“La struttura della storia noir deve essere abbastanza semplice nella sua essenza da poter essere spiegata facilmente quando viene il momento. Il finale ideale è quello in cui tutto si fa chiaro in una breve sequenza di azioni. Idee così felici sono rare e uno scrittore che riesce a concretizzarle anche solo una volta è degno di lode.”
Così scriveva Raymond Chandler nel 1949, nel suo Appunti sul noir, un prontuario di dieci regole che l’autore statunitense considerava fondamentali per scrivere il romanzo perfetto.
I suoi testi, che hanno ridefinito il noir, o meglio, l’hard boiled (genere caratterizzato dalla presenza di investigatori privati dalla vita dissipata, solitari, amanti dell’alcol e del fumo, misogini e senza relazioni stabili, e per l’enfasi che viene data a seduzione, violenza e ubriachezza più o meno molesta) presentano tutti quelle “idee felici che sono rare in uno scrittore”, e che hanno trasformato Philip Marlowe (il suo personaggio alter-ego) in una delle figure più verosimili e affascinanti della letteratura del Novecento, e non solo di genere.
Nato a Chicago nel 1888, un’infanzia passata in Gran Bretagna con la madre, l’arruolamento volontario nell’esercito canadese che lo porta a combattere in Francia durante la Grande Guerra, Raymond Chandler ritorna negli Stati Uniti negli anni Venti, dove lavora nel settore petolifero, fa e (quasi) disfa un matrimonio, si dedica all’alcol con determinato e caparbio lesionismo e inizia a scrivere pulp fiction sulla rivista Black Mask. La sua narrativa è farcita di gente vera in un mondo vero. I suoi personaggi sono tratteggiati in modo quasi documentaristico, i loro comportamenti sono aderente ai fatti, non c’è spazio per la sfera emotiva, che comunque risalta ugualmente attraverso un perfetto punto di vista ottico, quasi cinematografico.
Nel 1939 pubblica il suo primo romanzo, Il grande sonno, dove compare per la prima volta il detective Philip Marlowe. Insieme a lui l’altra grande protagonista dei testi di Chandler diventa Los Angeles, evocata attraverso una prosa secca, rumorosa e cruda. Poco importa che l’autore utilizzi degli pseudonimi per definire e tratteggiare l’area della metropoli californiana: i luoghi descritti sono vividi e reali. Entrano di diritto tra i “luoghi comuni” e i “luoghi della mente” di qualsiasi lettore si cimenti con i suoi romanzi o i suoi racconti.
Nel 1942 Hollywood lo scopre. Robert Mitchum e Humphrey Bogart diventano le facce più note di Philip Marlowe. Chandler continua a scrivere, oltre trenta racconti e otto romanzi. L’alcol non gli dà tregua, e probabilmente lui non la cerca nemmeno, tenta il suicidio nel 1955, infine muore di polmonite nel 1959.
Grande e inarrivabile artigiano della parola, critico verso le elaborate mise-en-scene di Agatha Christie, Doroty Sayers, S. S. Van Dine dove, secondo Chandler, l’intera ambientazione del delitto produce una serie di eventi così incongrui che nessuno ci crede davvero, lo scrittore statunitense rimane ancora oggi un punto fermo per chiunque voglia cimentarsi nell’hard boiled. Seppur stravolti, echi delle sue geniali intuizioni sul colore, i dialoghi, lo slancio e l’attesa che caratterizzano il noir, si possono trovare, tra gli altri, nelle pagine di Paco Ignacio Taibo II, James Ellroy, Charles Willeford, Elmore Leonard.
“Cosa importa dove si giace quando si è morti? In fondo a uno stagno melmoso o in un mausoleo di marmo alla sommità di una collina? Si è morti, si dorme il grande sonno e ci se ne fotte di certe miserie. L’acqua putrida e il petrolio sono come l’aria per noi. Si dorme il grande sonno senza preoccuparsi di esseremorti male, di essere caduti nel letame“.