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Marilyn Monroe, un libro svela i segreti della super diva: quella volta che chiese di esser truccata anche da morta

Iconic Marilyn, di Massimiliano Capella svela i segreti della trasformazione di Norma Jeane, la bambina abbandonata in orfanotrofio, da anonima casalinga a sex symbol planetario

di Beatrice Manca

1945, Usa. Il fotografo David Coroner osserva le operaie della Radio Plane Munition Factory, cercando un volto da copertina. Nota una diciannovenne con i ricci castani, Norma Jeane, che come tante altre donne ha trovato impiego in fabbrica mentre il marito James è al fronte. Per poco non gli viene un colpo, al povero soldato James, quando tra le foto delle pin-up che arrivano ai suoi commilitoni riconosce il volto della mogliettina, svestita e ammiccante. È esattamente in quel momento che comincia il viaggio senza ritorno da Norma Jeane, la bambina abbandonata in orfanotrofio, a Marilyn Monroe, la diva per antonomasia. Iconic Marilyn, di Massimiliano Capella (ed. Centauria) svela i segreti della trasformazione da anonima casalinga a sex symbol planetario: gli abiti che non erano mai stretti abbastanza, i cosmetici che creava da sola, l’avversione per la biancheria intima, che rovinava l’effetto scivolato dei vestiti cuciti addosso come una seconda pelle.

Su Marilyn è stato praticamente detto e scritto di tutto, ma il suo mito continua ad affascinare. Il regista Andrew Dominik ha annunciato di aver trovato la sua Marilyn nell’attrice cubana Ana De Armas, che sarà la protagonista di Blonde, adattamento cinematografico del romanzo di Joyce Carol Oates. Ma anche Norma Jeane, per diventare Marilyn, ha dovuto lavorare tutta la vita, disegnandosi addosso quel look diventato iconico: labbra scarlatte, occhi da gatta, morbide onde platino. Grazie a un bell’apparato fotografico, il libro di Capella racconta le ossessioni dell’attrice davanti allo specchio, come la volta in cui, a soli 27 anni, chiese al suo make-up artist di truccarle il volto anche da morta. Promessa che poi mantenne.

La natura era stata generosa e le aveva regalato le forme perfette: 90-60-90, o, a voler essere precisi, 94-59-95. Ma Marilyn sapeva di dover fare la sua parte di fatica: si fece sfinare chirurgicamente il naso, e tagliare i bei ricci castani. Si truccava sempre alla luce fioca di una lampadina da 20 watt, per individuare le ombre del viso. Per ottenere quell’esatto punto di rosso sulle labbra mischiava due o tre rossetti diversi con la vasellina: come tutte le formule magiche, anche la sua ricetta del cremisi è rimasta segreta. Il suo modello era Jean Harlow, diva del cinema degli anni ’30 morta a 26 anni: pur di somigliarle la Monroe si faceva tingere i capelli solo dalla sua parrucchiera, ormai anziana.

Amava fasciarsi in abiti che non la lasciavano sedere e odiava la biancheria intima, soprattutto i reggiseni, che non avrebbe mai potuto indossare sotto tali scollature. I vestiti, per lei, non erano mai abbastanza stretti: i sarti dovevano studiare speciali spacchi e aperture per farla camminare. Già, la camminata: pare – ma qui la storia si confonde col mito – che per enfatizzare il movimento dei fianchi portasse i tacchi di due altezze diverse, in modo da ondeggiare di più. L’uomo che forse amò di più fu William Travilla, il costumista di Hollywood che disegnò alcuni capi entrati nella storia, come l’abito bianco che svolazza al passaggio della metropolitana. Uno stilista italiano soffiò ai couturier francesi il privilegio di vestirla per primo: Roberto Capucci, genio dimenticato della moda capitolina, poi seguito da Emilio Pucci. Sempre un italiano le fece le scarpe, fuor di metafora: Salvatore Ferragamo.

Mentre sorrideva sulle copertine di tutte le riviste del pianeta, la sua vita procedeva sulle montagne russe, tra contratti da capogiro, capricci sul set, fallimenti personali: la maternità mancata, la depressione, gli psicofarmaci. Ma intanto il mito era già consacrato: le donne la invidiavano e la copiavano, e lo avrebbero fatto per tutti gli anni a venire. Da Madonna a Barbie, da Versace ad Alberta Ferretti, la moda non smette mai di citarla.

Per la sua ultima apparizione pubblica scelse l’abito “più iconico del 20 secolo”, com’è stato definito durante un’asta da record: venduto per 4,8 milioni di dollari. E`lo skin and bead dress, il vestito trasparente tempestato di cristalli che indossò per cantare “Happy birthday Mr President” a John F. Kennedy al Madison Square Garden. Le fu letteralmente cucito addosso, e in quell’impalpabile creazione si intrecciano moda e politica, storia e gossip. Neanche tre mesi dopo Marilyn fu trovata morta in circostanze misteriose, come tutte le dive bellissime e maledette. La morte, semmai, ha avuto la clemenza di risparmiarle la vecchiaia e la decadenza, consegnandola al mito ancora giovane e bellissima. Eternamente bionda, eternamente Marilyn.

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