Nove condanne e un’assoluzione. Per il Tribunale di Locri non ci sono dubbi: in Svizzera ci sono le “locali” di ‘ndrangheta così come in Calabria. Ha retto in primo grado il processo nato da una costola dell’inchiesta “Helvetia” coordinata dalla Dda di Reggio Calabria che è riuscita a dimostrare un’associazione a delinquere di stampo mafioso operante nella cittadina svizzera di Frauenfeld, capoluogo del cantone Turgovia. Stando all’indagini dei pm Antonio De Bernardo (oggi in servizio alla Dda di Catanzaro) e Francesco Tedesco, alla sbarra c’era un gruppo criminale legato al “Crimine” di Polsi” e in contatto con la “società di Rosarno” e la “locale” di Fabrizia, paese di origine di gran parte degli imputati.
La condanna più pesante, 13 anni di carcere, è stata inflitta a Brunello Nesci, “capo locale” di Frauenfeld, e Rocco Antonio Cirillo, componente della società maggiore e “mastro di giornata”. Dodici anni di reclusione, invece, per Angelo Rullo e Cosimo Laporta, ritenuti “partecipi” all’associazione mafiosa e 11 anni per Giovanni Manno. Il Tribunale di Locri, inoltre, ha condannato a 10 anni di carcere Giovanni De Masi, Sandro Iacopetta, Francesco Lombardo e Giulio Nesci. È stato assolto, su richiesta dello stesso pubblico ministero, infine, Cosimo Greco.
Il Tribunale ha disposto il risarcimento danni per la Regione Calabria e il Comune di Fabrizia, in provincia di Vibo Valentia, che si sono costituiti parte civile. Questo stralcio dell’inchiesta “Helvetia” è legato anche all’indagine “Patriarca” dove gli inquirenti avevano ipotizzato che “in Svizzera, segnatamente a Frauenfeld, era attiva una struttura di ‘ndrangheta in cui risultavano inseriti diversi personaggi di origine calabrese”.
In particolare, gli investigatori avevano intercettato alcune conversazioni tra due boss. Conversazioni, incentrate sul locale di “Singen”, dalle quali è emerso che la leadership del capolocale Bruno Nesci era insidiata da un altro gruppo dislocato in Svizzera, a Frauenfeld. Le indagini successive hanno consentito di confermare l’esistenza e l’operatività della cosca nel capoluogo del cantone Turgovia, “di individuarne gli associati, – scrive la Dda – di carpirne i ruoli e le cariche ma soprattutto di verificarne la dipendenza dalla casa madre calabrese”.