A Palazzo Chigi stanno fischiando le orecchie a più di qualcuno in queste ore. Con il presidente cinese Xi Jinping in visita, a Parigi il convitato di pietra evocato e mai citato espressamente è proprio l’Italia. “Dai nostri grandi partner, ci aspettiamo che rispettino l’unità dell’Unione europea”, lo ha detto il padrone di casa Emmanuel Macron al suo omologo cinese nel vertice a quattro di questa mattina all’Eliseo con Angela Merkel e Jean-Claude Juncker. Nell’ottica dell’Eliseo e di Berlino la firma posta da Roma sul memorandum con Pechino sulla Nuova Via della Seta compromette la ricerca di una posizione unitaria da parte dell’Unione europea nelle relazioni economiche con il gigante asiatico.
La cancelliera tedesca lo aveva detto venerdì e lo ha ribadito oggi: la Belt and Road Initiative è “un progetto molto importante – ha detto Merkel al termine del vertice – noi, gli europei, vogliamo svolgere un ruolo”, ma “questo deve portare a una reciprocità e abbiamo qualche difficoltà a trovarla”. Ancora più chiaro in questo senso il capo dell’Eliseo: nel dirsi convinto che la Via della Seta “può contribuire alla stabilità, allo sviluppo ed alla coesistenza tra i popoli”, Macron ha chiarito che il coinvolgimento nel progetto richiede “un’agenda comune” sugli impegni sul clima, la sanità, l’educazione, ed “un’agenda per la sostenibilità finanziaria per tutti i Paesi terzi coinvolti”.
L’orizzonte è quello del 9 aprile. Quel giorno, al vertice bilaterale Unione europea-Cina, le istituzioni comunitarie puntano alla firma di una dichiarazione congiunta in cui Bruxelles e Pechino prevedono di accelerare sull’Accordo per gli Investimenti e “chiuderlo nel 2020” grazie alla creazione di un nuovo “meccanismo di monitoraggio politico per un continuo esame dei progressi nei negoziati”, in modo che i leader possano fare il punto “entro fine anno”. In gioco c’è l’evoluzione del nuovo ordine mondiale, dove dominano gli Usa e la Cina ma in cui l’Ue potrebbe porsi come terzo polo se riuscisse a giocare la sua partita in modo compatto. Un obiettivo, quest’ultimo, che Bruxelles vuole raggiungere nella negoziazione sugli investimenti con Pechino: alcuni Paesi lamentano che le loro aziende non sono ammesse alle gare al di là della Muraglia e per riequilibrare l’asimmetria da anni la Commissione spinge perché l’Unione si doti dello “Strumento per gli appalti internazionali” (Ipi), che consentirebbe di affrontare il Dragone con una posizione unitaria. Una posizione unitaria che la corrispondenza di amorosi sensi tra l’Italia e la Cina impedirebbe di portare a termine.
E’ questo il senso del vertice parigino tra Francia, Germania – asse portante dell’Unione – e Cina, svolto sotto l’egida delle istituzioni di Bruxelles impersonate da Juncker: “Vorrei che le imprese europee trovassero lo stesso grado di apertura delle imprese cinesi in Europa. Totale“, ha detto nella dichiarazione congiunta di fine vertice il presidente della Commissione, la cui presenza al summit è perfettamente leggibile come il suggello comunitario sulle mosse di Berlino e Parigi.
Che, intanto, lunedì ha firmato con Pechino 14 nuovi contratti. Il principale è un General Terms Agreement (GTA) fra Airbus (…) e China Aviation Supplies Holding Company (CASC) per 300 apparecchi (290 A32a e 10 A350), per un valore di circa 30 miliardi di euro. La Cina è diventata il mercato aeronautico più importante del mondo, grazie alla forte domanda di viaggi aerei, stimolata dalla sua classe media in rapida crescita. Secondo le ultime previsioni di mercato cinese di Airbus dal 2018 al 2037, la Cina avrà bisogno di circa 7.400 nuovi aeromobili passeggeri e merci nei prossimi 20 anni. Ciò rappresenta oltre il 19% della domanda totale mondiale di oltre 37.400 nuovi aeromobili.