Guardo il profilo Instagram della Suprema Diana Ross e sogno sia lei in persona a indire, tramite domande sulla sua storia musicale, il concorso che assegna in premio i biglietti per il grandioso concerto che terrà, in occasione del suo 75esimo compleanno, il 26 marzo all’Hollywood Palladium di Los Angeles, con famiglia e amici, in una performance che ripercorrerà la sua intera carriera. Contemporaneamente, nelle sale cinematografiche americane sarà proiettato il docufilm Diana Ross: Her Life, Love and Legacy, nel quale è incluso il suo storico concerto a Central Park del 1983.

Diana Ross la divina, manager ricchissima, madre di numerosa artistica prole, in decenni di mode e cambiamenti non ha solo cantato. Nel Guinness dei primati dal 1993 come artista femminile di maggior successo di sempre, ben due stelle sulla Walk of Fame, ha pubblicato dischi di canzoni natalizie, ricevuto premi, scritto un libro per bambini, When You Dream, e due autobiografie: Secrets of a Sparrow (1993) e Going Back (2002); ha collaborato con i più grandi produttori (tra cui Barry Gibb) e ha recitato. Primo tra tutti il film Lady sing the blues (1972), sulla vita dell’indimenticata e sofferente Billie Holiday, per il quale ha ricevuto il Golden Globe ed è stata candidata all’Oscar. Poi Mahogany del 1975, che le valse la nomination all’Oscar per la canzone Do You Know Where You’re Going To; la versione nera del Mago di Oz di Sidney Lumet (1978) e successivamente (1994) il film-tv Fuori dall’oscurità, che le valse una nomination ai Golden Globe.

Lunga la lista dei duetti tra cui Marvin Gaye (nell’album Diana & Marvin del 1973), Lionel Richie, Smokey Robinson, Ray Charles, Stevie Wonder, Rod Stewart, Julio Iglesias e Michael Jackson (famosa la loro amicizia cominciata sin dagli esordi di un 11enne Michael insieme ai suoi fratelli, i Jackson five, e proseguita tra collaborazioni e citazioni reciproche fino alla morte di lui, che ha affidato a lei i figli in caso di morte della nonna).

Ha realizzato spettacolari cover cimentandosi in standard pop della musica americana e canzoni di artisti come i Beatles o Burt Bacharach, solo per citarne alcuni, passando trasversalmente da un genere all’altro, mescolando quell’inconfondibile marchio di fabbrica del sound Motown, nel ventennale del loro fortunato sodalizio (1961-1981), con il suo timbro di voce brillante, argentino e flautato, fluido e mellifluo, morbido e cristallino, via via divenuto sempre più incantatore e sensuale, black e pop al tempo stesso.

La storia musicale di Diana Ross comincia da ragazzina con l’incontro con Berry Gordy jr, creatore del colosso Motown Records (abbreviazione di “Motor Town” – il soprannome di Detroit  casa discografica spaziale che ci ha regalato solo perle, grazie a una scuderia di spettacolari artisti affidati ad ancor più spettacolari produttori). Diana entra nell’allora quartetto delle Supremes, messe a contratto da Gordy, successivamente divenute un terzetto (con la Ross come voce principale per volontà del solito Gordy di cui fu musa) pronto a scalare da quel momento le classifiche, primo gruppo femminile e nero (peraltro erano tempi in cui non tutto era consentito ai neri in America) a permanere in vetta a partire dal fortunatissimo e ultra famoso album Where Did Our Love Go (1964).

Con grande sfoggio di pettinature cotonate e costumi ideati dalla Ross grazie agli studi da stilista (prima aspirazione dell’adolescenza) e grazie a un mix di doo-wop, soul e pop arrangiato in modo originale (produttori gli infallibili Holland-Dozier-Holland jr.), le Supremes fanno concorrenza a chi in quegli anni detiene il primo posto di star assoluta, ossia i Fab four (intento nemmeno tanto sotteso dall’album A Bit Of Liverpool). Questo fino al 1970, quando Diana abbandona il gruppo e comincia la sua carriera solista, virando anche nel look verso una sensualità patinata grazie al suo sottile e attraente fisico. Love Hangover nel 1976 la consacra regina della disco music insieme a Donna Summer e Gloria Gaynor. Successo bissato con la “morodiana” Lovin’, Livin’ And Givin’ nel 1978 e dall’album The boss, che chiude nel 79 un decennio di straordinari successi dancefloor.

Ed è l’album funky-disco Diana del 1980, composto e prodotto da Bernard Edwards e Nile Rodgers (Chic) assoldati per l’occasione, che la consacra ancora una volta regina delle classifiche con un singolo scelto liberamente dalle radio, Upside Down, diventato il brano più venduto della sua carriera, a dispetto delle diatribe legali che si generarono tra produttori e casa discografica (parzialmente ricucite dalla ristampa dell’album nel 2003 con i mix originali), e ancora con I’m coming out, manifesto per una comunità gay di cui Diana Ross era diventata l’icona.

E se qualche cedimento c’è stato, si è verificato tra gli anni Ottanta e Novanta, quando, passata per sette anni alla Rca, ha voluto abbandonarsi alla tentazione di usare forse un po’ troppo il mestiere tentando un ammodernamento attraverso generi giovanilisti senza che fossero nelle sue corde, nonostante la sua incredibile versatilità. E’ tornata comunque successivamente a brillare, e le auguriamo di incantarci ancora. Buon compleanno Lady Diana.

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