Dopo quasi due anni di lavoro e 199 diversi capi di imputazione, il procuratore speciale nominato nel 2017 per indagare sulle ingerenze russe nella campagna del 2016 ha chiuso il suo rapporto. Ora lo scontro è politico, con i dem che ne chiedono la pubblicazione integrale. Al contrario Trump potrebbe sfruttare le prerogative presidenziali per silenziare i contenuti di fronte all'opinione pubblica
Dopo quasi due anni di indagini il procuratore speciale Robert Mueller ha consegnato al ministro della Giustizia William Barr il rapporto sulle interferenze russe nella campagna presidenziale del 2016. Secondo fonti del dipartimento della Giustizia citate dalla stampa Usa, nel suo rapporto Mueller non chiederà il rinvio a giudizio per altre persone coinvolte nel cosiddetto Russiagate, oltre alle accuse già presentate nell’ambito dell’inchiesta. Tuttavia, i membri del Congresso, nell’ambito dell’indagine parlamentare che stanno conducendo, potranno autonomamente presentare nuove accuse al dipartimento della Giustizia.
Dopo la diffusione della notizia, molti esponenti di spicco del Congresso e diversi candidati presidenziali democratici hanno invitato Barr a diffondere il prima possibile le informazioni in suo possesso. Il ministro della Giustizia, in una lettera, ha assicurato che nel corso del fine settimana renderà note le “principali conclusioni” del rapporto. La portavoce Sarah Sanders ha invece reso noto che la Casa Bianca non ha ricevuto copia del testo, né è stata messa a conoscenza del suo contenuto. Nell’ambito dell’indagine, Mueller ha presentato finora 199 capi di imputazione nei confronti di 34 persone e tre aziende.
I NUMERI – L’’indagine è durata 674 giorni, per un totale di 22 mesi, con un costo complessivo di 25 milioni di dollari. Mueller è stato nominato dal vice ministro della Giustizia Rod Rosenstein il 17 maggio del 2017 con il compito di indagare sulle interferenze russe sulle elezioni presidenziali del 2016. Per condurre l’inchiesta il procuratore si è avvalso di 17 legali, molti dei quali provenienti dal Dipartimento di Giustizia, e di un Grand Jury. L’indagine è costata in media 1,4 milioni di dollari al mese, per un totale – dati a ottobre 2018 – di 25 milioni. Una cifra elevata se si considera che i 4 anni e mezzo di indagini su Bill Clinton sono costati 40 milioni di dollari. Ma Mueller, grazie all’accordo strappato a Paul Manafort, è riuscito in realtà a far incassare agli Stati Uniti una cifra quasi uguale a quella spesa. L’ex responsabile della campagna di Trump si è impegnato restituire parte dei fondi accumulati con le sue attività ma anche a concedere agli inquirenti anche i proventi dalla vendita delle sue proprietà immobiliari, fra le quali gli appartamenti a New York, incluso quello nella Trump Tower, e la casa in Virginia.
Con l’indagine, Mueller si è assicurato 7 ammissioni di colpevolezza, di cui quattro da persone che avevano lavorano per la campagna di Donald Trump. Fra gli accusati e gli incriminati ci sono 27 persone, di cui 25 di nazionalità russa. Accusate anche tre aziende di Mosca. Da quando Mueller ha avviato l’inchiesta, Facebook ha rimosso 500 pagine e account da Facebook e Instagram, mentre Twitter ne ha rimossi 400.
I legali che hanno aiutato Mueller hanno trascorso centinaia di ore impegnati in interrogatori: solo Michael Flynn, l’ex consigliere alla sicurezza nazionale di Donald Trump, è stato sentito in 19 interrogatori per un totale di 62 ore e 45 minuti.
LO SCONTRO SULLA PUBBLICAZIONE
I candidati democratici alla Casa Bianca per le elezioni del 2020 chiedono l’immediata pubblicazione del rapporto del procuratore speciale “nella sua interezza”. “L’amministrazione Trump non deve poter ottenere il rapporto di Robert Mueller e buttare via la chiave” così che nessuno possa accedervi, twitta il senatore Cory Booker. “Ministro Barr, pubblichi il rapporto di Mueller ora”, fa eco la senatrice Elizabeth Warren. Kamala Harris chiede la pubblicazione “immediata” e un’audizione del ministro della Giustizia sull’indagine e i suoi risultati. Harris si allea con Booker nel promuovere una petizione che chieda la pubblicazione del rapporto. “Chiedo all’amministrazione Trump di rendere l’intero rapporto di Mueller pubblico il prima possibile. Nessuno, neanche il presidente, è al di sopra della legge”, dice Bernie Sanders. Nessun commento ufficiale da parte di Trump, invece. Il presidente, sta preparando insieme ai legali la risposta al rapporto, cui la Casa Bianca non avrebbe ancora avuto accesso. Fra le alternative del tycoon c’è in effetti la possibilità di chiedere in via confidenziale al ministro della Giustizia William Barr quali siano i contenuti. Si tratta però di una mossa rischiosa dal punto di vista politico e legale perché sembrerebbe un tentativo di controllare e censurare cosa Barr dirà al Congresso e al pubblico.
In ogni caso, il ministro della Giustizia dovrebbe informare la Casa Bianca a un certo punto prima di rendere noti alcuni dettagli. In questo caso Trump potrebbe appellarsi al privilegio esecutivo con il quale può bloccare la pubblicazione di alcune informazioni private. Anche questa possibilità però comporta dei rischi perché i democratici, che già lo accusano di ostruzione alla giustizia, potrebbero sollevare dubbi sul privilegio esecutivo in tribunale e citarli come prova per un potenziale impeachment del presidente. Al di là del privilegio esecutivo, i legali di Trump stanno lavorando anche a un rapporto che risponda alle eventuali critiche di Mueller.
I democratici, come detto, ritengono che un sommario del rapporto non sia sufficiente e sono pronti a emettere mandati per ottenere le prove di Mueller e in caso chiamare lo stesso procuratore speciale a testimoniare. La Casa Bianca potrebbe opporsi ai mandati mettendo in evidenza che il rapporto è un documento interno del Dipartimento di Giustizia che include informazioni su individui che non sono stati incriminati e il cui obiettivo non era quello di essere reso pubblico.