“Non fate i gretini”, che “non sanno di cosa parlano” e “sono incoerenti”. Non solo l’attivista svedese Greta Thunberg, a 16 anni ispiratrice di centinaia di migliaia di ragazzi che il 15 marzo hanno aderito al suo sciopero scolastico per il clima, il Global Strike for Future: negli ultimi 10 giorni si è sentito di tutto anche sui ragazzi che seguono il suo esempio nel mondo. Critiche e diffidenza, o addirittura dileggio e sarcasmo hanno accompagnato il movimento spontaneo in buona parte dei media italiani. Qui gli adolescenti sono spesso accusati di non avere ideali, di essere passivi e di non interessarsi alla vita politica, al bene comune, alla società: ora che lo hanno fatto, però, pare non vada comunque bene. La cantante Rita Pavone e l’opinionista Maria Giovanna Maglie sono solo due casi noti di offese rivolte a Greta e indirettamente a tutto il movimento che rappresenta. Nel nostro Paese gli editoriali all’insegna del “serve ben altro” si sono sprecati. Sempre all’insegna di quell’espressione ‘Greta e i gretini’, diffusa sui social e utilizzata in diversi titoli, con lo scopo di delegittimare una battaglia che coinvolge centinaia di migliaia di ragazzi (e non solo). Ma cosa viene loro contestato? E perché tanto rancore? Forse per il fatto di non essere in grado di dare un’etichetta politica chiara, un “colore” a chi è sceso in piazza? Ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto a due professionisti, Marco Bruno, sociologo della comunicazione dell’università La Sapienza di Roma e Antonello Pasini, fisico e climatologo del Cnr e fondatore del gruppo ‘La scienza al voto’ con cui prima delle elezioni della primavera 2018, chiedeva ai partiti di agire con azioni concrete.
L’ATTIVISMO DIGITALE – “Secondo me il problema è che manifestando in piazza questi ragazzi ci hanno spiazzato – spiega a ilfattoquotidiano.it il sociologo della comunicazione Marco Bruno – perché erano in molti a pensare, anche tra i quarantenni, che gli adolescenti si fossero addormentati davanti ai social network”. Invece così non è. “Il loro è un attivismo digitale – aggiunge – un attivismo 4.0 che, tra l’altro, punta molto sui temi legati all’ambiente”. C’è un’ampia letteratura di studi che vede nei social il rischio del mito della partecipazione, ossia che mettere un like sulla foto di Greta, piuttosto che condividere il post di un movimento, possa alimentare l’illusione di partecipare a qualcosa di concreto, di una partecipazione politica che, evidentemente, ha bisogno anche di altro. “Noi però – spiega Bruno – non dobbiamo giudicare questi ragazzi perché non dividono i social dalla vita reale, perché per loro i social fanno parte integrante della vita reale. Per loro è sempre stato così, non c’è un prima e un dopo e non c’è un fuori o dentro. È il loro mondo”. E hanno una loro ritualità fatta di selfie e like: “Noi pensiamo erroneamente che sia accessoria, ma farà parte della loro crescita e non dobbiamo demonizzarla”. Alla manifestazione di Roma, in una piazza Venezia stracolma di ragazzi, c’erano anche il climatologo Antonello Pasini e il geologo Mario Tozzi, entrambi del Consiglio nazionale delle ricerche e unici invitati a prendere la parola. “Abbiamo manifestato a questi giovani l’appoggio della Cnr – racconta Pasini a ilfattoquotidiano.it – ringraziandoli per quello che fanno. Proprio riguardo la rete, ho chiesto loro di cercare di veicolare in maniera corretta le nostre informazioni. Quando leggono dichiarazioni sul cambiamento climatico, devono capire quale competenza abbia chi le pronuncia. Hanno a disposizione uno strumento importante, tutto dipende da come viene utilizzato”.
TRA UTOPIA E CONCRETEZZA – Il tema della tutela del pianeta può certo sembrare astratto. Da un lato per la sua complessità, dall’altro perché sembra riguardare qualcosa che avviene lontano da noi, soprattutto in aree geografiche dove i cambiamenti climatici sono sì evidenti, ma non hanno ancora avuto effetti catastrofici diretti. “Eppure in questa battaglia – spiega Bruno – ci vedo un paradosso. Perché questi ragazzi ci propongono la questione come qualcosa di estremamente concreto, dicendoci che dobbiamo decidere ora e che sono autorizzati a occuparsene già a 12-13 anni perché le conseguenze di quanto facciamo (o non facciamo) ricadranno su di loro”. Una richiesta, poi, che non si limita a una parte politica, come è accaduto per anni e accade ancora oggi agli studenti che manifestano contro le varie riforme scolastiche. “Oggi questi ragazzi inchiodano più generazioni alle proprie responsabilità. Tutti, non solo i politici”. Le manifestazioni di piazza sono la strada giusta? “Generazione dopo generazione, si è manifestato in piazza per un ideale, anche un’illusione. Ma se non ce l’hai a quell’età, quando ce l’hai?” commenta il sociologo, secondo cui “è stando in piazza tra riti e vecchie canzoni che si sviluppano identità e un senso di partecipazione che può trasformarsi in impegno”. Magari non accade a tutti, “ma accade”.
ACCUSATI DI “NON SAPERE NULLA” SUL CLIMA – I giovani dei ‘Friday for Future’ vengono anche accusati di essere inconsapevoli rispetto ai problemi legati al clima. “Non ne sanno nulla”, dicono esperti, politici, intellettuali. C’è da chiedersi se tutti gli studenti che per decenni hanno protestato contro questa o quella riforma scolastica, sapessero esattamente cosa contro protestavano. O se tutti quelli che il 25 aprile non vanno a scuola, ne conoscano le ragioni storiche. “Francamente – commenta Pasini – trovo normale che ci siano alcuni ragazzini piuttosto informati sulle questioni ambientali e altri che lo sono molto meno. Mi dispiace vedere servizi alla tv, in cui si va in giro a fare domande sul buco dell’ozono, ci leggo un tentativo di delegittimazione. D’altro canto loro non vogliono ergersi a scienziati, stanno chiedendo solo agli adulti di ascoltare ciò che noi ricercatori diciamo da decenni e di fare finalmente qualcosa”.
LA STRUMENTALIZZAZIONE – Secondo il giornalista svedese Andreas Henriksson c’è Ingmar Rentzhog, fondatore della start-up We Do not Have Time, sia dietro lo sciopero scolastico, sia dietro il lancio del libro dei genitori di Greta, Scenes from the Heart, pubblicato il 24 agosto scorso, pochi giorni dopo l’inizio dello sciopero (ma non della mobilitazione della ragazzina, che era precedente). La sedicenne ha risposto: “I miei genitori non appoggiavano l’idea degli scioperi scolastici” e i profitti del libro “andranno a 8 diversi enti di beneficenza che lavorano con l’ambiente, i bambini e gli animali”. Per quanto riguarda la startup: “Non faccio parte di alcuna organizzazione. A volte sostengo e collaboro con diverse Ong. Sono indipendente e rappresento solo me stessa. Faccio quello che faccio in modo completamente gratuito”. Ruolo di Rentzhog e risposta di Greta a parte, esiste il rischio che questo movimento venga strumentalizzato, sia dai media sia dalla stessa politica, che può servirsene fin tanto che l’attenzione dell’opinione pubblica resta alta sul tema, per poi abbandonarlo a se stesso. “Sono dinamiche prevedibili – spiega Bruno, ma tutto ciò non credo tolga nulla alla battaglia e alla tenacia di Greta”. La macchina della comunicazione che c’è intorno? “Se non c’è nulla di losco, è un processo fisiologico di advocaty politica”.
QUELLI CHE “TANTO NON CAMBIERÀ NULLA” – Altra perplessità è legata agli effetti concreti che questa battaglia avrà sui cambiamenti climatici. Insieme, questi giovani possono fare qualcosa? “Adesso è importante – ci risponde Antonello Pasini – che loro stiano maturando una coscienza del problema scientifico”. Anche perché ne va del loro futuro. “Fa un certo effetto sentirglielo dire” commenta il climatologo. Fa effetto “a chi certe cose le studia e le riporta da decenni – ricorda l’esperto del Cnr – senza che dall’altra parte vi sia ancora stata una presa di coscienza effettiva dell’urgenza, fa effetto a chi ha imparato a preparare su questi temi ‘solo dieci pagine’ per i politici, altrimenti loro – che già hanno un orizzonte di cinque anni – non le avrebbero neppure lette”. Per questo Antonello Pasini è stato in piazza Venezia, a parlare a quei ragazzi: “Noi li ringraziamo, abbiamo bisogno del loro aiuto e mi fa piacere che tutto ciò arrivi dalle giovani generazioni, anche contro l’inerzia di chi le ha precedute e di chi ancora è lì, ma solo per puntargli il dito contro”. Potranno cambiare le sorti del pianeta e le loro? “Il problema è davvero complesso, ma ognuno di noi può fare qualcosa, anche innescando dei circoli virtuosi. Tutti questi ragazzi che manifestano, tornando a casa, possono convincere le famiglie a cambiare piccole abitudini. Mai come su questo tema è possibile farlo. E possono imprimere una spinta dal basso ai politici, perché questa è una battaglia che non può prescindere dalle decisioni politiche”.