Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, durante la sua visita di domeinca a Lecce, ha lanciato il suo “ballon d’essai” su Tap: “Un pacchetto da 30 milioni di euro per la comunità locale”, le compensazioni a fronte dell’approdo del gasdotto in arrivo in Puglia dall’Azerbaijan e della sua entrata in esercizio, dal 2020 fino ai prossimi cinquant’anni. Lo ha fatto puntando il dito contro Marco Potì, il sindaco di Melendugno, comune salentino sul cui territorio è in costruzione l’opera: “L’ho invitato a confrontarsi – ha detto il premier – perché lui ha una grande responsabilità, è il rappresentante di una comunità locale, ma ha declinato il mio invito. Lo ritengo uno schiaffo non al premier, ma alla comunità locale”.
Tirato per la giacchetta, Potì replica duramente: “Quando il presidente mi ha chiamato, qualche settimana fa, per prospettarmi queste ingenti somme, io gli ho risposto che sarei andato a parlare con lui se fossero state risorse statali – spiega a Ilfattoquotidiano.it – Mi ha confermato che provengono da Tap. Gli ho garbatamente detto che non ci pare giusto accettare soldi da chi sta distruggendo il nostro territorio. Lui si sta comportando come un avvocato d’affari, cosa che un sindaco non può fare”.
Conte era a Lecce per la firma di un accordo di ricerca tra Eni e Cnr e ha incontrato anche i gilet arancioni, gli olivicoltori che protestano per avere più attenzione nella lotta al disseccamento degli ulivi. Ha promesso un incremento della dotazione finanziaria fino a 300 milioni di euro entro il 2021, fondi da destinare a risarcimenti, ripristino della produttività, ma anche ad un piano specifico per la “rigenerazione” del territorio.
Inevitabile toccare il tasto Tap, anche perché, in autunno, lo stesso Conte aveva annunciato che si sarebbe recato nel Salento per spiegare il perché della scelta di andare avanti con l’opera, nonostante le promesse di stopparla fatte dal M5s in campagna elettorale. Un’attesa vana per la popolazione locale, non necessaria, a detta del premier: “Io – ha rimarcato – ho già spiegato le ragioni della scelta, addirittura l’ho fatto in una lettera aperta alla comunità di Melendugno e a quelle limitrofe. Ho iniziato a studiare il tema, ho invitato il sindaco e gli ho detto di portare i suoi esperti. Sono venuti tecnici, avvocati, ingegneri del Comune. Io personalmente avevo promesso una cosa: rivedremo tutte le procedure e, se c’è possibilità di annullare Tap, lo faremo. Siamo giunti alla conclusione che non è possibile tornare indietro. Con la comunità di Melendugno io ci ho messo la faccia e sono stato chiaro. Ora sto lavorando: credo che non è che si debba ‘compensare’, non è questa la logica perché chi pensa di aver subito una ferita la manterrà sempre, ma io ho l’obbligo di pensare a misure di rilancio di quella comunità. E stanno arrivando”.
Non ha specificato chi metterà i soldi e a che cosa sarebbero destinati, però ha detto cosa farà: “Senza l’interlocuzione del sindaco, diffonderò le misure di rilancio. Se lui ha deciso di abdicare al suo ruolo pubblico, lo faccia e se ne assuma la responsabilità. Intanto, noi presenteremo le misure per il territorio per un totale di 30 milioni di euro”. Tanti soldi, per un comune che conta meno di 10mila abitanti. E che, però, con la multinazionale del gas non vuole convivere. Un caso politico emblematico, Melendugno, almeno per il M5s: centro dalla lunga storia socialista, alle scorse politiche ha votato in massa per i pentastellati, consegnando il 65 per cento delle preferenze a Barbara Lezzi, oggi ministra per il Sud.
Le elezioni europee di maggio daranno la misura del consenso che nel frattempo il Movimento ha perduto, almeno lì, dopo un dietrofront su Tap che non si riesce a digerire. E che rischia di diventare ancora più indigesto ora, dopo l’annuncio di Conte: “Il suo invito – racconta il sindaco Potì, al rientro dalla capitale dove ha partecipato alla manifestazione di sabato contro le grandi opere – mi è arrivato agli inizi di marzo, con una telefonata da Palazzo Chigi. Ho personalmente parlato con lui e ho dato la mia disponibilità a recarmi a Roma solo se le somme prospettate fossero state pubbliche. Lui mi ha chiarito che lo Stato non può impegnare quelle cifre e che i soldi sono di Tap. Qualche giorno dopo, gli ho scritto una lettera (clicca sull’immagine per la risposta integrale, nda) per argomentare meglio il fatto che per me è una scelta di coerenza non accettare compensazioni”.
Poi la stoccata: “Lui mi ha pregato di tenere la notizia riservata. Oggi scopro che ne parla alla prima occasione in visita a Lecce, mettendola sul piano di uno sgarbo istituzionale. Io sono stato corretto con lui, non mi pare di poter dire lo stesso. Quando, la scorsa estate, sono andato a Roma, mi disse che se ci fossero state irregolarità sulle procedure avrebbero fermato il gasdotto. Ricordo a Conte che al momento sono ancora in corso più inchieste della magistratura. Noi ci aspettiamo che lui faccia l’avvocato degli italiani e non delle multinazionali”.
A contestare le parole del premier c’è anche il Movimento noTap, che si rivolge direttamente a lui: “Lei non ha mai avuto il coraggio di parlare ai cittadini salentini, non si è mai degnato di mettere piede in una terra condannata anche da lei. Sono mesi e mesi che chiediamo i documenti ufficiali su questa impossibilità a tornare indietro e nessuno ci ha mai mostrato nulla, perché non esistono. Il Salento non è terra di conquista. Lei, oggi, con quei 30 milioni ha dimostrato che per questo governo la vita delle persone è quantificabile con delle briciole economiche. Si vergogni di questa sua sfacciataggine”.
Palazzo Chigi non ha al momento chiarito se quelle somme siano altra cosa rispetto ai 55 milioni di euro di investimenti aggiuntivi prospettati da Tap e Snam, nel novembre 2017 (governo Gentiloni), per tutto il Salento. Quella cifra lievitò nel giro di pochissimo tempo: due settimane prima, non superavano i 15 milioni di euro. Erano quelli i giorni in cui si registrava una profonda spaccatura tra i sindaci leccesi, una parte dei quali (37 su 97) si disse favorevole a dismettere la linea intransigente e a trattare. Le due società alzarono la posta: progetti per tirocini formativi, venti nuovi distributori di metano, un centro di ricerca sulla decarbonizzazione, efficientamento energetico per alcune scuole, una pista ciclabile e così via. Poi, di soldi non si è più parlato, almeno fino ad oggi.