La Fondazione Santa Lucia, istituto romano accreditato dal Sistema sanitario nazionale e specializzato nella neuro-riabilitazione, ha colpito il suo bersaglio: il ministero della Salute. Ma gli effetti di questa riuscita sono ancora tutti da vedere. Con una sentenza del 3 marzo il Consiglio di Stato ha infatti annullato il decreto ministeriale 70 del 2015 nella parte in cui fissa il numero di posti letto per la neuro-riabilitazione post traumatica entro un limite di 0,02 posti letto per mille abitanti (poco più di 1200 in totale). Una stima contestata dal centro romano perché insufficiente a coprire il fabbisogno. Secondo la valutazione di alcune società scientifiche (come la Sin, Società italiana di neurologia), che l’istituto Santa Lucia ha citato come prova, in Italia servirebbero oltre 6mila posti letto per la riabilitazione di pazienti con gravi disabilità provocate da ictus cerebrale. Significa che oggi ci sarebbe un deficit dell’80 per cento. Carenze da Terzo mondo.
Ma la realtà non è proprio così. “I posti letto sono 2383 e la media nazionale è di 0,04 per mille abitanti – dichiara a ilfattoquotidiano.it Andrea Urbani, direttore generale della programmazione sanitaria del ministero della Salute – Quello ministeriale è solo un criterio di riferimento che può essere rivisto in base alle esigenze della singola regione. Il tavolo tecnico del Dm 70 fa un’istruttoria e formula un parere sull’eventuale richiesta della regione che viene valutato dal ministero dell’Economia. Per esempio Sardegna, Calabria, Friuli e Piemonte sono ferme allo 0,02. La Provincia di Bolzano arriva allo 0,06. Il Lazio allo 0,07 ma essendo in piano di rientro dovrà scendere allo 0,03”.
Con un decreto del commissario ad acta del 2016, la Regione di Zingaretti ha stimato un eccesso di 263 posti letto e ha ridotto quelli assegnati alla Fondazione Santa Lucia da 325 a 116. “Una scelta che abbiamo ritenuto coerente” commenta Urbani. Ma l’istituto non l’ha mai digerita. Questi posti letto infatti hanno un codice di rimborso (il cosiddetto “codice 75”) molto alto, da 470 euro al giorno. Quasi il doppio della cifra prevista per la riabilitazione intensiva (codice 56, da 272 euro) – a cui sono stati riconvertiti i letti in più – destinata ai pazienti con fratture di femore o di anca, patologie respiratorie, o colpiti da infarto. Ma anche da ictus, senza però aver attraversato un periodo di coma di almeno 24 ore. In caso contrario si applica il codice 75, introdotto con un decreto del 2012 e contestato dal Santa Lucia. Pur “senza attraversare un periodo di coma”, si legge in un suo comunicato, si possono avere “danni neurologici severi, che determinano deficit cognitivi e di movimento fortemente invalidanti”. E quindi per il Santa Lucia sarebbe comunque necessario un trattamento di alta specialità (codice 75).
Non tutti sono d’accordo. “Chi lavora in un ospedale pubblico come me non si è mai posto il problema. Chissà perché a parlare di emergenza è proprio il privato” commenta Valter Santilli, responsabile del reparto di riabilitazione del policlinico Umberto I di Roma. “Ictus e trombosi cerebrali non vanno etichettati come gravi cerebrolesioni – spiega Nino Basaglia, direttore del reparto di Medicina riabilitativa dell’Azienda ospedaliera universitaria di Ferrara -. È sufficiente quindi un trattamento codice 56. Oggi nel codice 75 ci finisce anche il paziente con il femore rotto o la protesi al ginocchio, perché? Se quei posti letto, in mano soprattutto al privato convenzionato, fossero usati in modo appropriato non ci sarebbero carenze da nessuna parte. E comunque noi in Emilia Romagna non ci lamentiamo”. “Se togliamo la condizione del coma c’è il rischio che la struttura ricoveri anche chi non ne ha necessità. Bisogna evitare derive opportunistiche – continua Santilli, che come Basaglia fa parte della Simfer, la principale società italiana di medicina riabilitativa -. Negli ospedali pubblici andrebbe semmai potenziato l’organico per i codici 56. Pensi che i pazienti colpiti da afasia dobbiamo inviarli nelle cliniche private accreditate perché non abbiamo il logopedista. Perché l’Umberto I non ne assume uno per il nostro reparto?”. Santilli non ci gira intorno: “E perché quando il malato è molto complesso, con gravi problemi respiratori per esempio, non viene preso in carico dal privato? Semplice: perché non ha la terapia intensiva e altri reparti di supporto e il paziente viene salvato dal servizio pubblico anche se la remunerazione per noi e per loro è la stessa”.
Non c’è nessun problema di offerta, secondo Paolo Boldrini, ex direttore del reparto di riabilitazione dell’Ulss 9 di Treviso. “La difficoltà è un’altra, cioè l’accesso non sempre tempestivo e ottimale al percorso di riabilitazione. Uno su tre inizia la terapia in ritardo, perché manca il personale specializzato o perché non viene coinvolto subito, e il paziente viene trattenuto nel reparto per acuti o in casa di riposo. Oggi manca una rete di servizi, una volta fuori dal reparto c’è il fai da te”. Altra inefficienza: “Le schede di dimissioni ospedaliera non riportano gli indicatori funzionali, non si può quindi sapere se il paziente ha recuperato l’autonomia motoria o il linguaggio, se è entrato senza camminare ed è uscito camminando per intenderci. Alcune regioni raccolgono questi dati a parte, ma non è ovunque così”.
In Puglia, pur lamentando la mancanza di posti letto per chi è affetto da disturbi cognitivi e motori post traumatici, il direttore della riabilitazione del Policlinico di Bari e presidente della Simfer, Pietro Fiore, non mette in discussione il criterio di accesso vincolato a una condizione di coma protratto per almeno 24 ore. In Lombardia da diversi anni al posto dei codici 75 e 56 viene usato il “drg”, cioè il sistema di retribuzione della prestazione sanitaria sulla base della diagnosi dell’evento acuto precedente.
Presto comunque potrebbe esserci una boccata di ossigeno per tutti. Per garantire una maggiore assistenza ai pazienti più complessi un tavolo di esperti del ministero, tra cui Santilli, ha steso un nuovo decreto che rivede i requisiti di accesso al codice 56. La bozza è arrivata due settimane fa al gabinetto della ministra Giulia Grillo. Gli interventi ospedalieri di ospedalizzazione sono stati distinti secondo tre livelli di intensità, che implicano un diverso utilizzo di attrezzature, farmaci, dispositivi e competenze, e a cui corrisponderanno tariffe diverse. Il livello più intensivo sarà quello più costoso. Il rimborso dovrà quindi superare i 272 euro al giorno di ora. Poi, non esistendo ancora une rete per la presa in carico totale del paziente – dall’ospedale all’ambulatorio sul territorio fino al domicilio -, la bozza insiste sulla necessità di istituire dei dipartimenti di riabilitazione per un adeguato percorso di cura. “Per farlo servono equipe multidisciplinari ma il personale è insufficiente – conclude Santilli – Bisogna dunque assumere più fisiatri, fisioterapisti, assistenti sociali, infermieri specializzati. Per tappare i buchi gli ospedali spesso si rivolgono alle cooperative, ma nessuno le controlla“.