Mafie

Mafia, 21 arresti a Enna: filmato un summit con boss del clan Santapaola

L'incontro avvenne per la 'messa a posto' di un imprenditore ennese la cui impresa era impegnata nella posa di cavi di fibra ottica. Il procuratore Bertone: "Marchì, ucciso nel 2017, faceva parte del 'contropartito' che non si allineava alla 'famiglia' di Pietraperzia"

Il boss del clan mafioso dei Santapaola-Ercolano si è riunito a Pietraperzia, in provincia di Enna. E i carabinieri  del Ros di Caltanissetta hanno filmato tutta la scena. C’è anche la storia del vertice tra padrini in una masseria nelle campagne dell’entroterra della Sicilia, nell’inchiesta ‘Kaulonia’ della Dda della Procura di Caltanissetta che ha portato all’emissione di un’ordinanza cautelare nei confronti di 21 indagati:  sei erano già detenuti, uno è finito ai domiciliari, mentre l’avvocato Lucia Fascetto Sivillo è stato sospeso dall’attività forense.

Sono accusati di associazione di stampo mafioso, omicidio, estorsione ed altro. Le indagini sono state coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta e hanno consentito di ricostruire le dinamiche criminali relative alla famiglia mafiosa di Pietraperzia posta ai vertici di Cosa Nostra ennese. Si è fatta luce anche sull’omicidio di Filippo Marchì, avvenuto il 16 luglio 2017, a Barrafranca (Enna). L’uomo era stato ucciso all’alba mentre lavava la propria auto. Aveva 48 anni, era sposato e padre di due figlie e gestiva una rivendita di auto usate in contrada Sitica a Barrafranca. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha commentato la notizia: “Ogni giorno decine di criminali vengono sbattuti in galera: c’è chi combatte la malavita a parole e c’è chi fa i fatti”.

Il procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone in conferenza stampa ha spiegato i dettagli dell’operazione. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, la cosca era guidata dai fratelli Giovanni e Vincenzo Monachino; il legame con la famiglia Santapaola-Ercolano è confermato da un incontro, avvenuto nel febbraio del 2016, a Catania per la ‘messa a postò di un imprenditore ennese la cui impresa era impegnata nella posa di cavi di fibra ottica nel capoluogo etneo.

Il gruppo avrebbe organizzato e messo in atto l’uccisione di Marchì, che era l’autista e uomo di fiducia dello storico boss Salvatore Saitta. L’obiettivo sarebbe stato quello di punire il figlio di quest’ultimo, Giuseppe Saitta, a capo del clan di Barrafranca che non sopportava l’ascesa dei fratelli Monachino. Spiega Bertone: “Il movente specifico sulla base dell’attività non si coglie. Certamente Marchì faceva parte di quello che nelle intercettazioni viene definito il ‘contropartito‘. Cioè in sostanza una fazione che non si allineava a quelle che erano le indicazioni della famiglia di Pietraperzia. In passato questa aggregazione era riconducibile a Salvo Saitta che era stato ucciso nel 1992“.

Durante la conferenza stampa è emerso anche il ruolo di vertice della famiglia di Pietraperzia che riusciva a mantenere rapporti con la ‘ndrangheta e con le famiglie di altri mandamenti nella regione. Il comandante del Ros, Pasquale Angelosanto, ha inoltre evidenziato che la “famiglia” di Petraperzia avrebbe ospitato le riunioni dei vertici di Cosa Nostra in preparazione delle stragi del ’92.