I dirigenti del Partito democratico, dopo che affossarono il provvedimento nella scorsa legislatura, adesso chiedono che la sinistra riparta dalla proposta di riforma della cittadinanza. Delrio, Orfini, Veltroni e il sindaco di Milano contro il Viminale. Che replica: “Siamo già primi per cittadinanze. E’ una cosa seria che arriva con percorso d’integrazione”
Prima Graziano Delrio. Poi Walter Veltroni, Beppe Sala e Matteo Orfini. Quindi il neoeletto segretario Nicola Zingaretti. Il Pd ora rivuole la legge per riformare la possibilità di ottenere la cittadinanza (il cosiddetto ius soli). Se nella scorsa legislatura il provvedimento era stato accantonato dagli stessi democratici perché ritenuto troppo divisivo e il Senato (ridotto ad analizzare il ddl il 23 dicembre) neppure era riuscito ad avere il numero legale per discuterlo, ora i dirigenti Pd fanno mea culpa e chiedono che la sinistra riparta anche da lì. La questione è stata sollevata dopo che Ramy, il ragazzino di origine egiziana coinvolto nel caso del bus dirottato a Milano nei giorni scorsi, ha chiesto la cittadinanza italiana per sé e per i suoi compagni. La questione però, al di là dei dibattiti sui giornali, non è tra le priorità del governo e nemmeno compare nel contratto sottoscritto dai due soci. “Ius soli? Non se ne parla”, ha detto il ministro dell’Interno Matteo Salvini. “L’Italia è già oggi il Paese che concede più cittadinanze ogni anno, non serve una nuova legge. La cittadinanza è una cosa seria e arriva alla fine di un percorso di integrazione, non è un biglietto per il Luna Park“. E ha chiuso: “In singoli casi eccezionali si può concedere anche prima del tempo, ma la legge non cambierà”. Quanto a Ramy, “stiamo proseguendo con tutte le verifiche del caso, spero di incontrarlo presto e ringraziarlo per il suo coraggio”. Il primo a proporre di dare la cittadinanza “per merito” allo studente era stato Luigi Di Maio, ma solo ieri il ministro dell’Interno aveva detto: “Si faccia eleggere e cambi la legge”. Parole che sono state contestate oggi dal sindaco di Milano Beppe Sala: “Una risposta che non ha senso”. Mentre il neosegretario Zingaretti ha rilanciato: “I ragazzi come Ramy non devono rimanere nell’oblio”.
Il dibattito per il momento è limitato al fronte del Pd. Il primo a intervenire nel merito era stato sabato 23 marzo Graziano Delrio, capogruppo Pd alla Camera. Oggi a parlare è stato invece l’ex segretario Walter Veltroni, intervistato da Repubblica: “Il Pd deve saper declinare i suoi valori in questo tempo della storia”, ha detto. “Vengono oggi messi in discussione valori fondamentali, sociali, civili e umani. E questo vale anche per lo ius soli“. E ha aggiunto: “Su temi come questo non bisogna avere paura di mettersi controcorrente. La sinistra non deve mai avere paura di essere se stessa”. Veltroni ha anche detto di aver “votato per Zingaretti, con convinzione”: “È stato sconcertante impiegare un anno per avere di nuovo un segretario. Ma ora c’è. E l’unica voce deve essere quella del leader. Quando dice che dobbiamo cambiare tutto, radicalmente, io lo prendo in parola. Il risultato delle primarie è importante: ha puntellato l’edificio pericolante. Ma non va sopravvalutato. Il grosso del lavoro deve ancora essere fatto”. Per Veltroni, non solo si tornerà presto alle urne, ma “tra poco saranno i 5 stelle, e non il Pd, a dover decidere da che parte stare, nel senso che è ora di ricostruire in questo Paese un sano bipolarismo tra centrosinistra e destra”. “Già alle Europee si vedrà che ci sono solo due posizioni chiare. La Lega che è contro l’Europa, e noi che siamo a favore”, ha detto. Per quelli che stanno in mezzo, che vanno un giorno con i Gilet gialli che assaltano Parigi e l’altro si ricordano di essere al governo, non c’è spazio”.
Nel pomeriggio è poi intervenuto il neosegretario Pd Nicola Zingaretti: “La vicenda di Ramy”, ha scritto in una lettera a Repubblica, “dimostra quanto questi ragazzi e ragazze si sentono pienamente e naturalmente parte della nostra comunità. Vivono, studiano e lavorano in Italia, non possono e non devono rimanere nell’oblio. Perché oggi più che mai appare chiaro che non abbiamo bisogno di odio generato a volte dal rancore e dalla discriminazione, ma di un’Italia che dia opportunità a tutti e tutte. Solo così aiuteremo il nostro Paese a essere più forte, più coeso, e anche più sicuro. Il tempo degli slogan dell’odio e del cattivismo sta finendo. È sempre più evidente che l’odio non solo non risolve i problemi, ma li aumenta”. Zingaretti, dunque ha proposto una nuova strada in cui, ha sottolineato, “dovremo affrontare e risolvere anche il tema della cittadinanza. Una questione di civiltà e diritti che si è riaffacciata prepotentemente nelle cronache politiche proprio dopo la vicenda del bus e di ragazzi straordinari come Ramy, che con il loro coraggio, assieme ai carabinieri, hanno evitato una strage. Anche in questo caso, la risposta di Salvini e del governo è stata scomposta e riduttiva: la cittadinanza è giusta ma non può essere un premio che un sovrano elargisce arbitrariamente, a suo piacimento. La legge sulla cittadinanza fu approvata nel 2015. È chiaro che questo capitolo va riaperto in una strategia nuova di rilancio di un progetto di rinascita italiana”.
Contro le parole di Salvini aveva parlato poco prima il sindaco di Milano Beppe Sala: “Io non voglio mettere il cappello su questi fatti, come fanno tanti perché il tema è complesso. Certo la risposta di Salvini ‘fatti eleggere’ mi sembra una risposta che non ha senso. E’ un modo per sfuggire al dibattito”, ha detto. “Adesso – ha aggiunto Sala – si riattiverà il dibattito sullo Ius Soli che è una questione significativa. Giusto che ne parli il Parlamento, quindi io voglio evitare di cavarmela con delle battute. Ma certamente c’è un tema di tanti ragazzi che sono nati in Italia e che vivono nella nostra cultura”.
Dietro agli altri dirigenti Pd anche Matteo Orfini, deputato ed ex presidente del partito: “A luglio, appena cominciata la legislatura, depositai subito un disegno di legge su questo”, ha scritto su Facebook. “È lì, in attesa di essere discusso. Se il gruppo del Pd vorrà si potrà cercare di accelerare la calendarizzazione. Ma sappiamo benissimo che con i numeri di questa legislatura sarà quasi impossibile portarlo a casa. L’occasione vera l’abbiamo persa in quella precedente. Quando se ne discusse ero reggente e chiesi privatamente e pubblicamente al governo Gentiloni di mettere la fiducia. Paolo scelse altrimenti e garantì che lo avremmo approvato. È finita come tutti sapete. Devo confessare che non trovai grandi sponde in quella battaglia, anzi molti mi accusarono di voler far cadere il governo. Il rischio c’era, ma mancavano pochi mesi alla fine della legislatura. Sarebbe cambiato qualcosa andare a casa qualche mese prima? E non valeva la pena fare fino in fondo una battaglia come questa?”. E ha concluso: “Il reggente del Pd ero io. Ed evidentemente non ebbi la forza politica di imporre al governo la scelta giusta. Provai, ma non fu abbastanza. E di questo non finirò mai di chiedere scusa a tutti quegli italiani che oggi vedono il loro diritto alla piena cittadinanza negato”.