Il telefono trilla alle ore 7.07. “Ciao, oggi riposo, squadra cancellata”. Nazih è già pronto e sta infilando il giaccone, ché fuori fa freddo: se attacca alle 9 si muove alle 7.30. Non si scappa, da casa alla stazione di Novara servono quindici minuti e per arrivare a Malpensa il treno impiega più di un’ora. Poi bisogna aspettare la navetta che ti porta al cargo. Di solito funziona così, invece il 15 dicembre sta per uscire ma arriva l’sms del capoarea e Nazih rimane a casa. E non è la prima volta: “Qui è così, il giorno stesso ti dicono che non ti hanno messo nel turno. Così non lavori e non ti pagano la giornata“. A dicembre è successo cinque volte, Nazih ha conservato i messaggi. E a fine mese “mi sono trovato cinque giornate in meno sul cedolino: con un contratto da 21 giorni significa che ho perso un quarto dello stipendio”. Non si può fare, in passato il Tribunale ha condannato le cooperative che lo hanno fatto. I casi sono stati decine. Ma poi la stessa legge mette nelle mani dei gestori gli strumenti per non pagare la malattia e i contributi per gli ammortizzatori sociali. Consentendo loro di risparmiare sulla pelle dei soci-lavoratori.

Sul piazzale inondato dal freddo sole di febbraio il tir ingrana la retromarcia, sgasa rumorosamente e procede all’indietro per mettere il cassone in posizione. Ad aspettarlo, in una delle grandi bocche metalliche in cui si scaricano le merci, ci sono Nazih e i suoi compagni. La sua qualifica è quella di “spuntatore”: quando arriva il carico controlla che ci siano tutti i colli e firma un documento con cui si prende la responsabilità che non manchi nulla. Gli altri impacchettano e spacchettano il bancale a seconda che gli articoli debbano prendere il volo o essere trasportati su gomma. Lavorano per NclNew Cargo Logistics, la coop che a sua volta lavora per Alha, la società cui l’Ente nazionale per l’aviazione civile ha dato la licenza per lavorare a Malpensa. Quei cinque giorni in cui è rimasto a casa a Nazih sono costati parecchio. Il suo contratto, il “Trasporti e logistica“, prevede 39 ore a settimana, con due giorni di riposo. Poi però a fine mese vai a controllare la busta paga e scopri che quelle ore non le hai fatte: “Calcola 71 euro lordi al giorno – spiega Nazih – fanno 350 euro. Al 27 li senti, eccome”.

Funziona così: “In busta il giorno in cui ti hanno tenuto a casa te lo segnano con la ‘Z’ che sta per ‘zero ore‘ e non te lo pagano – racconta Renzo Canavesi, segretario provinciale del sindacato di base Cub, sfogliando i cedolini nel suo ufficio al quinto piano del gigantesco monolite nero in vetro e cemento che ospita la Cargo City – così facendo non rispettano il contratto: tu hai firmato per 168 ore al mese e loro te ne fanno fare di meno. Ma la beffa è doppia, perché non ti pagano neanche le percentuali di tredicesima e quattordicesima“.

Non si può fare: l’Ispettorato del lavoro sanziona e i tribunali condannano. Ma le cooperative lo fanno lo stesso. Da anni. Chi come Nazih ha lavorato per diverse di loro è sottoposto al trattamento a ciclo continuo. Lo faceva la Sltm, la coop che c’era fino al 2015, e lo ha fatto anche New Cargo Logistics che ne ha preso il posto. Il 5 ottobre il tribunale di Busto Arsizio ha sfornato 12 sentenze di condanna nei confronti delle due coop, riconosciute colpevoli dopo altrettante cause intentate dal Cub di aver fatto la cresta in vario modo sulle paghe di una cinquantina di dipendenti.

Nazih, marocchino, quarant’anni, in Italia da venti di cui quattordici passati a Malpensa dove ha lavorato in cinque coop diverse e si è iscritto al sindacato, è tra questi: il giudice ha condannato Sltm a restituirgli 2.500 euro perché tra il maggio 2012 e il settembre 2015 lo aveva fatto lavorare meno di quanto previsto dal contratto e non gli aveva versato la 13ma e la 14ma, che lui e i suoi colleghi hanno in busta paga a fine mese. E Nazih era stato quello cui era stato sottratto meno denaro: la maggior parte dei suoi colleghi si erano visti restituire tra i cinquemila e i settemila euro. “Il tribunale ha condannato le coop a pagarne in tutto 300mila – spiega Canavesi – Abbiamo fatto un accordo e intanto ci hanno dato la metà, il 4 febbraio abbiamo consegnato gli assegni ai lavoratori. L’altra metà ce la daranno se vinceremo anche in appello”.

Ma la musica non era cambiata neanche con l’arrivo della Ncl, visto che il 17 dicembre 2015, la Direzione Territoriale del lavoro di Varese emetteva una diffida accertativa per “emolumenti non corrisposti” in cui calcolava che tra il 1° maggio e il 31 agosto 2015 la coop aveva sottratto dalla busta paga di Nazih la somma di 713 euro non calcolando come si deve le ore lavorate, evitando di versargli le solite 13ma e 14ma e non pagando la parte della malattia a carico della ditta. Anche l’ispettorato vigila, quindi. Eppure tre anni dopo Nazih viene ancora lasciato a casa con un sms di mattina presto e a fine mese in busta gli mancano cinque giornate. Cinque, come le sentenze di condanna emesse a ottobre nei confronti della Ncl.

A Malpensa di Nazih ce ne sono tanti, italiani e stranieri: IlFattoQuotidiano.it ha potuto consultare 28 pronunciamenti con cui l’Ispettorato ha constatato ammanchi in busta paga e inchiodato le coop. Che sono lo strumento attraverso cui le società abilitate da Enac a fare il carico e lo scarico delle merci risparmiano sulle spese per il personale. Mle (Malpensa Logistica Europa) è una di queste: secondo dati del Cub, ha 200 dipendenti fissi, 72 interinali e per confezionare e spacchettare i pallet utilizza la cooperativa Coros, che conta circa 380 lavoratori. Alha ha 250 fissi e dà in subappalto la gestione delle merci tramite il Consorzio Logi.Co a Ncl (quella in cui lavora Nazih), nella quale oggi lavorano 257 persone. La più piccola è Beta-Trans, che ne ha 10 fissi e utilizza la coop Work Team che conta 40 dipendenti. Lavoratori di serie A e di serie B divisi dallo spartiacque del contratto: le società applicano il contratto “Assohandling“, cioè quello del trasporto aereo per il personale di terra, invece le coop utilizzano quello detto “Logistica e trasporto merci”. Che prevede molte meno garanzie. E che consente alle coop di autoregolamentarsi in una lunga serie di materie – tra cui le assunzioni, il periodo di prova, l’indennità di lavoro notturno e gli orari di lavoro – risparmiando su molte voci di spesa.

Giorgio Carù ha 60 anni, smonta e monta pallet per la coop Coros, è iscritto al Cub e tra qualche mese andrà in pensione. E’ entrato a Malpensa nel 2008 e in un posto normale oggi avrebbe almeno 5 scatti di anzianità, uno ogni due anni. Invece ne ha maturati solo 2, il primo arrivato solo nel 2016, perché ha lavorato in quattro diverse coop: “Quando passi da una all’altra – racconta – perdi gli scatti acquisiti perché quella nuova non te li riconosce. E così ricominci daccapo”. Chi lavora in Mle se la passa molto meglio. Basta leggere una busta paga: a gennaio Xxx Xxx, lavoratore entrato in azienda nel 1999, ha 7 scatti di anzianità maturati fino al 2013, il massimo previsto dal contratto “Assohandling”. Laddove per Carù, anche se avesse lavorato in una sola coop, il “Trasporti e logistica” avrebbe ne previsti solo 5. Tradotto in denaro, una media di 25 euro a scatto: significa che il dipendente di Mle guadagna circa 125 euro al mese in più di Carù. Solo in scatti di anzianità. E nel corso degli anni il livello retributivo è peggiorato: “In AirService, la prima coop in cui ho lavorato prendevo 1.500/1.600 euro al mese, oggi arrivo a 1.200. La paga base è rimasta la stessa, ma sono diminuite le maggiorazioni: nel 2008, ad esempio, notturni e straordinari venivano pagati al 25%, oggi al 15%. E noi siamo anche fortunati, perché Coros paga la malattia”. “Noi riconosciamo i primi due eventi di malattia – confermano dalla coop – mentre dal terzo in poi interviene solo la previdenza sociale”.

New Cargo Logistics, invece, la malattia non la paga proprio: “Noi non paghiamo, come previsto dal contratto Trasporti e logistica nella parte che riguarda le cooperative – spiegano dal Consorzio Logico, di cui fa parte Ncl – il Tribunale di Varese ci ha dato ragione. Ai lavoratori viene erogato soltanto quanto previsto dall’Inps, questa cifra non viene integrata dall’azienda e quindi i primi tre giorni di malattia non vengono riconosciuti”.

Coros, da parte sua, non paga i contributi per gli ammortizzatori sociali. “Si tratta dello 0,5% dello stipendio lordo mensile – spiega Canavesi – di questo lo 0,365% lo deve versare il datore di lavoro e lo 0,125% il lavoratore. Su un lordo di 2.500 euro fanno 12 euro al mese”. Risultato: la coop li risparmia, ma il lavoratore non ha diritto alla cassa integrazione e “quando l’azienda ha problemi resta senza lavoro e con il culo per terra”, sintetizza il segretario del Cub. “Da noi questo aspetto del trattamento contributivo è disciplinato tramite regolamento interno approvato in assemblea, in possesso di tutti i soci-lavoratori e depositato presso la Direzione provinciale del lavoro – spiegano ancora da Coros – come previsto dal contratto nazionale”.

Il contratto, il punto è proprio quello. Il “Trasporti e logistica” prevede un sezione speciale – la Parte Terza dedicata alla Cooperazione – la quale stabilisce che in materia di “Interruzioni, sospensioni di lavoro e recuperi” come recita l’articolo 23, le coop possano autoregolarsi e decidere in deroga allo stesso contratto. Quindi i soci-lavoratori di Coros si sono riuniti in assemblea e hanno votato un regolamento che prevede che la coop non paghi i contributi per la cassa integrazione, rischiando di restare da un giorno all’altro senza un minimo di paracadute nel caso in cui l’azienda fosse costretta a chiudere: “Questo perché molti di noi, specie gli stranieri – racconta un lavoratore – non conoscono il meccanismo e non sanno neanche cosa viene votato nelle assemblee”. “E nonostante le nostre denunce l’Enac non fa nulla“, conclude Canavesi. Misteri delle cooperative.

@marco_pasciuti

m.pasciuti@ilfattoquotidiano.it

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