Mancano pochi giorni all’apertura del Congresso Mondiale delle famiglie a Verona. Un congresso fortemente contestato dalle attiviste di Non una di meno, che stanno organizzando una mobilitazione in città proprio dei giorni dell’incontro. Non si tratta di una contestazione retorica, ma profondamente giusta, perché questo evento rappresenta un reale pericolo per le donne (e non solo), oggi in Italia. Lo è per tre motivi. Primo, perché arriva in Italia in un momento politico favorevole all’ondata di destra, come la recente vittoria in Basilicata dimostra. Se il Congresso si fosse svolto in un momento storico diverso, probabilmente avrebbe avuto scarsa importanza, ma oggi le sue posizioni sulla famiglia e i diritti vengono di fatto presentate all’Italia come quelle della destra al potere, quindi come posizioni che potrebbero presto avere la maggioranza.

Il secondo motivo per il quale il Congresso è pericoloso, oltre al fatto di presentarsi con un’impronta e una legittimazione internazionale, è per il tipo di linguaggio che usa. E cioè, come ha notato Il Post in un lungo articolo dedicato all’evento, senza utilizzare immagini di bambini abortiti o slogan beceri della destra pro-life, ma suadenti immagini di famiglie felici, a metà tra Mulino bianco e ricordi di regime. Non si attacca direttamente l’aborto, ma si parla di diritti, salute e dignità di tutte le donne, oltre che dei bambini. In particolare, alle donne viene presentata la possibilità di restare a casa in maniera accattivante: magari con una retribuzione per poter stare con i bambini, senza la schiavitù del lavoro ma accogliendo il loro desiderio di maternità. Insomma, un ritorno alla natura nel suo aspetto più romantico, privo di conflitti, privo delle incertezze portato dalle teorie gender e forte invece di certezze come quella della complementarietà uomo-donna e della famiglia fondata su matrimonio e figli, dove il padre rappresenta il principio di autorità e la donna l’accoglienza alla vita.

Il terzo motivo sta nella storia che viene utilizzata per spiegare i motivi per i quali siamo arrivati ad avere un’esplosione di famiglie in crisi e separate e un’implosione demografica. La ragione starebbe cioè in un eccesso di diritti soggettivi, tra cui quelli riconosciuti alla comunità Lgbt, ma anche nella diffusione di un individualismo che di fatto ha portato uomini e donne a chiudersi e non mettere al mondo bambini.In questo modo, però, si confondono scelte soggettive, ad esempio individualiste, con i diritti, che hanno invece naturale universale e che nulla c’entrano con un linguaggio morale che parla di egoismo e peccato.

E proprio qui sta il punto. In paesi come quelli scandinavi, dove il tasso di felicità generale è molto alto, come dicono vari e recenti report, molte sono le donne che scelgono di stare a casa con il proprio bambino. Per molti mesi, pagate dallo Stato. Ma quella scelta, che porta queste donne ad avere, tra l’altro, molti figli, secondo il loro desiderio di maternità che probabilmente è anche il nostro, arriva dopo una stagione esemplare di diritti soggettivi e di welfare statale. Qui invece, mentre di welfare non si parla quasi per nulla (c’è una sessione del convegno che parla di welfare ma, incredibilmente, “aziendale” e non statale), si vuole arrivare alla famiglia numerosa aggirando i diritti, anzi riducendoli o azzerandoli. In altre parole, riducendo o azzerando la libertà delle donne e il faticoso e purtroppo semi-interrotto percorso di emancipazione. E proprio per questo le donne potrebbero essere attratte dalla possibilità di potersi sottrarre a un mercato del lavoro che le sfrutta e sottopaga, privandole della possibilità di avere figli. In fondo, meglio stare a casa con dei bambini che lavorare anche le domeniche come commessa per una paga miserevole. Il problema è che poi ben difficilmente queste donne potranno essere felici se stare a casa sarà un’imposizione o se dovranno forzatamente convivere con uomini magari autoritari e che detengono le leve del potere economico-familiare. Né, di per certo, saranno felici i loro figli e soprattutto le loro figlie.

In breve, qui non si va avanti, verso una conciliazione tra un lavoro accettabile, tutelato e magari anche appassionante, e la maternità, insomma verso una famiglie dove entrambi i coniugi decidono liberamente e felicemente di avere figli, ma si torna indietro anni luce, dritti, veramente, alle famiglie della propaganda anni Venti. Le poche fragili conquiste, non solo rispetto al diritto all’aborto di cui molto si parla, ma anche a quello ad avere figli, ad esempio, attraverso la scienza, potrebbero essere spazzate via più rapidamente di quanto pensiamo, così come proposte di legge che ci paiono aberranti come quelle di Pillon sulla separazione potrebbero diventare largamente condivise.

Alcune parole vanno spese, infine, sulla partecipazione di esponenti del governo al Congresso. Per fortuna, il patrocinio del Ministero della Famiglia al XIII Congresso Mondiale delle Famiglie (World Congress of Family, WCF) è stato tolto, dopo l’intervento del presidente del Consiglio Giuseppe Conte. E meno male, perché che il governo figurasse tra gli sponsor di un simile evento era cosa veramente incomprensibile. Numerosi sono tuttavia i ministri che prenderanno parte all’incontro pro-family di fine mese: lo stesso ministro Salvini, quello della Famiglia e della Disabilità Lorenzo Fontana, infine quello dell’Istruzione e la ricerca Marco Bussetti. Particolarmente pesante, a mio avviso, è la partecipazione di quest’ultimo. Perché rappresenta la scuola e l’Università, e cioè la voce della conoscenza e della ricerca, che in quanto tali dovrebbe essere laiche e agnostiche, cioè scevre da qualsiasi ideologia, cattolica, anticattolica, di destra o di sinistra. È veramente arduo arrivare a comprendere come un ministro dell’Istruzione e della Ricerca si pieghi di fatto ad avallare una visione del mondo totalmente parziale e soprattutto priva di qualsiasi base di ricerca scientifica seria e fondata. Svilendo così la scuola e l’università italiane, asservendole a quella che dovrebbe essere la prima nemica del sapere, e cioè appunto l’ideologia, infine offendendo i milioni di studenti e bambini che ne fanno parte: ai qualidovrebbe essere garantita una rappresentanza istituzionale degna  e non un ministro che arriva a prendere parte a un convegno dove vengono messi in discussione diritti umani fondamentali.

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