La frase del pubblico ministero serviva a motivare la richiesta di depositare nel fascicolo del dibattimento una produzione documentale aggiuntiva. Il militare Cavallo, invece, si è potuto avvalere della facoltà di non rispondere visto che è uno degli indagati per la vicenda dei depistaggi che avrebbe caratterizzato le indagini sulla morte del giovane nel 2009. L'8 aprile depone il teste chiave Tedesco, che ha accusato i colleghi coimputati del pestaggio del geometra
“L’atteggiamento reticente e non particolarmente collaborativo di alcuni testi è visibile”. È in questo modo che il pm Giovanni Musarò ha motivato la sua richiesta di depositare nel fascicolo del dibattimento una produzione documentale aggiuntiva. Il sostituto procuratore ha avanzato la sua istanza in aula davanti alla corte d’Assise di Roma che sta celebrando il processo su Stefano Cucchi, il giovane morto a Roma il 22 ottobre del 2009, una settimana dopo il suo arresto. Le difese hanno chiesto e ottenuto un termine per esaminare la documentazione. La corte ha concesso il termine fino alla prossima udienza. “L’obiettivo non è fare un processo sui depistaggi, quello è un altro procedimento. Ma ci sono circostanze che rilevano in questo processo perché la prova davanti a questa Corte è stata condizionata da quei depistaggi”. La produzione documentale si compone di 32 punti: in gran parte note sottoscritte da ufficiali dell’Arma che nel corso del processo si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.
L’ultimo è stato il colonnello Francesco Cavallo, ex capo ufficio comando del gruppo carabinieri di Roma. Ha potuto non rendere l’esame visto che è uno degli indagati per la vicenda dei depistaggi che avrebbe caratterizzato le indagini sulla morte di Cucchi. Per questa costola dell’inchiesta, la procura ha inviato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari a otto militari. I reati contestati vanno dal falso, all’omessa denuncia, la calunnia e il favoreggiamento. Tra gli indagati Alessandro Casarsa, che nel 2009 era alla guida del gruppo Roma, Lorenzo Sabatino, ex capo del Reparto operativo della capitale, Massimiliano Labriola Colombo, ex comandante della stazione di Tor Sapienza, dove Cucchi venne portato dopo il pestaggio, Francesco Di Sano, che a Tor Sapienza era in servizio quando arrivò il geometra, Cavallo che all’epoca dei fatti capufficio del comando del Gruppo carabinieri Roma, il maggiore Luciano Soligo, ex comandante della compagnia Talenti Montesacro, e di Tiziano Testarmata, ex comandante della quarta sezione del nucleo investigativo, e il carabiniere Luca De Ciani. Prima di Cavallo, nella scorsa udienza si sono avvalsi della facoltà di non rispondere gli altri colleghi ufficiali Casarsa, Soligo e Sabatino.
Risponderà, probabilmente, il teste che la corte sentirà durante la prossima udienza. L’8 aprile, infatti, è probabilmente una data fondamentale per la verità sulla morte di Cucchi. Quel giorno sarà sentito in aula Francesco Tedesco, il militare imputato per omicidio preterintenzionale che ha accusato i colleghi coimputati. È l’uomo che ha dato una svolta alle indagini: denunciò di aver assistito al pestaggio del giovane, picchiato da due colleghi, Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro. L’8 aprile dovrà ripetere la sua confessione davanti alla Corte d’assise che oltre ai tre militari, accusati di omicidio preterintenzionale, sta processando i carabinieri Roberto Mandolini per calunnia e falso, e Vincenzo Nicolardi per calunnia.
Oggi invece ha deposto davanti ai giudici il tenente Carmelo Beringheli, comandante del nucleo operativo della compagni di Roma Casilina. “Trovai strano e assurdo che il registro delle persone sottoposte a fotosegnalamento non venisse portato via in originale. Era evidente che il registro delle persone sottoposte a fotosegnalamento della Compagnia di Roma Casilina era stato sbianchettato. E al capitano Tiziano Testarmata (già comandante del nucleo investigativo, ndr) feci presente che il registro in originale, e non solo la fotocopia, andasse acquisito e consegnato alla magistratura per essere sottoposto ad accertamenti”, ha spiegato Beringheli riferendosi a fatti avvenuti il 4 novembre del 2015, quando Testarmata si presentò presso la Compagnia Casilina per acquisire una serie di atti per indagare sul Caso Cucchi. “Secondo me, quello che la magistratura cercava stava proprio in quelle carte che davano conto del passaggio di Cucchi dalla Compagnia alla sala Spis nella giornata del 16 ottobre del 2009 (quando fu arrestato, ndr)”, ha aggiunto Beringhelli. Anche Testarmata è indagato per i depistaggi.
Ed è proprio per chiarire come vennero condotte le indagini sulla morte del geometra che giudici della corte d’Assise hanno deciso di acquisire la perizia della professoressa Anna Aprile e del dottor Alois Saller. Il documentp è stato depositato lo scorso 7 marzo, nel processo in corso davanti alla Corte d’assise d’appello in cui sono a giudizio cinque medici dell’ospedale romano per la morte del 31enne. A chiedere l’acquisizione è stato l’avvocato Giosuè Bruno Naso che difende Mandolini. Il presidente della corte non ha escluso che i periti possano essere convocati per eventuali chiarimenti. Alla richiesta avanzata dall’avvocato Naso si sono associate tutte le difese e non si è opposta l’accusa. “Voglio riportare l’attenzione della Corte sull’oggetto effettivo del processo – ha sottolineato Naso – le cause della morte di Cucchi. Accertare le cause della morte è un presupposto ineludibile per poter efficacemente individuare le eventuali responsabilità degli imputati di questo processo”. Secondo il pm Musarò la richiesta di acquisizione “è un clamoroso autogol per l’avvocato perché la perizia in questione è incentrata su quella disposta nel primo procedimento che abbiamo dimostrato essere una perizia farlocca e costellata da errori incredibili. Inoltre se la difesa avesse letto tutta la perizia scoprirebbe che il trauma subito, e ascrivibile ai carabinieri, è considerato una concausa della morte di Cucchi”.