha colpito anche l’intellettuale cairota, autore di best seller conosciuti a livello internazionale come Palazzo Yacoubian, romanzo tradotto in 35 lingue e pubblicato in Italia dalla casa editrice Feltrinelli. Aswani, infatti, è stato denunciato alla procura militare egiziana per aver “insultato il presidente Abdel Fattah el-Sisi, le forze armate e le istituzioni giudiziarie”.

Secondo il quotidiano Egypt Today, che ha ricostruito la vicenda, la denuncia è stata portata avanti dall’avvocato Ayman Mahfouz che come prove ha citato un editoriale pubblicato lo scorso 13 marzo su Deutsche Welle. Nel suo corsivo, Aswani – che subito dopo il colpo di Stato aveva salutato positivamente il ritorno dei militari per mettere fine al governo della fratellanza musulmana – spiegava che i grandi progetti di Sisi (come per esempio la costruzione della nuova capitale amministrativa) non porteranno allo sviluppo sperato perché sono supportati da studi poco credibili. Aswani, che ora è riparato all’estero, puntava il dito sulla nomina di alcuni generali in posizioni civili e amministrative.

Nel mirino delle autorità potrebbe esserci anche il suo ultimo libro, edito in italiano con il titolo Sono corso verso il Nilo, un racconto corale della rivoluzione egiziana del 2011. Lo scrittore si è difeso su Facebook e ha affermato che il caso contro di lui è una chiara violazione dell’articolo 65 della Costituzione egiziana che garantisce “la libertà di espressione e di opinione tramite qualsiasi mezzo di comunicazione” e dell’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, di cui l’Egitto è firmatario.

Nel recente passato il regime di Abdel Fattah el-Sisi ha silenziato qualsiasi tipo di voce dissidente interna. Ma il caso di Aswani apre un nuovo fronte che nell’ultimo anno ha visto finire nel mirino della giustizia nomi conosciuti a livello internazionale. A inizio marzo, l’attore egiziano Amr Waked, interprete del film vincitore di due premi oscar Syriana, è stato condannato in contumacia da un tribunale egiziano a 8 anni di carcere con l’accusa di aver “diffuso false informazioni” e “insultato le istituzioni statali”. L’attore ha raccontato di essere stato minacciato da “ufficiali anonimi” che gli hanno comunicato la sua condanna tramite due differenti sentenze. Waked era partito per la Spagna dal Cairo nell’ottobre del 2017. Da allora, dopo essere stato messo al corrente dell’attenzione della magistratura egiziana verso di lui, non ha più fatto ritorno nel Paese e l’ambasciata egiziana in Spagna ha rifiutato anche il rinnovo del suo passaporto.

“L’apparato di sicurezza egiziano sta usando diversi metodi per far tacere qualsiasi forma di dissenso e questo, senza remore, si sta estendendo anche a personalità di chiara fama internazionale”, osserva Wael Eskandar, giornalista e analista politico, uno dei pochi attivisti della rivoluzione rimasti ancora a vivere al Cairo. “C’è un altro caso che è emblematico e racconta bene la strategia del governo egiziano: è quello del regista Khaled Youssef. Lui è stato colpito con un video a sfondo sessuale, di cui è protagonista, che è stato diffuso a sua insaputa sul web. La pubblicazione ha suscitato molta indignazione in Egitto e ovviamente ha provocato l’apertura di un’indagine da parte della magistratura”. Anche Youssef aveva inizialmente appoggiato il colpo di stato nel 2013, ma dopo essere stato eletto in parlamento nel 2015 si è sempre schierato all’opposizione votando anche contro la riforma costituzionale che consentirà di estendere oltre i due mandati la presidenza di al-Sisi. Al momento della pubblicazione del video, Youssef si trovava in Francia e le sue due mogli che apparivano nel video a sfondo sessuale, sono state arrestate con l’accusa di “oscenità“.

Ma l’azione contro intellettuali e celebrità non allineate è solo la punta dell’iceberg di una repressione governativa che ha portato in carcere più di 60.000 persone negli ultimi 6 anni, e che non accenna a fermarsi. Come peraltro sottolineato da numerose organizzazioni non governative, la credibilità internazionale incondizionata che el-Sisi è riuscito a costruirsi con le cancellerie di Europa e Stati Uniti, ha permesso alle autorità egiziane di perpetrare l’attacco contro le libertà personali più grave della storia moderna del paese.

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