Imane Fadil era stata minacciata da alcune ex Olgettine, cioè le ragazze che partecipavano alle cosiddette “cene eleganti” di Silvio Berlusconi. Lo sostiene Paolo Sevesi, l’avvocato della ragazza morto l’1 marzo scorso in circostanze misteriose. La modella di origine marocchina era tra le teste principali dei processi sul caso Ruby. Nel corso dei procedimenti sulle serate ad Arcore Imane sarebbe stata “interessata da minacce, tentativi corruttivi e pressioni per la revoca della costituzione di parte civile”, in particolare nel processo Ruby bis, da parte di Iris Berardi e Barbara Guerra, scrive l’avvocato Sevesi nell’atto di costituzione di parte civile in uno dei filoni del ‘Ruby ter‘. Sia Guerra che Berardi sono imputate nel processo principale che si celebra a Milano per corruzione in atti giudiziari.
L’atto di costituzione è stato depositato dall’allora legale di Fadil il 25 febbraio, quando la modella era ricoverata già quasi da un mese all’Humanitas, al collegio della quarta sezione penale, presieduto da Giuseppe Fazio, nel troncone del caso ‘Ruby ter’ che vede imputato Berlusconi e Roberta Bonasia. Il prossimo 15 aprile dovrà essere riunito al processo principale con al centro le accuse di corruzione in atti giudiziari e falsa testimonianza.
Nell’atto l’avvocato scrive che la modella marocchina ha subìto anche un “danno morale” e proprio perché nel corso del procedimento ‘Ruby bis’, a carico di Emilio Fede, Lele Mora e Nicole Minetti, è stata oggetto di “minacce, tentativi corruttivi e pressioni per la revoca della costituzione di parte civile da parte di soggetti imputati nel presente procedimento, Berardi Iris e Guerra Barbara”, come documentato dalla stessa Fadil.
Avrebbe subito una serie di “azioni strumentali e consequenziali a quelle oggetto delle odierne imputazioni”, tra cui la presunta corruzione in atti giudiziari per i versamenti che l’ex premier avrebbe fatto pervenire, stando alle indagini dell’aggiunto Tiziana Siciliano e del pm Luca Gaglio, alle olgettine in cambio del silenzio sulle serate a luci rosse a Villa San Martino. Il legale parla di “patimento” per Fadil “amplificato dal persistente clamore mediatico derivato dall’assunzione di posizione avversa al ‘sistemà” da parte della modella, che le è costata “emarginazione relazionale e isolamento lavorativo, nonché adeguamento e mutamento delle proprie abitudini di vita”. Nell’atto, inoltre, si parla anche del “disagio psicologico” per Fadil e di sue “patologie (di natura psicosomatica principalmente)” come conseguenza “del clamore mediatico sviluppatosi intorno alla vicenda, durata nove anni”. Il legale sottolinea anche come la 34enne non abbia mai ottenuto alcun risarcimento “dagli imputati”, anche perché sul caso ‘Ruby bis’ ha influito quella “attività di inquinamento probatorio” dovuta alla “falsità delle deposizioni” delle ‘olgettine”.
Sei giorni dopo il deposito di quell’atto Fadil è morta in ospedale. Ai familiari e all’avvocato aveva denunciato il sospetto di essere stata avvelenata. La notizia è trapelata solo due settimane dopo quando la procura di Milano ha annunciato di aver aperto un’indagine a carico d’ignoti per omicidio. Proprio oggi i familiari della ragazza vedranno per la prima volta, a distanza di quasi un mese dal decesso, il corpo della modella per la procedura del “riconoscimento salma” e poi successivamente, forse già oggi, dovrebbe iniziare l’autopsia. Da quanto si è saputo, in particolare, verso le 14.30 il fratello della 34enne, Tarek, e uno dei legali dei familiari, l’avvocato Mirko Mazzali, saranno all’Istituto di medicina legale di Milano per il riconoscimento della salma. Ieri, il procuratore aggiunto di Milano Siciliano e i pm Gaglio e Antonia Pavan hanno conferito l’incarico per l’esame autoptico al pool di consulenti guidato dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo.
Il quesito a cui la schiera di esperti n dovrà rispondere per cercare di individuare le cause della morte della giovane prenderà in considerazione ogni aspetto: si va dall’avvelenamento per intossicazione da metalli (è stata trovata una massiccia concentrazione di cadmio, antimonio e cromo) o altro, alla morte naturale per malattia fulminante, si ipotizza anche una forma rarissima di aplasia midollare, fino ad aspetti genetici. Poi, si dovrà accertare anche il motivo per cui dal risultato di un test comunicato agli inquirenti lo scorso 12 marzo, effettuato sul sangue e sulle urine della 34enne, siano state trovate “tracce di raggi alfa“, ossia di radiazioni. Cosa che ha destato allarme e ha fatto pensare a una morte dovuta a un mix di sostanze radioattive. Radioattività, poi, esclusa dagli accertamenti dei giorni scorsi degli esperti dell’Arpa e dell’Istituto di Fisica della Statale di Milano. La famiglia “non ha tesi precostituite, vuole sapere la verità e si affida al lavoro della magistratura, ai pm che stanno facendo un lavoro ottimo”, ha spiegato l’avvocato Mazzali uscendo ieri dalla stanza dell’aggiunto Siciliano. “Non propende per alcuna ipotesi – ha aggiunto, precisando di aver nominato un consulente medico – noi siamo soddisfatti per il lavoro dei pubblici ministeri che stanno conducendo e cioè un’indagine a 360 gradi”.